Oltre il confine. Cinque mostre all’American Academy in Rome
American Academy in Rome – fino al 3 aprile 2016. Trentasei personalità artistiche dialogano con Roma, le radici di un luogo, le connessioni e le sconnessioni presenti, nella volontà di far convivere linguaggi estremamente diversi. Il bisogno di ridisegnare i confini tracciandoli e intersecandoli esprime il tentativo di restituire narratività allo scenario multiforme dell’American Academy.
DESTRUTTURARE IL CAOS
Cinque Mostre è il lavoro su un luogo. Un progetto ambizioso e destabilizzante, con la cura di Ilaria Gianni, che, in modo dinamico e non banale, destruttura l’idea di “percorso obbligato”. Concepito come un intervento site specific totalizzante, Across the Board: Parts of a Whole conduce una riflessione sulla convivenza ibrida di numerose personalità e media delle arti visive.
Cinque percorsi attraversano i confini e si ricollegano a un tutto, che è il luogo fisico, il luogo intimo della creazione artistica, quello del linguaggio, quello del frammento. Il pensiero si snoda a partire da ciò che sta ai margini di un insieme, o meglio che elude la comprensione esaustiva di un dispositivo convenzionale; tali dispositivi si macchiano e sono restituiti allo spettatore come nuovi strumenti della rappresentazione.
RIFLETTERE LA PRECARIETÀ
Lo spazio della visione si carica di codici nuovi e coinvolge la facciata, l’elemento che per antonomasia presenta/rappresenta un luogo. The Middle Future, con interventi di Nikita Gale, Stanya Kahn, Math Bass, Leidy Churchman, Andrea Longacre-White, Anna Sew Hoy e Cécile B Evans, mette in discussione i ruoli della comunicazione di uno status, sovvertendo i significati e i significanti attraverso la possibilità fornita da nuovi codici, assemblati in un libro-bandiera, che rende esplicita la distanza, ormai abissale, tra la volontà di rappresentare un’identità e lo specchio di essa. Varcata la soglia dell’entrata, in Primo Piano di Bryony Roberts crea una confusione “optical” lavorando sul pavimento letteralmente (disponendo forme geometriche ricavate da vinile adesivo) e metaforicamente (richiamando l’antica tradizione cosmatesca e barocca della decorazione romana).
Entrando nella Galleria, un movimento caotico si riappropria della visione. Una fitta trama lega il lavoro di Namsal Siedlecki, Helena Hladilová e Senam Okudzeto, uniti dal concetto di “trasformazione” applicato a vari livelli: fisico e materico nel caso di Siedlecki, concettuale in quello di Hladilová e socio-culturale nell’opera di Okudzeto. Oltrepassando però il varco che divide in parte la Galleria, si libera un’atmosfera corale: Spolia di David Shutter riempie lo sguardo, invitando a cogliere una totalità vibrante nei segni che rileggono e riportano in vita gli schizzi dei secentisti Salvator Rosa, Nicolas Poussin, Carlo Maratta e Francesco Mola. Le riflessioni sullo spazio del campo visivo emergono nei lavori di Maaike Schoorel che spingono l’osservatore a relazionarsi con presenze figurative evanescenti e nei lavori di Jinn Bronwen Lee, che si stagliano sulla parete come dispositivi ottici in grado di confondere il sistema percettivo. In questo dialogo si inserisce Mary Magdalene I, II, III, il lavoro video di Mark Boulos, prezioso per il supporto, composto di pannelli in foglia d’oro, e per il contenuto, una figura discussa della cristianità che disquisisce su tematiche riguardanti il corpo e la sessualità, in pose che richiamano i primi audaci ritratti di nudo ottocenteschi.
RICOSTRUIRE IL FRAMMENTO
A legare il percorso è il lavoro sonoro di Christopher Cerrone che invade lo scalone con il modulare leggero dell’acqua; qui, ancora una volta, un lavoro di Woody Pirtle riflette il rapporto fra fotografia, montaggio e movimento. Entrambe le opere accompagnano lo spettatore nella discesa al criptoportico in cui si liberano esperienze ad altissima performatività. In una sorta di studio d’artista, va in scena la riflessione sul confine tra arte e ricostruzione filologica.
È in questi luoghi che il pensiero intorno al frammento legato alla città di Roma, alle stanze dell’Accademia Americana e alle sue collezioni storiche raggiunge l’acme. I lavori di Alexander Robinson (con Anthony Baus), Mali Annika Skotheim (con Lesley Tenorio, Javier Galindo, Karl Daubmann, Jenny Krieger, Michelle Di Marzo, John Lansdowne), Karl Daubmann (con il Rome Sustainable Food Project) e John Lansdowne (con James F. Huemoeller) modulano il recupero del passato attraverso nuove criticità di pensiero: il lavoro sulle tracce dello spazio urbano definito dall’architettura, il rapporto fra copia e originale, fino all’uso di tecniche digitali come la stampa 3D, che illustra il processo della creazione di un’immagine, mettendo in scacco l’idea di autenticità dell’opera.
LUOGHI NEI LUOGHI
The Picture Club, un intervento a cura di Ilaria Gianni, Gianni Politi e Saverio Verini esplora, con un allestimento camaleontico, la natura del ritratto portandola fuori dai binari di un’idea legata alla figuratività di questa pratica, sciogliendo e creando nuovi nodi riguardo la rappresentazione. E i lavori invadono anche le pareti del Caffè.
Eleonora Milani
Roma // fino al 3 aprile 2016
Cinque Mostre – Across the Board: Parts of a Whole
a cura di Ilaria Gianni
AMERICAN ACADEMY IN ROME
Via Angelo Masina 5
06 5846470
[email protected]
www.aarome.org
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/51436/cinque-mostre-across-the-board-parts-of-a-whole/
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