Da addensante alimentare a rimedio per il restauro dell’arte contemporanea. Così l’agar-agar sopravviverà alla chiusura del Bullì di Ferran Adrià. Ad esempio sul Keith Haring di Pisa…

Per carità, non è la prima volta che prodotti prettamente alimentari vengono utilizzati nella pittura e nel mondo dell’arte in generale. Si pensi al tuorlo o all’albume dell’uovo, sovente utilizzato per esaltare la vividezza di tempere e oli. Ma questa volta il ritrovato ha del curioso. Sia perché è applicato su una famosissima opera d’arte […]

Per carità, non è la prima volta che prodotti prettamente alimentari vengono utilizzati nella pittura e nel mondo dell’arte in generale. Si pensi al tuorlo o all’albume dell’uovo, sovente utilizzato per esaltare la vividezza di tempere e oli. Ma questa volta il ritrovato ha del curioso. Sia perché è applicato su una famosissima opera d’arte contemporanea (e tutti noi sappiamo quanto sia attivo il dibattito sul restauro delle opere attuali), sia perché si tratta di un prodotto alimentare assai particolare.
L’opera in questione, forse è arrivato il momento di dirlo, è la celeberrima Tuttomondo, ultimo murale nella carriera prematuramente terminata di Keith Haring. Il clamoroso wall painting, datato 1989, subisce, come è ovvio essendo esposto a luce, temperature e intemperie, l’erosione del tempo che gli comporta in particolare una opacizzazione dei colori. Per farli rimanere vivaci e per esaltarne il contrasto si sta utilizzando, nell’ambito di un intervento di restauro in corso in questi giorni, l’agar-agar. “Si tratta di un addensante naturale sottoforma di gel – spiegano i restauratori – molto utilizzato nella cucina moderna”. Una sostanza stranota ai gastromaniaci di tutto il globo, visto che l’impiego in cucina dell’alga rossa asiatica è una delle basi sulle quali si è costruito il successo di Ferran Adrià e del suo Bullì, che anche così sopravviverà – in tutt’altro settore – dopo la chiusura.
I lavori, promossi dal Comune di Pisa che in questi vent’anni si è speso molto per la tutela della grande opera del graffitista americano, sono stati seguiti anche dai vertici della Keith Haring Foundation. “A garanzia dei colori che emergeranno dopo il restauro – rassicurano dalla presidenza della Fondazione – è stata coinvolta la Caparol, la stessa ditta che fornì io pigmenti nel 1989”.

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Redazione

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