Federico Pepe. Intervista con il dittatore gentile
Personalità singolarissima, in equilibrio instabile fra arte e design, ex outsider del progetto oggi sempre più al centro di collaborazioni nel campo del mobile, Federico Pepe ci racconta di sé, dei suoi nuovi lavori e di rinnovati sodalizi. Tra Patricia Urquiola e Maurizio Cattelan.
“Le Dictateur c’est moi, Federico Pepe. […] Non vorrei che il termine fosse frainteso, qui non si fa riferimento a una dittatura dell’immagine. È solo il mio personale tentativo di imporre delle immagini senza possibilità di scambio se non a posteriori. Fondamentalmente Le Dictateur è una carica che mi posso permettere in modo scanzonato perché la applico esclusivamente nei confronti di me stesso. Ho scelto il francese perché la parola ‘dictateur’ diventa meno estrema e si fa più dolce, sembra quasi un complimento”. Tutto è partito da queste frasi, manifesto di Le Dictateur scritto dieci anni fa. Il 9 aprile a BASE, ex Ansaldo, si è celebrato il compleanno della realtà dittatoriale multipla di Federico Pepe.
Per festeggiare è stato presentato FAQ/Le Dictateur 5, curato da Maurizio Cattelan e da Myriam Ben Salah. Questa settimana, Credenza, una capsule collection che fonde il design contemporaneo di Patricia Urquiola con l’arte grafica di Federico Pepe, entra a far parte della Collezione Spazio Pontaccio ed è presentata per la prima volta. Il regno del dolce Dittatore è ancora una volta in espansione.
Quanto le tue origini, nei dintorni di Omegna, hanno influenzato percorsi, approcci e processi?
Il fatto di essere cresciuto in un paesino di montagna, quasi completamente isolato dal mondo, ha portato, appena è arrivata l’età legale per farlo, diciotto anni, a spingere la mia curiosità altrove. Anche se oggi torno con piacere in quella che considero da sempre la mia casa, ho dovuto necessariamente andare via. La mia infanzia tra prati, boschi e libertà ha formato l’attitudine al desiderio di conoscere, dato che eravamo sempre pronti a inventare e a modificare un mondo fatto di sola natura.
Ma credo che la mia capacità inventiva, il primo approccio al colore e alla forma siano nati nello studio di mio padre: era sempre assente, perché sempre al lavoro a Milano, come grafico pubblicitario in Armando Testa, e io mi divertivo a usare tutti i suoi materiali, che provavo in ordine sparso. Oggi in agenzia si utilizzano software al posto di carte, tele, pennelli e colori, mentre per svolgere il suo ruolo bisognava essere molto bravi a disegnare e a dipingere.
Chi sono i tuoi maestri?
Non ho mai seguito grandi maestri o grandi figure-guida, mi sono, piuttosto sempre innamorato delle singole idee, dei processi, degli oggetti o delle composizioni che ho incontrato. Apprezzo i dettagli delle individualità, ma non sempre ne seguo i percorsi per intero. Non ho mai davvero avuto punti di riferimento ideali, fissi.
Come si è sviluppato nel tempo il tuo dialogo con Patricia Urquiola?
Ho incontrato Patricia tra il 2012 e il 2013, grazie a PierPaolo Ferrari, co-fondatore di Le Dictateur. Attraverso la grafica delle pagine di Le Dictateur, lei ha cominciato a interessarsi al mio lavoro e abbiamo iniziato a lavorare a un primissimo progetto di It’s time to make book. Il primo impatto con lei è stato molto faticoso. È un fiume in piena di idee, strabordante di pensieri, intuizioni: è una figura totale e totalizzante, una grande incubatrice di energia. Io le proposi un progetto editoriale preciso, rigoroso ma forse non troppo elastico, e la nostra prima idea di collaborazione sfumò. In quel momento serviva qualcuno che sapesse come interagire con lei su una precisa idea.
Ma comunque abbiamo poi sempre mantenuto i legami, lei era molto interessata a Le Dictateur, tanto poi da presentare It’s time to make book nei nostri spazi. Da quel momento abbiamo sempre dialogato attraverso disegni e quasi mai a parole, infittendo uno scambio di sensazioni e idee fortissimo. Questo è stato il primo momento in cui abbiamo lavorato assieme, per noi stessi.
Quale nuovo scenario hai preparato per Spazio Pontaccio?
Rispetto allo scorso anno, io mi trovo dall’altra parte, sono designer ospite. È stato Alberto Pellini di Spazio Pontaccio a convogliare definitivamente il mio dialogo, la mia amicizia con Patricia in un oggetto. Credenza è un mobile la cui essenza gioca con il doppio significato della propria definizione e della volontà di credere. È una collezione di arredi in vetro piombo che trae ispirazione dalle vetrate dei luoghi sacri, come quelle realizzate da Gerhard Richter per la cattedrale di Colonia.
Noi ne recuperiamo il valore simbolico trasformandolo in una collezione contemporanea di elementi di arredo. Dialogo tra l’antica ispirazione sacra e la sua reinterpretazione in forma di design. Credenza, caratterizzata da pattern, colori e materiali dal respiro contemporaneo, è prodotta in Italia da artigiani dedicati. Come dice sempre Patricia: “Devono diventare come gioielli!”.
Come si è modificato nel tempo il tuo rapporto con Maurizio Cattelan?
Nonostante lo conosca da quasi dieci anni, il massimo della confidenza con Maurizio l’ho raggiunta qualche settimana fa, poco prima di presentare FAQ/Le Dictateur 5. Ho scoperto che è una persona attentissima, molto piacevole, estremamente cordiale, alla mano, ma possiede un rigore, un’attenzione ai dettagli e una sensibilità, una consapevolezza globale che non avevo mai trovato prima d’ora.
Potresti selezionare tre passaggi fondamentali che racchiudano i dieci anni di Le Dictateur?
All’inizio, durante la presentazione del primo numero, non pensavo che sarebbe arrivato tutto questo. Il nome stesso avrebbe voluto lasciar intendere come e quanto dettar legge su qualsiasi cosa. Ma il progetto avrebbe potuto rappresentare un macigno, un tonfo nell’acqua di cui nulla sarebbe rimasto, da un momento all’altro. Il secondo passaggio che selezionerei è stato il momento in cui abbiamo aperto il primo spazio. Il terzo atto, invece, è il recentissimo, ancora inedito, cambio di sede.
Quando e dove riaprirà lo spazio espositivo?
Inaugureremo sicuramente prima dell’inizio di giugno. La sede è già stata individuata e si troverà tra corso Buenos Aires e piazzale Loreto, in via Paisiello 6.
Ginevra Bria
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #30 – speciale design
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