Un altro lutto nel mondo dell’arte. È morta Rosanna Chiessi
Fluxus in Italia ha significato soprattutto Reggio Emilia. Grazie a una figura straordinaria come quella di Rosanna Chiessi, che ci ha lasciati qualche giorno fa. La ricorda qui Renato Barilli, testimone di una stagione felicissima dell’arte in quelle zone.
Continua implacabile lo stillicidio, ci lasciano, superata la barriera degli ottanta, le care, i cari compagni di un’intera vita, e per noi superstiti non c’è certo bisogno di chiederci per chi suona la campana. Questa volta è il turno di Rosanna Chiessi.
Mi è capitato di dire altra volta che in lei si rinnovava il rito pentecostale, quando lo Spirito Santo scese sugli Apostoli riuniti in seduta, dando loro la capacità di superare i rozzi dialetti locali che parlavano e di acquisire un alto eloquio. Rosanna, credo, non ha mai parlato inglese o altra lingua straniera, ma se l’intendeva magnificamente con tutti gli esponenti dell’avanguardia internazionale, superando agevolmente la barriera linguistica, esprimendosi evidentemente a segni, a occhiate. Così era, per esempio, nei confronti della coppia regale, dominatrice di Fluxus, Charlotte Moorman–Nam June Paik; di quest’ultimo ha organizzato una delle rassegne più vaste e complete che si siano viste da noi, l’altra era stata da lei invitata in un teatro di Reggio Emilia a offrire un riassunto delle sue più celebri performance.
Purtroppo eravamo in pochi a godere di quella miracolosa prestazione, mentre fuori imperversava la celebrazione di un 1° maggio con folle tumultuanti. Purtroppo ancora una volta non ci fu un incontro tra il progresso politico e quello di ordine estetico. Oltretutto le autorità reggiane per ragioni di sicurezza avevano vietato alla Moorman di sollevarsi in alto dal suolo con una avventurosa mongolfiera, su cui, in qualche modo, simbolicamente, sarebbe salita lei stessa, Rosanna. Del resto a quelle stesse autorità del municipio emiliano Rosanna aveva messo molta fatica per far accettare la sua straordinaria collezione di centinaia di opere della migliore avanguardia internazionale, raccolte anche nella sua veste di editrice di “Pari&Dispari”, di fascicoli in cui si celebrava alla perfezione il matrimonio tra la parola e l’immagine. In questa difficoltà a far accogliere a un pubblico incredulo o indifferente un patrimonio straordinario, lei, persona di origine popolare e quasi autodidatta, si trovò quindi a urtare contro il medesimo muro contro cui aveva sbattuto anche, a Venezia, Peggy Guggenheim, raffinata figlia di un mondo cosmopolita.
Innumerevoli sono le grandi figure dello sperimentalismo di questi anni che hanno ottenuto da Rosanna comprensione, appoggio, viva partecipazione, pur con le sue possibilità limitate, ma superate appunto per forza di una misteriosa missione ricevuta da qualche potenza superiore. Tra le molte imprese che devono essere ricordate a suo onore c’è stata anche quella particolarmente avventurosa di essersi vista affidare, parecchio tempo fa, la funzione di custode della Villa Malaparte nell’isola di Capri, a seguito di una sventura, dell’aver perso la sua abitazione originaria nel Reggiano. Gli eredi del grande scrittore le avevano dato in consegna quel nido di gabbiani, e beninteso lei non si era certo limitata a un ruolo umile e passivo, ma aveva trasformato quel luogo in magica sede di incontri, tra cui i banchetti allestiti da Daniel Spoerri, intonati a qualche nota cromatica esclusiva, e con la partecipazione di un pubblico ugualmente ben selezionato.
Con lei Reggio Emilia e il territorio limitrofo perdono la rappresentante di una stagione eccezionale, illuminata dall’ingegno multiforme e sempre più attuale di Adriano Spatola e di Corrado Costa, mentre anche un ex-sindaco, Remo Bonazzi, aveva fatto la sua parte, dimostrando che talvolta la felice unione tra politica e cultura può esistere davvero, confermata anche dal tenace contributo di sua moglie Marisa.
In quella felice stagione a Reggio avvenne il fortunato incontro di due lembi del nostro migliore sperimentalismo, da un lato il “Pari&Dispari” di Rosanna, dall’altro il “Malebolge”, appendice avanzata della neoavanguardia italiana. La bandiera del miglior sperimentalismo internazionale ha sventolato alta, nel cielo reggiano, quasi a volerci ricordare che da quelle parti era nato pure il Tricolore.
Renato Barilli
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