Blu, o l’indisciplina socialmente trasmissibile

Prosegue il dibattito sull'"affaire Blu". Prende la parola Marcello Faletra, che sui graffiti ha da poco scritto un libro. E che si esprime a favore del gesto di Blu: cancellare i propri murales.

LETTERE RUBATE E VESTITI DELL’IMPERATORE
Il gesto di Blu è una delle più pregnanti immagini di sparizione dell’arte contemporanea.
È diverso dal gesto di un Christo quando imballa il Reichstag, sottraendolo alla storia del XX secolo. All’estetizzazione del politico dei nazisti, Christo rispondeva con l’estetizzazione della fine della storia. Ed è ancora diverso dal più grande imballaggio forzato della storia: Chernobyl. Il più grande oggetto mai sottratto, cementato sotto l’incubo della catastrofe nucleare.
Oggi la migliore strategia di far esistere qualcosa è di rinunciare alla sua esistenza reale, o di sottrarla alla predazione feticistica. Come la compromettente lettera rubata di Poe: collocata tra le cose comuni dove nessuno la cercherebbe, trasforma la sua evidenza nella sua invisibilità. Lo stratagemma della mimesi diventa il passaporto per la sua invisibilità. Oppure come la favola di Andersen (I vestiti dell’imperatore), dove si narra di due contraffattori che per l’imperatore tessono un vestito speciale che sarà visibile solo ai buoni e ai fedeli. L’imperatore esce orgoglioso col suo nuovo vestito, mentre la gente spaventata si comporta come se non notasse la sua nudità.

La rimozione dei murales di Blu a Bologna

La rimozione dei murales di Blu a Bologna

STRATEGIA DELLA SPARIZIONE
Ora, in apparenza il gesto di Blu è stato sollecitato da un altro tipo di sottrazione, ben più violenta: staccare i suoi graffiti e rinchiuderli in una mostra. Sottrarli dunque al luogo per il quale erano stati realizzati. Contro questo intento, la risposta di Blu è stata dello stesso tipo, ma con in più l’ironia radicale della cancellazione definitiva dei graffiti.
E per questo il suo gesto è memorabile. Cancellando i suoi murales dalla scena reale, li ha consegnati per sempre alla fascinazione dell’irreale, del nulla. Certo: la minaccia di far entrare in uno spazio chiuso ciò che era nato per esistere all’aperto e gratuito allo sguardo era forte. Perché l’accumulazione in uno stesso luogo di graffiti nati per esistere nella disseminazione urbana può mettere fine al loro tratto antagonista. E la risposta di Blu è stata all’altezza di questa minaccia.
Cancellando i suoi graffiti, per sempre li fa esistere e riconoscere con la forza di un rituale simbolico. A riprova del fatto che nella nostra società i segni mediatici hanno colonizzato il campo sociale e solo una strategia opposta al feticismo dell’immagine – la sua scomparsa – è all’altezza di rispondere con una contro-prestazione simbolica. La reclusione forzata che avrebbero subito i graffiti di Blu a Bologna è stata neutralizzata, e ora esistono come gesto irriducibile a qualsiasi trattamento mediatico, mostra compresa.
Le immagini della cancellazione dei graffiti diventano così l’unica prova della loro esistenza. E questo gesto afferma che tra alcuni graffitisti e l’arrogante volontà di rinchiuderli in una mostra-zoo, non c’è possibilità di negoziazione.
D’altra parte, la recente attenzione e accettazione verso i graffiti è il sintomo di un più ampio atteggiamento di controllo e di strumentale “valorizzazione” di segni che sono nati per esistere nelle strade e vogliono scomparire in esse; stando alla larga dalla saturazione estetica delle gallerie, molti graffitisti cercano la comunicazione come veicolo di rivolta e la dispersione ornamentale nelle strade.

