Imprese culturali e processi decisionali
Non basta decidere, se decidere è un processo. Si potrebbe sintetizzare così il problema che sta alla base della decisione – di ogni decisione. Tanto più quando si tratta di decidere su un progetto di natura culturale.
Uno degli aspetti considerati ancora poco rilevanti nella gestione delle imprese culturali (private ma anche pubbliche) è il processo decisionale.
La policy culturale e le scelte conseguenti sono molto concentrate sull’istituzione – intesa sia come ente giuridico sia come sede – e sul prodotto culturale – le attività. È diffusa l’idea che, una volta pensato, un progetto possa essere automaticamente realizzato. Ma si tratta di una falsa verità, perché, senza aver chiaro il processo decisionale sotteso, molto spesso non si raggiungono i risultati attesi né in termini di efficacia né di sostenibilità.
Questo assunto è ancora più vero in un contesto ambientale, quale quello culturale italiano, nel quale è tuttora forte il “divide et impera”, una concezione piramidale gerarchicamente impostata dell’organizzazione del lavoro, la divisione dello stesso lavoro in professionalità specialistiche. Un modus operandi dunque che non ha preso in seria considerazione alcuni passaggi e conseguentemente non è riuscito a comprendere il “come” operare (chiariti possibilmente il “cosa”, il “dove”, il “quando” e il “quanto”).
Per comprendere il processo decisionale di un progetto culturale o della gestione di un’impresa culturale in senso ampio, invece, è importante avere presenti alcune criticità dell’organizzazione, fra le quali:
asimmetria informativa (spesso le informazioni non arrivano o arrivano al momento sbagliato. È necessario capire perché e migliorarne la pervasività direzionale e diffusa);
difficoltà di relazioni informali (il modello gerarchico docet);
incertezza nei tempi del processo decisionale (non è chiaro chi fa cosa, non è pacifica la delega – straordinario strumento per attuare le decisioni prese);
incertezza del contesto e delle risorse (a volte per mancanza di conoscenze, altre per ignavia, altre ancora per cause di forza maggiore, che però vanno messe in conto. Diventa centrale nel processo decisionale la capacità di ancoraggio, cioè del “ripristino di un rapporto solidale con le circostanze” soprattutto da parte di certe figure apicali dell’organizzazione);
motivazione delle persone (una percentuale altissima di persone, purtroppo, non ama il proprio lavoro, incidendo non positivamente sull’ingegnosità collettiva e la creazione di valore);
scarsità di tecnologie e comunicazione (e non è solo una questione di budget);
ridotta propensione all’assunzione di responsabilità (non si cercano colpevoli ma la colpa è sempre di qualcun altro).
Avere fin da subito presenti questi aspetti rappresenta l’occasione per ri-perimetrare il senso della nostra progettualità.
Irene Sanesi
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #28
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati