Blu a Bologna. Iconoclastia come violenza o resistenza?

Bologna s’è svegliata, questo sabato mattina, con un’azione di “guerriglia” in corso. Blu, tra gli street artist più apprezzati al mondo, ha cancellato i suoi splendidi murales in città. Patrimonio collettivo, che l’autore sceglie di distruggere, condannando l’idea della musealizzazione dell'opera. Un’analisi della faccenda, fra diversi significati possibili…

IL RULLO CONTRO LO STRAPPO. CANCELLARE PER PROTESTA
Una sola parola, come un coro. “Rispetto”. In rete la notizia del weekend, per la comunità della Street Art, è una sola, accolta con unanime plauso. Grande ovazione per Blu, paladino di un linguaggio nato e condotto per strada, col rigore e il talento di una militanza. Blu, che la scorsa notte ha iniziato a cancellare i suoi murales bolognesi. Enormi, bellissimi, icone collettive partorite in libertà e in libertà sacrificate, nel nome di un principio.
Lui, il più “politico” tra gli street artist, il più schivo, indipendente, engagé e sovversivo, ha scelto la via radicale per contrastare un evento che da mesi fa scalpore. La famosa mostra sostenuta da Fabio Roversi Monaco – ex Rettore dell’Università di Bologna, presidente di Genus Bononiae e della Fondazione Carisbo, nonché noto affiliato della Massoneria – con la cura di Christian Omodeo e Luca Ciancabilla, inaugurerà il prossimo 18 marzo a Palazzo Pepoli, con decine di nomi internazionali di peso, a partire da Banksy e arrivando fino allo stesso Blu. E a prescindere da quello che vedremo, siamo già dentro a un capitolo significativo per la storia dell’arte pubblica italiana, nel tormentato gioco di ruoli e di incastri tra il mainstream e l’underground.

La locandina della mostra a Palazzo Pepoli

La locandina della mostra a Palazzo Pepoli

La faccenda è nota. Ideatori, curatori e finanziatori del progetto hanno staccato dai muri decine di opere di Street Art, per portarle in uno spazio chiuso. Musealizzarle al fine di celebrarle, legittimarle e soprattutto tutelarle dal degrado, con tanto di interventi di ripristino in laboratorio. Come se si trattasse di opere d’arte tradizionali: tele, sculture, pellicole. La strada? Un fattore secondario, inessenziale.
Il mainstream torna così ad attingere dai migliori input del sottosuolo, ma lo fa – onnivoro e sprezzante – con un gesto di appropriazione forzosa. E di dichiarato travisamento. La Street Art viene sottratta al suo habitat e tramutata in trofeo privato da consumare a pagamento, dentro un tempio qualunque dell’arte. Sottratta alle intemperie, ai vandalismi e al decadimento, certamente. Che però la Street Art stessa mette in conto, per sua natura. E che in ogni caso – volendo – è sempre possibile contrastare con azioni  di tutela e di restauro in loco, condivise con gli autori.
Lo strappo, invece, è un’altra cosa. È il furto, l’imposizione: togliere dalla strada un’opera per consegnarla alla Storia. Partendo dal presupposto che la Storia si faccia a tavolino, che si consumi in una sala espositiva e che si scriva (unicamente) con l’inchiostro del potere. Ma soprattutto, che sia figlia di una visione sola. E invece no. C’è anche chi la Storia la scrive con altri intendimenti, da altre prospettive. Come tutti quegli artisti che sotto i cieli del mondo volevano restare e che il loro consenso agli strappi non lo hanno voluto dare. L’opera è mia e me la gestisco io: giustamente.

Il murale di Blu distrutto dall'artista e dagli attivisti del Cso Xm24

Il murale di Blu distrutto dall’artista e dagli attivisti del Cso Xm24

BLU E IL SUICIDIO DEI MURALES
La macchina del mega evento, però, non partiva dal presupposto della mediazione. E ha scelto di proseguire anche senza l’ok degli autori. Così la questione è diventata anche legale: di chi è l’opera in strada? Dove andrà a finire dopo gli strappi? Che ne è della proprietà autoriale? Che ne è delle intenzioni dell’artista, dell’importanza del contesto, del senso originario?
Questa mostra nasce per segnare uno strappo, nel senso reale e metaforico del termine. E lo strappo non è piaciuto, né all’opinione pubblica né a tantissimi artisti. Poi c’è chi ha preferito starci dentro, vista la portata dell’evento, e c’è chi invece ha detto no. Con decisione.

Ericailcane

Ericailcane contro la mostra bolognese

Blu ha affidato alle parole del collettivo Wu Ming il senso simbolico del suo gesto: “Dopo aver denunciato e stigmatizzato graffiti e disegni come vandalismo, dopo avere oppresso le culture giovanili che li hanno prodotti, dopo avere sgomberato i luoghi che sono stati laboratorio per quegli artisti, ora i poteri forti della città vogliono diventare i salvatori della street art.
Tutto questo meritava una risposta
”.
Non fa una piega, al netto dei vari radicalismi ideologici a cui i Wu Ming ci hanno abituati, con posizioni non sempre immuni ai cliché. La ragione c’è tutta. Ma la reazione non è impermeabile ad analisi, critiche, osservazioni.
Il popolo dunque osanna l’artista, che ha risposto con una colata di grigio all’ostinazione di chi vorrebbe salvare i muri facendone bottino, feticcio o anche solo reperto. Ha risposto alla violenza del furto con la stra-violenza del suicidio. Si è sottratto a una logica ostile nella maniera più beffarda e feroce: sparendo. Facendo sparire delle opere opravvissute (momentaneamente) al ratto per tramutarle in detonatori.

Un gesto con una valenza politica dirompente. Che anche da un punto di vista concettuale offre varie letture: la possibilità di retrocedere, di chiudere la partita sospendendo il conflitto, di rifiutare l’abuso, diventa una modalità di attacco. Per sottrazione. Uno strano potlach: se l’opera d’arte diventa merce, l’artista brucia la merce stessa. Si brucia. E contrasta, anche solo sul piano del messaggio, la giostra del capitalismo affamato.
Un gesto, allora, che spezza la noia di un momento storico infelice, anestetizzato, soffocato dalle troppe immagini inutili, brutte, imposte, sfuggite di mano, e immiserito dalla poca sostanza. La cancellazione, in un tempo così, è un colpo di teatro. Roba da eretici iconoclasti di mille anni fa, roba da punk, situazionisti, dadaisti o anarchici in trincea.

Blu con Ericailcane, a Bologna

Blu con Ericailcane, a Bologna

A CHI APPARTIENE UN’OPERA?
Ma c’è anche l’altro lato della faccenda. C’è la contraddizione brusca di chi sottrae un’immagine alla comunità, per contestare a qualcun altro l’idea della sottrazione. C’è l’insopportabile braccio di ferro tra le parti, che sacrifica il terzo elemento. Il più importante. Il pubblico.
Nessuno vedrà più quei murales, né per strada, né – un giorno – nella collezione di un museo. Un furto, anche questo, dolorosissimo. Che se nella teoria resta fascinoso, nel concreto apre nuovi interrogativi.
Interdire la visione è sempre è un fatto brutale. Una resa. Una perdita. È oscurare, depotenziare, chiudere gli occhi (altrui). È rispondere all’arroganza arrogandosi il diritto di distruggere una propria creatura. Ma siamo certi che la creatura, una volta compiuta e consegnata alla società (e dunque alla storia, al tempo, agli accidenti, agli sguardi, ai perché, ai soprusi, alle interpretazioni, alla cura e alla memoria), appartenga ancora all’autore?

Un'opera di Blu a Kreuzberg, Berlino, distrutta dall'artista per protesta contro la speculazione edilizia

Un’opera di Blu a Kreuzberg, Berlino, distrutta dall’artista per protesta contro la speculazione edilizia

Esiste certo – e la legge ne dà conto e misura – un diritto d’autore che norma alcuni aspetti sacrosanti. E la mostra bolognese pare essersene fregata. Ma esiste un piano, tutto poetico e sociale, che spezza il legame “di sangue” tra autore e opera. Quando quest’ultima viene consegnata al mondo è al mondo stesso che appartiene. Si tratta, cioè, di una movimento necessario di separazione, di una dimensone del dono e della rinuncia. L’opera d’arte di chi è? Di chi la fa, di chi la consuma, di chi la guarda e la ricorda? Di chi la lascia svanire, rispettandone la natura, o di chi ne vuol fare mercato ad ogni costo? Di chi ne tradisce l’identità o di chi la uccide, per evitarne la manomissione?
L’opera d’arte è del pubblico, in ultima analisi. E per questo resta aperta, sempre: a nuovi sensi, a nuovi rischi, a nuovi sguardi e gesti.

Le opere di Blu a Kreuzberg, dopo la cancellazione dell'arista

Le opere di Blu a Kreuzberg, dopo la cancellazione dell’arista

Un tema importante, che questa mostra mette nel calderone, tra mille altri temi legati all’arte pubblica oggi. E che il gesto di Blu rilancia, con altrettanta durezza. Ma non era possibile affermare un principio passando per una via non violenta? Vie legali, culturali, di presidio e di comunicazione? Non era possibile salvaguardare lo spettatore e non rispondere allo strappo con una passata di rullo?
La questione è aperta. Ma una cosa è sicura. Quando un’opera d’arte viene distrutta o sottratta – che a farlo sia un vandalo, un ladro, oppure l’autore stesso per una provocazione giusta – a perderci è la società tutta. Sul piano del visivo ecco allora la metafora che viene: un gesto ultimo, figlio di un tempo del naufragio, a incarnare la dialettica tra il business e la fuga, la perdita e l’accumulo, il potere e il riscatto; tra l’immagine come trappola e l’iconoclastia come resistenza. O viceversa.

Helga Marsala

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Helga Marsala

Helga Marsala

Helga Marsala è critica d’arte, editorialista culturale e curatrice. Ha insegnato all’Accademia di Belle Arti di Palermo e di Roma (dove è stata anche responsabile dell’ufficio comunicazione). Collaboratrice da vent’anni anni di testate nazionali di settore, ha lavorato a lungo,…

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