Archiving Irpinia. Geografie sociali e territoriali
Instancabile, Marco Scotini. Lo abbiamo incontrato in Irpinia, dove sta curando un progetto quinquennale. Dopo due giorni di laboratori, abbiamo parlato di Abruzzo e urbanistica, archivi ed ecosofia.
Il programma di Archiving Irpinia si apre con una necessaria attività laboratoriale che, grazie al supporto di “artisti tutor internazionalmente riconosciuti” e “maestranze locali”, vuole sensibilizzare “studenti e membri della comunità interessati alle tematiche proposte”. Questo primo approccio didattico nasce dall’esigenza di sensibilizzare il territorio all’arte, alla ricerca, al patrimonio naturalistico e culturale del nostro Paese e, in particolare, a quello irpino?
Il 12 e 13 febbraio si è tenuto il primo step di un progetto quinquennale che coinvolgerà un’ampia area dell’Irpinia e, come ci auguriamo, un grande numero di soggetti locali e non. Ma il problema non è tanto quello di sensibilizzare il territorio all’arte.
Di fatto, da oltre venti anni l’arte contemporanea (o meglio, la sua parte emancipativa) è diventata la chiave d’accesso privilegiata alla comprensione e trasformazione dei luoghi e del territorio. Dove l’architettura, l’urbanistica e la sociologia hanno mostrato i propri limiti disciplinari, l’arte contemporanea è riuscita invece a giocare il ruolo di nuovo soggetto attivo e propulsore nella cartografia e rigenerazione dei luoghi.
In che modo l’arte contemporanea riesce a giocare questo ruolo?
Un possibile intervento rispetto a manufatti architettonici dismessi, centri abitativi spopolati e aree coltive abbandonate non richiede tanto l’aggiunta di nuovi manufatti o l’applicazione di saperi specializzati, quanto piuttosto immaginari inediti in grado di poter pensare nuovi ruoli e funzioni territoriali.
Pur lasciando momentaneamente da parte motivi e cause generative che hanno condotto quest’area allo stato attuale, l’obiettivo di una riserva culturale qual è l’Irpinia dovrebbe essere non quello di preservare l’ambiente attraverso un’operazione di tipo conservativo o museale, ma l’attivazione di nuove pratiche (culturali, sociali, insediative, economiche) che possano incontrare nuove utenze (saltuarie, permanenti ecc.) non più soltanto locali ma tali da abbracciare un’altra scala.
Dunque, l’arte diventa un motore per l’immaginazione ed è piuttosto l’arte ad aver bisogno di realtà come questa.
Il concetto di archivio – di archiviazione, Archiving appunto – è da intendersi anche come depositario di una memoria necessaria, di un diario territoriale da recuperare, di un dossier da riaprire per attivare una nuova coscienza collettiva?
La prima cosa che mi ha colpito visitando i piccoli paesi dell’Irpinia è stata la mancanza di documenti da mostrare (fotografici, materiali ecc.), come se il sisma del 1980 avesse creato una sorta di tabula rasa. Per questo abbiamo attivato il tema dell’archiviazione: perché l’idea della mappatura non era del tutto adeguata e c’era bisogno di confrontarsi anche con la storia. Quando mi sono avvicinato a questo contesto, ho pensato a Beuys, lui stesso sceso a operare nelle campagne d’Abruzzo. Ma soprattutto al suo trauma seguito all’incidente aereonautico, grazie al quale è entrato in una dimensione artistica.
Le giovani generazioni si vedono oggi catapultate in una realtà ipermoderna ma assolutamente decise a ritornare all’agricoltura in un’accezione totalmente nuova. Loro stessi, durante il nostro laboratorio, si sono autodefiniti “quelli che restano”. Allo stesso tempo in quella giornata, assieme a Fernando Garcia-Dory e Ugo La Pietra, abbiamo scoperto un filmato straordinario prodotto da Mario Perrotta con al centro una pellicola sulla zona, girata nel 1949 e ritrovata recentemente a Denver in Colorado. Si tratta di una vera rarità, perché di solito possiamo trovare immagini prodotte dalle classi dominanti su quelle subalterne mentre, in questo caso, il filmmaker era uno del popolo anche se emigrato negli Usa. Inoltre ci sono state molte testimonianze di memoria immateriale su come funzionavano la vita e il lavoro in quelle zone prima che la modernità avesse dequalificato e reso arcaico il mondo rurale.
Quali metodologie intendi utilizzare nell’affrontare questo progetto quinquennale?
Gli interventi saranno molteplici e si misureranno con diverse scale d’azione, dove attività laboratoriali e programmi di residenze si alterneranno a progetti espositivi di respiro internazionale.
Il rapporto tra spazio sociale e ambiente naturale, la relazione con le forme dell’artigianato e con quelle dell’agricoltura costituiranno il nucleo attorno al quale si declineranno di volta in volta tutte le iniziative.
Il progetto nasce anche dal disegno ecologico ed ecografico del PAV, dove dal 2015 ti occupi del programma espositivo?
Certo, diciamo che Archiving Irpinia è una ramificazione della ricerca che stiamo portando avanti con Piero Gilardi al PAV e ne rappresenta un’applicazione ambientale e contestuale. Tutti gli artisti invitati in questa occasione avevano già lavorato anche nell’istituzione di Torino.
Mi pare che anche qui il tema ambientale ed ecologico sia costretto a confrontarsi con quello della modernità, dei paradigmi che questa ha promosso e reso egemonici. Non si tratta di contestare quest’ultima per l’ennesima volta, ma di ripartire dalle potenzialità che non ha espresso e che ha lasciato allo stato latente. Dunque, nessun ritorno al passato in un’accezione nostalgica, ma ricerca di ciò che è rimasto inedito, non praticato.
Nella pluralità disciplinare del programma, quale e quanto ruolo gioca l’arte? Hai già definito un Art Program accanto alla previsione e alla prospettiva ecosofica che intendi portare avanti?
Non vedo i due ambiti così separati. Non vorrei richiudere le indagini sulla natura della “natura” da un lato e quelle sull’arte dall’altro in un canale specializzato e unilaterale (per quanto ampio questo possa essere) perché il vero problema ecologico oggi (nel senso dell’“ecosofia” guattariana) è quello di riconcatenare ciò che la Modernità ha interrotto, sottratto, separato. Senza ritornare a una condizione premoderna, ma avanzando verso un mondo ancora da fare.
Quale il bilancio, dopo l’apertura dei lavori al pubblico e l’inizio del primo workshop?
Insieme al coordinatore dell’intero programma, Luigi D’Oro, non vediamo l’ora di iniziare il progetto vero e proprio!
Antonello Tolve
www.artribune.com/dettaglio/evento/51480/archiving-irpinia/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati