William Shakespeare secondo Socìetas Raffaello Sanzio. Romeo Castellucci torna alle origini e mette in scena il suo Giulio Cesare nel Salone d’Onore della Triennale di Milano
L’occasione, ammesso che ce ne sia bisogno, è costituita dalle celebrazioni per i quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare. Il luogo è suggestivo ed inusuale: il Salone d’Onore della Triennale di Milano, tra i marmi bianchi e i preziosi mosaici di Gino Severini. Perfetto per uno spettacolo che abbraccia arte e teatro, definito dal […]
L’occasione, ammesso che ce ne sia bisogno, è costituita dalle celebrazioni per i quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare. Il luogo è suggestivo ed inusuale: il Salone d’Onore della Triennale di Milano, tra i marmi bianchi e i preziosi mosaici di Gino Severini. Perfetto per uno spettacolo che abbraccia arte e teatro, definito dal suo autore Romeo Castellucci “intervento drammatico su William Shakespeare”. Al suo debutto, nel 1997, Giulio Cesare. Tratto da Shakespeare e dagli storici latini segnò la scena teatrale imponendo all’attenzione internazionale il nome di Romeo Castellucci, insieme a quelli di Chiara Guidi e Claudia Castellucci. “Uno spettacolo oggi irripetibile”, secondo il regista e drammaturgo di Cesena, che lo riporta in vita dal 15 al 20 marzo optando per una versione più corta, scegliendo una serie di momenti emblematici, “pezzi staccati”.
IN PRIMO PIANO L’ORIGINE STESSA DELLA VOCE
Sulla scena si fronteggiano, dominando l’intera vicenda, i discorsi di …vskij e di Marco Antonio. Da un lato …vskij, allusione a Konstantin Sergeevič Stanislavskij, uno dei padri fondatori delle rivoluzioni teatrali di inizio Novecento, inserisce una sonda ottica nella cavità nasale fino alla glottide: “Il percorso dell’endoscopio è proiettato su uno schermo che visualizza il viaggio a ritroso della voce fino alla soglia delle corde vocali”. Dall’altro Marco Antonio, laringectomizzato come l’attore che lo interpreta: “Dal piedistallo, con la sua tecnica fonatoria compromessa, scandisce il picco retorico del dramma, l’orazione funebre. Un dire sgolato dove la voce è solo un vibrare di commozione che fuoriesce grazie alla ferita”. Attraverso la telecamera endoscopica Romeo Castellucci mette in primo piano l’origine stessa della voce, nella gola: “Il puro corpo del suono visualizzato nelle corde vocali mostra, nella sua debolezza, la fabbrica della parola, mentre attinge al poderoso armamento della retorica”.
– Michele Pascarella
http://www.triennale.org/it/teatro
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