È finita anche la lunga Semaine de la Mode parigina, con un calendario molto diverso da quello di Milano – che mette i giovani alla fine penalizzandoli. Parigi apre e chiude con i grandi nomi, con tanti giorni di sfilate, fiere e showroom che un po’ disorientano. La sensazione è di aver visto troppo, l’ennesima celebrazione dell’autismo creativo che può generare nuove tendenze ma che, quando è così generale, racconta un caos conforme alla vita sempre più virtuale in cui ci muoviamo.
Ci sono tre problemi fondamentali che il fashion system sta analizzando sempre più seriamente: un mondo troppo grande che va troppo veloce, il tempo della vendita dopo le sfilate e lo strapotere della connessione digitale. Qualche dato: il primato di Chanel con i 9.6 milioni di follower su Instagram, i 367 show per la Spring/Summer previsti nel 2016 nelle maggiori capitali del fashion e i 235 bilioni di euro che rappresentano il valore totale di questo mercato nel 2015.
Così, correndo da un evento all’altro, è sempre più difficile ricordare anche il bello: con gli occhi fissi su Instagram, entrando e uscendo in showroom pieni di giovani brand che investono senza nessuna garanzia di vendita, postando immagini di un futuro che diventa immediatamente passato, grazie alla collocazione datata in quel grande archivio della nostra esistenza che è Internet. Comunque uno spettacolo, dove la città è un grande palcoscenico. E in questo Parigi è insuperabile.
Tra le mille musiche remixate, un gesto colto e profondo: la forza del silenzio, seguito dalla voce di Carmelo Bene, che accompagna la sfilata di donne elegantissime e audaci come la Marchesa Casati a cui si è ispirato Dries van Noten.
È stato l’inizio di un mood che abbiamo ritrovato in altre collezioni, l’ispirazione a un immaginario abbastanza preciso sviluppata con personalità che sconfina nell’auto-storicizzazione, un individualismo che però genera elementi condivisi da tanti: il tessuto maculato, le sovrapposizioni fra leggerezza di sete trasparenti e pesantezza di giacche militari o, al contrario, la maglieria pesante sotto abiti sottana.
Dries van Noten però è uno degli dei di questo Olimpo che non lascia dubbi sui suoi superpoteri, come Issey Miyake o Valentino: entità assolute, padrone della dolcezza e del futuro vero, dell’audacia e dell’amore, artisti seri che, con le loro collezioni, continuano a convincerci del potere pagano dell’acquisto, della necessità del possesso di un abito per poter vivere insieme a loro.
Insieme a questi dei, tanti semidei. Figure capaci ma non immortali come Heidy Slimane, che ridisegna Yves Saint Laurent con donne all’entrata dello Studio 54, pronte al disfacimento di fine serata, le lunghe e magre gambe scoperte da minivestiti sotto pellicce colorate, tanto esasperate da sembrare disegni per un cast postfelliniano.
Capace come lui di reinventare il passato con le forme del futuro, Nicolas Ghesquiére che, con una bella collezione per Louis Vuitton, risolta nei minimi particolari, ci consola perché continua a esistere alla grande anche dopo Balenciaga.
Proprio Balenciaga è la sfilata più attesa con la firma del protagonista di questo fondamentale capitolo parigino: Demna Gvasalia, nuovo direttore artistico, che insieme al fratello Guram è anche alla guida di Vetements, il brand che nelle ultime edizioni si è caratterizzato per la “scorrettezza estetica” delle collezioni e l’audacia delle presentazioni. Cresciuto in Georgia in quel clima sovietico dove tutti avevano gli stessi vestiti, senza informazioni, dove l’unico stile era un gypsy di povertà da guerra civile; si forma ad Anversa, dove arriva senza saperne nulla di moda, con un metodo che spinge alla creatività più sperimentale sotto l’immortale influenza estetica di Martin Margiela.
Un’influenza che continua ad accompagnarlo ed è visibilissima nel suo primo Balenciaga, una sfilata volutamente scomposta e irriverente, provocatoria, politicamente scorretta fino al punto da non inserire modelle di colore, dove sfilano “prigionieri del fashion” che devono esteticamente esprimere uno stato d’animo di sottomissione nei confronti dell’abito che indossano, perché è molto più forte di loro e governa la loro vita sottomettendoli alle regole del mercato. Una scelta forte, che produce immagini spiazzanti ma necessarie, una voce fuori da un coro che sta cantando la stessa musica da un po’, un’azione artistica coraggiosa che speriamo non serva solo di sostegno a quella nuova bag molto bella che abbiamo visto in passerella.
Un clima parigino in cui anche il tempo, alternando sole e pioggia continuamente, mette un po’ di ansia sul domani, non da ultimo condizionato da quei militari armi in pugno che si incrociano mille volte al giorno. Un domani tutto da reinventare, perché si confronta con scenari e opportunità in forte evoluzione come Dubai, capitale sempre più forte del mercato del Middle East e del Nord Africa, o il crescente flusso di turismo dello shopping cinese ma anche l’aumento del 30% dal 2012 dell’e-commerce nella vendita del lusso.
Clara Tosi Pamphili
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