Installazioni artistiche e diritto d’autore
Come funziona la legge sul diritto d’autore quando si parla di installazioni artistiche? La causa vinta da Gianluigi Ruju e Giuseppe Iavicoli contro una nota multinazionale farmaceutica è un’importante precedente. In un ambito da sempre molto delicato.
RUJU E IACOVILI VS BAYER
Con la sentenza del 9 febbraio 2016, il Tribunale di Milano ha riconosciuto la tutela di diritto d’autore a un’installazione artistica di carattere creativo. L’installazione, ideata nel 2007 da Gianluigi Ruju e Giuseppe Iavicoli nell’ambito del progetto Puzzle4Peace, consisteva in una combinazione di lampade tridimensionali a forma di puzzle incastrate le une alle altre, fino a formare una grande parete di colore bianco con l’inserto di uno o più tessere rosse che si illuminavano, creando particolari effetti.
Nel 2013 gli autori, insieme alla Scart-i Onlus, hanno chiamato in giudizio la Bayer e l’agenzia pubblicitaria che, su commissione della prima, aveva realizzato uno spot televisivo andato in onda nel 2011 per pubblicizzare un farmaco. Gli artisti lamentavano che il filmato pubblicitario costituiva plagio dell’installazione, poiché riproduceva al suo interno un’opera simile alla loro. La causa si è conclusa in modo favorevole per gli autori poiché i giudici, dopo aver accertato la presenza del requisito del carattere creativo dell’installazione, hanno ritenuto che lo spot pubblicitario costituisse plagio dell’opera e hanno condannato i convenuti a risarcire i danni patrimoniali e morali subiti dagli autori.
CREATIVITÀ AL CENTRO
Per accertare la creatività dell’opera, i giudici hanno fatto applicazione del consolidato principio secondo cui tale requisito “non è escluso dal fatto che l’opera è composta da idee e nozioni semplici comprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza in materia”. In questo caso specifico la creatività dell’installazione consisteva nel modo con cui le tessere del puzzle erano state assemblate tra loro, ovvero nella particolare tridimensionalità dell’installazione, nella cromatura, nella proporzionalità tra i colori rosso e bianco, nella luminosità, nell’interazione con l’esterno.
Secondo i giudici, nei primi momenti dello spot della Bayer, pur non essendo riprodotta integralmente l’installazione degli autori, vi era un plagio poiché erano ripresi tutti gli elementi caratterizzanti l’opera, con conseguente riproduzione dello stesso impatto visivo/comunicativo. Al contrario, non ci sarebbe stato plagio, ma semplice ispirazione lecita, qualora l’installazione riprodotta nel filmato, pur ispirandosi all’opera degli attori, si fosse significativamente discostata da questa fino a far perdere nella mente dell’osservatore il rapporto di derivazione diretta tra le opere.
IL PREZZO DEL CONSENSO
Sulla base di tali presupposti, è stata accertata la responsabilità per plagio sia dell’agenzia pubblicitaria che aveva materialmente realizzato lo spot, sia del committente, poiché le imprese che utilizzano nelle loro attività opere dell’ingegno sono tenute al controllo della titolarità dei diritti di privativa altrui.
Infine, per quantificare il danno patrimoniale è stato utilizzato il criterio del “prezzo del consenso”, per cui i convenuti sono stati condannati a pagare quanto gli autori avrebbero verosimilmente richiesto per autorizzare l’utilizzazione dell’opera all’interno dello spot.
Si tratta di una decisione molto interessante, perché fornisce indicazioni utili sul rapporto di derivazione o di semplice ispirazione tra opere, nonché sulle opere create su commissione e sull’onere di diligenza che comunque incombe su chi commissiona a terzi la creazione di un’opera dell’ingegno.
Raffaella Pellegrino
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31
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