La nouvelle vague nella moda? Il neo-neorealismo
Il Neorealismo è una corrente creativa italiana e la sua massima espressione è sicuramente stata quella cinematografica, talmente forte da delineare dei punti di riferimento del made in Italy, validi ancora oggi agli occhi del mondo. L'immagine di Anna Magnani che corre per poi cadere colpita da un soldato tedesco o quella di Sofia Loren nella “Ciociara” di Vittorio De Sica hanno disegnato un concetto di bellezza assoluta insuperabile, un fascino che ha radici culturali, un’eleganza povera che supera qualsiasi sfarzo e che anticipa come archetipo il lusso contemporaneo che sopravvive alla crisi perché è storia, storia del prodotto o storia del creativo.
Ci sono molte affinità fra il periodo storico del Neorealismo e quello che stiamo vivendo: in quegli anni si usciva da una crisi post-bellica, oggi cerchiamo di uscire da una crisi di globalizzazione e di perdita d’identità nonché di confronto con la povertà contemporanea dei migranti, ma anche nostra. Ha senso parlare di abiti che costano migliaia di euro in un mondo dove i bambini vengono raccolti senza vita sulle spiagge dove si va in vacanza? Il confronto per le aziende che producono un bene superfluo ma indispensabile, come lo è vedere un bel film e sentirsi diversi, non è mai stato così difficile. La soluzione è di due tipi: rivolgersi ai nuovi ricchi e a quei mercati affamati di segni visibili di benessere, con grandissime possibilità di acquisto e poca cultura di prodotto; oppure ridisegnare la propria immagine, riempiendola di contenuto meno effimero.
La seconda soluzione è quella che sta confermando la moda come vera espressione artistica e creativa, oltre che artigianale. Un’attitudine che si declina in varie correnti: dalla sperimentazione del minimalismo colto di Miuccia Prada all’italianità di Dolce & Gabbana fino all’internazionalismo senza confini della novelle vague di Gucci. Un percorso caratterizzato dalla cancellazione di questi confini, geografici e culturali, la tessitura di una trama e di un ordito che tesse la nuova fibra della moda: così come qualche tempo fa parlare di design sembrava solo legato a un concetto di riproducibilità industriale, ora il termine si è ampliato ed è più affine alla invenzione di nuove forme per vivere o da indossare.
Occasioni come Design Miami o il Salone del Mobile coinvolgono arte, moda e design come una volta avveniva nelle Esposizioni Universali: si cerca il nuovo, l’idea o il prodotto che non si conosceva o che assume un ruolo diverso con un confronto che non è più solo fra le grandi note capitali, ma va da Mumbai a Città del Messico.
La moda è protagonista assoluta come “cliente” dell’arte: oltre al fenomeno delle fondazioni, oramai è consolidato il rapporto di coinvolgimento degli artisti, grazie anche all’evoluzione del contenitore-negozio e della sfilata sempre più performativa. Spinti anche dal fenomeno della vendita online, i negozi si trasformano sempre più in contenitori di emozioni piuttosto che di prodotto; lo storytelling non si limita alla collezione ma diventa necessità di descrivere un’arte totale, definendo un total look che coinvolge anche lo spazio in cui viviamo.
La relazione non si limita all’arte visiva, ma avviene con la letteratura, il cinema, l’architettura e, com’è sempre stato, con la fotografia. Le immagini di Dolce & Gabbana che appaiono fin troppo esplicite nel raccontare quelle femmine siciliane nel loro contesto fatto di mare e famiglia, lavorano sull’eredità sicura del cinema neorelista de La Terra Trema di Luchino Visconti, mentre e la maison Valentino presenta l’ispirazione alla romanità classica aiutata dall’allestimento scenico contemporaneo di Pietro Ruffo.
Un grande passo avanti lo fa Gucci, che esce dai confini culturali nazionali e reinventa personaggi senza un’identità precisa che vivono in uno spazio simile a quello pensato da Fornasetti per cui ogni superficie accoglie un décor, ogni spazio è portatore di un ricordo romantico, non più neorealismo ma nouvelle vague. Gucci riesce a esprimere la forza del sogno sulla ragione, la fine del calcolo su dati commerciali, guadagnando il successo della vendita e il consenso della critica perché portatore del messaggio poetico: le sue collezioni sono sovrapposizioni di visioni e dimostrazione della capacità di creare uno spazio nuovo di pensiero rielaborando i preziosi archivi della memoria.
Un metodo colto che coinvolge anche giovani brand come Arthur Arbesser, che sfila accompagnato dalla ricostruzione dell’immaginario di Balthus. Così nell’epoca dei tablet e dei fashion film di quattro minuti il contenuto diventa la soluzione, il messaggio e la forza di raccontare un’emozione anche a costo di costringerci a pensare.
Clara Tosi Pamphili
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
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