Marcello Faletra - Graffiti. Poetiche della rivolta

Marcello Faletra – Graffiti. Poetiche della rivolta

BLU E IL WITZ FREUDIANO
Ma qual è la natura dei graffiti di Blu? Qual è il peccato originale di cui si macchia? In che senso guasterebbero i frutti della terra? Certo è un peccato d’ordine sociale, ed è chiaro quanto la posta in gioco è alta: la colonizzazione degli spazi urbani. Chi ha il potere e l’autorità di modificare la percezione dello spazio collettivo? La natura dei graffiti, in questo contesto, mette in luce una delle più profonde contraddizioni del capitalismo d’oggi: l’apparente gratuità dello spazio pubblico, mentre sappiamo che proprio esso è sottoposto a una violenta privatizzazione, che non trova argini politici né perimetri morali, se non nell’indisciplina dei graffitisti e nel loro contagioso dionisismo societale, che si riappropria di forme di marchiatura dello spazio.
E chiunque abbia visto un suo lavoro avrà constatato la natura parodistica o di smascheramento che lo anima. In effetti, in Blu vi è qualcosa che illustra bene quello che Freud chiamava il Witz: una modalità di rovesciamento della rappresentazione. Che sia critico o blasfemo, il Witz mette a nudo, come il vestito invisibile dell’imperatore nella fiaba di Andersen. Quando Blu, in un grande murales a Salonicco in Grecia, rappresenta un tempio greco – simbolo non solo della Grecia ma della cultura occidentale – le cui colonne fatte di denaro si sgretolano provocandone il crollo, opera secondo una procedura di smascheramento tipico del Witz. Smaschera il cinismo e la violenza della speculazione finanziaria che ha fatto precipitare una nazione nella miseria. Nei murales di Blu la parodia, lo smascheramento, la contraffazione e la caricatura fanno parte di un’unica strategia della rappresentazione.
E là dove le città, se intese come un sistema di codificazione di segni a qualsiasi livello, vengono rovesciate proprio nell’immagine che vogliono dare di se stesse – luoghi del potere in atto – allora è evidente la contagiosa pericolosità dei graffitisti come Blu. La rappresentazione dell’ordine economico-finanziario, di cui la pubblicità è un veicolo decisivo, è fatta vacillare dalle immagini che ne rovesciano il senso e la direzione. Se lo spazio della città, come già al tempo di Pericle, costituiva un contesto di formazione centralizzata dell’identità collettiva, oggi tale prerogativa non è cambiata, se non nelle modalità.

Il murale di Blu per il Cso Xm24, a Bologna

Il murale di Blu per il Cso Xm24, a Bologna

PUBBLICITÀ E ANGELI DEL BELLO
In questo contesto l’a-priori pubblicitario diventa – fra le altre – l’unità di misura della percezione dell’ordine urbano, della sua quiete sociale, che implica l’accettazione e l’interiorizzazione di immagini, che seppur violente – come nel caso delle pubblicità che strumentalizzano ossessivamente il corpo della donna – sono accettate e diventano il denominatore comune di una socialità condivisa. D’altra parte, più la pubblicità trionfa, più le ineguaglianze sociali sono occultate. E per quanto i graffiti, come in alcuni casi, possano essere supervalutati in termini economici da affaristi senza scrupoli, sono però nati all’insegna della dépense, della gratuità, della deliberata manifestazione di una comunicazione antagonista alle reti di controllo e alle sue estetiche normative. Con buona pace degli “angeli del bello”, l’associazione che vorrebbe in galera i graffitisti; questi poliziotti che restaurano una feudalità del bello a colpi di igienismo coatto col suo rogo purificatore; “angeli” in ossequioso silenzio verso i crimini della finanza, ma fanaticamente rumorosi di fronte a una tag…

IL PECCATO DEI GRAFFITISTI
Se i graffitisti peccano, è perché molti di loro si oppongono alla disciplina autoritaria del feticismo dell’immagine e alla colonizzazione del desiderio della società dei consumi, liberando energie visionarie inattese che il mondo ufficiale dell’arte, con le sue stagnanti formule, sogna.
Ma se i muri bianchi che accolgono la pubblicità sono la regola imposta, i graffiti sono l’eccezione. In realtà i graffiti non si oppongono ai muri bianchi. Non sono soltanto antisegni. A volte la loro ironia ci invita a leggere il mondo nudo e crudo, come se lo vedessimo per la prima volta in un gioco dove le regole nascono dal basso, al modo di un bricoleur, e non sono subite.
Si può non essere d’accordo con Blu. Lo si può accusare di furbizia o opportunismo per propagare il suo nome. In ogni caso, resta il fatto che non ha perso tempo a cancellare i suoi graffiti. E così conferma la sua vocazione concettuale: sottrae il graffito al feticismo del mondo dell’arte, senza pensarci due volte. Radicalmente. Come fece Duchamp.

Marcello Faletra

Marcello Faletra – Graffiti. Poetica della rivolta
Postmediabooks, Milano 2015
Pagg. 172, € 16,90
ISBN 9788874901364
www.postmediabooks.it

La recensione di Claudio Musso al libro

Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati

Marcello Faletra

Marcello Faletra

Marcello Faletra è saggista, artista e autore di numerosi articoli e saggi prevalentemente incentrati sulla critica d’arte, l’estetica e la teoria critica dell’immagine. Tra le sue pubblicazioni: “Dissonanze del tempo. Elementi di archeologia dell’arte contemporanea” (Solfanelli, 2009); “Graffiti. Poetiche della…

Scopri di più