Non è danza, non è arte. A Bologna c’è Live Arts Week
“iFeel3” di Marco Berrettini arriva alla nuova edizione di Live Arts Week V, palinsesto dedicato a performance, concerti, live media, expanded cinema, curato da Xing. Da non perdere al MAMbo di Bologna, dal 19 al 23 aprile 2016. Ne parliamo con il coreografo svizzero.
Una coppia intrecciata nel tempo lungo di un unico doppio passo, breve, brevissimo, e rallentato, forse uno swing semplicissimo, forse come i passi del giro nel tango, elementari, quasi primitivi, consegnati allo sguardo di tutti: è quanto più ricordo di iFeel2 di Marco Berrettini. Lungo, infinito, tenue adagiarsi di un duo per tutto lo spazio, sempre negli occhi dell’altro, con gli occhi fissi in quelli dell’altro, come per alludere che non esiste cronologia, ma solo questo eterno presente di essere per sempre caduti negli occhi dell’altro. Che invidia. L’eterno presente della danza. Un omaggio trasparente e sobrio alla danza. Nei termini di ciò che aiuta a lavorare su se stessi.
La coppia infatti, lungo questa maratona di danza, si nutre e si sorregge da sé. Entrambi “si rianimano reciprocamente”. Durante un incontro pubblico per le giornate della danza svizzera, a Zurigo, Berrettini ha parlato di questo lavoro come di un suo personale ritorno alla danza. Credo lo intendesse proprio in termini biografici. Per questo credo sia un più che riuscito atto d’amore.
Non senza malizia, uno sprovveduto anonimo utente su YouTube in calce al breve video di iFeel2 ha voluto commentare: “Not dance and definitely not art”. Beata imprudenza degli avventati. Non la danza che si aspettava di trovare. Né l’arte che credeva lì doversi affermare. Ma dunque, allora, c’è tutto il resto. E non è mica poco. Ho provato, allora, a rivolgere alcune domande a Marco:
I tuoi recenti lavori nascono in dialogo con alcune precise letture. Le ultime Peter Sloterdijk e Ayn Rand. Si tratta di una modalità di lavoro utile a rimanere in dialogo con il presente, oppure è un mezzo per compiere un transito verso la performance, oppure ancora una pratica creativa, un “tarabiscotage” di materiali performativi per creare nuove logiche?
Anche se non facessi spettacoli, la lettura di Peter Sloterdijk farebbe senz’altro parte della mia vita. Quello che leggo è quello che penso, ma che dentro di me non riesco con facilità a formulare… C’è in me un piccolo lato antropologico, e Sloterdijk fornisce le risposte alle mie domande sulla società, sia del passato che attuale. Non saprei esprimere quanto lo stimo e quanto quello che leggo nei suoi studi sia vero.
Per i miei spettacoli parto spesso da temi che riguardano la politica e la sociologia e quindi leggo spesso dei testi di Sloterdijk per “nutrirmi”. Ma poi cerco di non fare un lavoro illustrativo, cerco di, e qui cito il maestro Peter, contaminarmi con le materie che tratto, e poi provo a digerirle. L’effetto che producono in me è lo spettacolo che creo. Sono contento che alla fine non si veda uno spettacolo che cerca di proporre “tesi politiche” ma che sia più schiumoso della realtà stessa.
Il tuo lavoro sembra consuonare con il concetto di ritornello, non tanto nell’uso creativo della ripetizione, quanto nel suo effetto. Questo invito a uscire dagli schemi ha a che fare con la voglia di di finirla con il caos?
Da diversi anni mi sono allontanato dal Tanztheater. Sto cercando una forma nuova per me. Una forma trascendente, capace di far scivolare sia gli interpreti che il pubblico, nella speranza che lo spettacolo rimanga in testa, come un’eco, un colore, un profumo. Più che una dichiarazione, un principio. È solo un tentativo di far corrispondere quello che vivo dentro di me con quello che cerco di mettere sul palco. Il caos fa parte della vita, e gli spazi che creo non sono che parte integrante di un caos più grande. E anche la ricerca di una forma coreografica che mi possa permettere di integrare tutti i movimenti che mi interessano. Cerco una forma che sia la più larga possibile; uno stato di coscienza.
In iFeel3 che presenti a Live Arts Week V è all’opera una manifesta parodia, forse leggera per quanto esplicita, dell’impossibilità del pensiero contemporaneo di incidere sulla vanità dello scorrere del tempo presente, insomma sulla impossibile libertà del soggetto dagli stereotipi della realtà. Cosa c’è oltre l’apatia morale di questo tuo congedo storico?
L’impossibilità attuale sta forse nel fatto che i tempi ci spingono a forme di radicalizzazione, malgrado noi stessi. C’è aria di burrasca nell’aria e secondo me, anche se non si possono impedire questi cicli che sembrano dettati da forze naturali superiori al nostro ego, la burrasca non porta consolazione né conoscenza.
iFeel3 è un tentativo di lasciarsi andare, alla Bartleby di Melville. Un “preferirei di no” dolce, senza lotta. Un’introspezione prima di voler montare sulle barricate. Una bevuta di Ayahuasca prima di considerare dei cambiamenti. Tra la nostalgia del passato e le speranze del futuro mi sembra che sia il presente la cosa più interessante e dolorosa da vivere. Come direbbe Carl G. Jung, senza affrontare la propria ombra non può esserci cambiamento. iFeel3 è un tentativo in questa direzione.
Stefano Tomassini
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