Fate presto. Chi non ricorda la gigantografia della prima pagina del Mattino? Un’opera entrata nella leggenda quella di Andy Warhol, che Lucio Amelio era riuscito a coinvolgere – insieme, via via, a Beuys, Long, Pistoletto e tutto il gotha del contemporaneo – in Terrae Motus, progetto partorito dopo il sisma del 1980 che aveva devastato Campania e Basilicata. Paese ballerino, l’Italia. Dove la terra, quando trema, spesso se la prende con la bellezza, fragile e indifesa, del passato. Umbria, 1997: si sbriciolano gli affreschi di Giotto e Cimabue ad Assisi. Frammento dopo frammento, i restauratori riparano ai disastri di Madre Natura. Perché l’arte deve rinascere, e aiutare a rinascere: vedi Gibellina, rasa al suolo nel ’68 e oggi museo en plein air.
Ma, si sa, l’Italia non è il Giappone: qui le ricostruzioni vanno a rilento, nella migliore delle ipotesi. Perché nella peggiore sorgono le cattedrali nel deserto, rose dalla ruggine ancora sigillate, ridotte in poltiglia al primo acquazzone; oppure vanno all’arrembaggio la malapolitica, le infiltrazioni criminali, i “furbetti” appostati come sciacalli. E le macerie restano lì, polvere coperta da polvere.
È quanto sta accadendo all’Aquila, due anni dopo quella terribile notte del 6 aprile, anche se pochi lo sanno. Visto che, spenti i riflettori del G8, dei funerali catodici e dei talk show “sul pezzo”, non se ne parla quasi più (e stendiamo un velo sul cinico Forum). Ogni tanto a smuovere le acque ci provano i comitati civici, il popolo delle carriole. Ma è una goccia nel mare. Perché per far risorgere i tesori del capoluogo abruzzese ci vogliono soldi. Tanti soldi. Quanti? Tre miliardi e mezzo di euro, più o meno. E, col Mibac in profondo rosso, la prospettiva è avvilente, nonostante la promessa dell’ex ministro Bondi di destinare alla regione, oltre ai fondi ordinari, anche l’1% dei fondi Arcus per dieci anni.
In attesa delle mosse di Galan, abbiamo provato a sentire com’è la situazione oggi, a L’Aquila. E la risposta è stata lapidaria: “La ricostruzione è ferma, ovunque”, dice Patrizia Tocci, scrittrice e docente. “Alcuni palazzi sono stati puntellati e forse più in là si deciderà di abbatterli. Alcune chiese sono state messe in sicurezza. Sono stati riaperti alcuni assi viari periferici, due bar e la piazza centrale, transennata. L’intero patrimonio artistico è stato trasportato altrove, ad esempio nel Museo di Celano. È imballato e al sicuro, ma nessuna chiesa è stata ricostruita. Il grande centro storico è per il momento un guscio vuoto”.
Il luminoso cuore dell’Aquila, insomma, rimane spezzato. Quel centro storico che era la città, angioina e rinascimentale, barocca e liberty, costruita e ricostruita nei secoli. Una città che però – ancora Tocci – “non ha mai saputo valorizzare il suo ruolo culturale, tanto che soltanto con il terremoto ci si è resi conto di quanto fosse particolare e ricco il suo patrimonio”. Amaro paradosso, che potrebbe essere una “provvida sventura”, in un Paese normale dove i cantieri sarebbero già partiti da un pezzo.
E invece, tra commissari e subcommissari per l’ennesima emergenza sine die, la Basilica di Collemaggio sta in piedi ancora a metà (la facciata riuscì a salvarsi grazie alle impalcature, perché sottoposta a restauro nel periodo del sisma). Certo, la Fontana delle 99 cannelle è tornata a zampillare grazie al Fai, ma la campagna di adozione dei monumenti lanciata da Berlusconi durante il GB (la “lista di nozze”) non ha avuto il successo sperato: solo il Kazhakistan ha già versato i soldi per l’oratorio di San Giuseppe dei Minimi; recente l’impegno della Russia per Palazzo Ardinghelli e la chiesa di San Gregorio Magno, ma la Francia di Sarkozy nicchia sui fondi promessi per la chiesa delle Anime Sante.
Tuttavia, c’è chi guarda al futuro con “ottimismo”, se è lecito usare questa parola in un simile frangente. Come Enrico Sconci, direttore del Muspac – Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea: “Stiamo ricostruendo e completando in questi giorni la nostra nuova sede, in via Ficara. Abbiamo ricevuto molte forme di amicizia e collaborazioni dopo il terremoto che ha danneggiato gravemente il nostro vecchio spazio di Palazzo Baroncelli Cappa, nel centro storico. Stiamo cercando di ricostituire ed ampliare la collezione permanente, soprattutto con donazioni”. L’appello è lanciato. Se non ora, quando?
Anita Pepe
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