Sul XXI secolo (III). Neo analfabetismo
Secondo appuntamento con la nuova serie di articoli dedicata agli Anni Duemila. Stavolta si parla di analfabetismo funzionale, una vera e propria mutazione che interessa l'era contemporanea. Ma individuare la complessità del presente è l'unico modo per guardare al futuro, senza rimpianti.
Ecco, c’è forse un’ora che noi non conosciamo,
un’ora del giorno o forse della notte, quando tutto
si fa di diamante, in cui il mistero potrebbe essere
risolto: si tratta di qualche secondo, ma azzeccarlo,
nella instancabile roulette, se è uscito una volta sola?
Goffredo Parise, Lontano
E tutto, ogni cosa si basa sull’incomprensione sulla decorazione sulla stupidità – prossimo prossimo prossimo.
Quell’“ora del giorno o forse della notte, quando tutto si fa di diamante” che Parise e altri hanno inseguito – e talvolta toccato – per tutta la vita è dunque perduta, inattingibile per sempre? Non credo; le condizioni materiali e immateriali per l’inseguimento e il raggiungimento, quelle forse sono cambiate e continuano a cambiare.
Già il XXI secolo si è ampiamente configurato nel nostro Paese e altrove come l’era dell’analfabetismo funzionale. Tutto attorno persone che sono affette da una mutazione nel modo di interpretare e capire la realtà, e che sono questa mutazione. Vivere tra i mutanti non è semplice né facile – come insegna la fantascienza sociale, e più ancora i romanzi e i racconti del secondo dopoguerra. Il dato (disastroso) è che il 47% degli abitanti di questo Paese – il dato più alto in Europa – leggono e scrivono, ma non colgono il senso del testo, di qualsiasi testo. Secondo l’OCSE, i neo-analfabeti non sanno “comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società, per raggiungere i propri obiettivi e per sviluppare le proprie conoscenze e potenzialità.” Non sono in grado cioè di elaborare una minima interpretazione del mondo che li circonda: “Un analfabeta funzionale, apparentemente, non deve chiedere aiuto a nessuno, come invece succedeva una volta, quando esisteva una vera e propria professione – lo scrivano – per indicare le persone che, a pagamento, leggevano e scrivevano le lettere per i parenti lontani.
Un analfabeta funzionale, però, anche se apparentemente autonomo, non capisce i termini di una polizza assicurativa, non comprende il senso di un articolo pubblicato su un quotidiano, non è capace di riassumere e di appassionarsi ad un testo scritto, non è in grado di interpretare un grafico” (Vanessa Niri, I nuovi analfabeti, Wired, 11 aprile 2014).
Due epoche diverse, totalmente diverse si sovrappongono e scivolano l’una sull’altra come zolle tettoniche – anche questo non è mai facile – e non c’è quasi niente che faccia capire da che parte ci troviamo. Se l’intelligenza e la critica vengono continuamente mortificate in quanto non servono più (a cosa?), allora nuove facce e nuovi cervelli si affacciano, che andranno studiati e interpretati con attenzione, e senza fare gli schizzinosi.
Perché ciò che non serve assolutamente a nulla è continuare a lamentarsi indefinitamente di uno stato di cose, magari rifugiandosi nella nostalgia dei bei-tempi-andati e rimpiangendo ciò che non esiste più. Ciò che abbiamo davanti potrà anche essere più piccolo e meno ambizioso rispetto al passato, ma ha l’indubbio vantaggio di essere concreto, migliorabile, modificabile. Serve scegliere la vita invece della sua simulazione – o peggio ancora del costante rimpianto. Serve capire davvero e in profondità le implicazioni e le conseguenze della collaborazione, dell’interconnessione costante, dell’organicità che sempre più assume una dimensione cognitiva che sono il portato maggiore del tempo nuovo: ““Io. E la terra. E quegli alberi. E quel coniglio tra l’erba, laggiù. E l’uomo che si intravede fra gli alberi. L’intero pianeta e tutto quanto c’è sopra è Gaia. Siamo individui, siamo organismi separati, ma condividiamo tutti una coscienza globale. La materia inorganica del pianeta è meno di tutti partecipe di questa coscienza e gli esseri umani ne sono partecipi più di tutti, ma ognuno contribuisce all’insieme” (Isaac Asimov, L’orlo della Fondazione, ne Il ciclo delle Fondazioni, p. 686).
Se non comprendiamo l’esistente, continueremo indefinitamente a proporre ricette studiate per altri territori e altri periodi, per altri spazi e altri tempi, che non si adattano al contesto in cui viviamo immersi. Continueremo a produrre ecolalia. Occorre concentrarsi in questo momento su ciò che forse più di ogni altra cosa il XXI secolo sfida e mette in discussione, vale a dire la salvaguardia e tutela della complessità, e di un’idea di cultura: “Solo pochissimi hanno potuto travalicare e sussumere la tradizione. E oggi forse nessuno è in grado di farlo. Sicché, oggi la domanda suona: posso costringere la tradizione a fare spazio per me, per così dire allargandola dall’interno anziché dall’esterno, come vorrebbero fare i multiculturalisti? (…) Uno dentro il canone irrompe solo per forza estetica, la quale consiste primariamente di un amalgama: padronanza del linguaggio figurativo, originalità, capacità cognitiva, sapere, esuberanza espressiva. L’ingiustizia suprema dell’ingiustizia storica è che essa non dota necessariamente le proprie vittime di alcunché che non sia un sentimento della loro vittimizzazione. Qualsiasi cosa sia il Canone Occidentale, esso non è un programma di redenzione sociale” (Harold Bloom, Il Canone occidentale. I Libri e le Scuole delle Età, Bompiani 2005, p. 25).
Christian Caliandro
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