Roma, elezioni 2016. Da Raggi a Giachetti: la sfilata degli spot
Avevamo già analizzato le tecniche di comunicazione e le personalità dei principali candidati delle prossime amministrative. Torniamo sul tema, stavolta concentrandoci su Roma e sulle produzioni video. Quattro spot elettorali, con tanto di analisi e giudizi, più un fuori concorso. Che però vince. Nella sua inadeguatissima follia.
TUTTI PAZZI PER I SOCIAL (O QUASI). E PER GLI SPOT
Siamo al rush finale. Campagna per le amministrative agli sgoccioli e candidati in fermento. Polemiche che montano, ospitate tv come se non ci fosse un domani, e poi carta stampata, blog, social e testate on line invasi da notizie, gossip, analisi politiche, diatribe più o meno pretestuose, meme, tweet, post. A una decina di giorni dal voto, i giochi sono praticamente fatti. Ma la comunicazione, si sa, continua a martellare fino all’ultimo momento lecito, prima che scatti il silenzio d’ordinanza. Un piccolo scandalo, un errore fatale, un incidente diplomatico, uno scheletro che salti fuori dall’armadio, o al contrario una buona trovata, un’intuizione geniale, un cambio di passo significativo, possono fare la differenza.
E tutto ciò nonostante la questione del referendum di ottobre stia monopolizzando l’attenzione: Matteo Renzi, che su quel fronte si gioca tutto in prima persona – la faccia, la tenuta del governo, il suo futuro – delle comunali praticamente non parla. Come se non esistessero. Un po’ perché la vera battaglia è l’altra, un po’ perché sa – in cuor suo – che il Pd è in sofferenza. Personalizzare questa tornata alle urne sarebbe un rischio letale, anche per un maestro della spregiudicatezza come lui.
A ogni modo, i candidati continuano a macinare chilometri, promesse, comizi, strette di mano. Ma quanto conta lo spazio del web, in una campagna? In apparenza molto, per chi sul web (e col web) ci campa. In realtà l’incidenza non è così ampia e totalizzante. I social media non devono e non possono fagocitare tutto il resto, dal contatto fisico tra candidato ed elettori al ruolo dei media tradizionali: potenziano, semmai. Rimbalzano, amplificano, affinano, completano.
Senza contare che in Italia il livello di analfabetismo informatico e funzionale-digitale è piuttosto significativo (dati Istat alla mano). I giochi, allora, per le fasce meno filo-tecnologie, meno attente al dibattito politico, meno avvezze a usare internet per informarsi e approfondire, si fanno anche all’antica. Il bar, la piazza, le periferie, i giornali, i facsimili, gli incontri coi cittadini, il passaparola, i manifesti per strada, il telegiornale, il sentito dire. Nonché – ahinoi – il vecchio voto di scambio, duro a morire.
Queste amministrative, nello specifico – come abbiamo già evidenziato in precedenza – non hanno brillato in quanto a comunicazione, tantomeno sul piano della creatività in rete. Tuttavia, sui social, i politici ci stanno eccome. Se la giocano anche là, non mollando la presa. E pure uno spot può servire. Anzi: non puntare sui video, nell’era di Youtube, è roba da sfigati. O forse, al contrario, da invincibili snob?
MA CHE SO’ N’ATTORE IO?
Il candidato Pd a sindaco di Roma Roberto Giachetti ha appena lanciato il suo spot. Che è, in fondo, un anti-spot. O un meta-spot. Insomma, il gioco è tutto sull’arte di confezionare i tipici teaser retorici, pomposi, auto celebrativi, col protagonista in mezzo ai suoi elettori che sfoggia un’oratoria altisonante.
Ma niente, Giacchetti non ce la fa. E dopo le prime battute, a sbiriciare palesemente il gobbo, interrompe il copione e in romanesco sbotta: “Ma de che stiamo a parlà? Ma io sto in mezzo alla gente a parlà di programmi, di buche, di Olimpiadi. Devo sta a pensà alla lettera d’amore a una città abbandonata? Ma che so’ n’attore io? È ‘na telenovela?”. Sdrammatizzare e fare dell’autoironia, spazzando via un po’ di enfasi da cartolina elettorale.
Lo spot è ben fatto e Giachetti conferma qui la sua carta migliore. La credibilità. Credibile nella parte di persona semplice, vera; credibile – va detto – anche come aspirante Primo Cittadino. La sua forza sta tutta nel piglio rassicurante, nell’esperienza, nell’aria da professionista navigato, che convive col fare amichevole, mai abbottonato. Non buca, non è un trascinatore, ma resta un personaggio autentico e politicamente abbastanza robusto.
Quanto al video, l’idea funziona, ma non è nuova. Quello dell’attore che s’interrompe sul set e commenta la sceneggiatura è un topos drammaturgico. E già qualcun altro, in ambito politico, lo aveva utilizzato.
Si tratta di Guglielmo Minervini, nel 2014 competitor di Emiliano per le primarie del centro-sinistra in Puglia: “Io le cose finte non le so fare!”, esclamava in chiusura, dopo il tentativo di recitare la sua parte e una serie di errori.
La polemica sul presunto plagio è esplosa, ma l’agenzia Proforma si difende, notando giustamente la differenza dei plot (qui un sabotaggio del classico format video, lì un collage di take sbagliati). E a ogni modo, sono dettagli: 250.000 visualizzazioni in poche ore per Giachetti. Promosso, anche dal web.
SE IL TESTIMONIAL È NERONE
In fatto di spot il M5S può solo vantare una lunga storia di insuccessi. La produzione di video elettorali pentastellati è costellata di orrori. Roba naïf, pensata, girata e recitata male, con punte di patetismo e di ingenuità clamorose.
E invece, stavolta, si cambia direzione. Tanto quanto appare seria, posata, consapevole, la candidata Virginia Raggi, tanto i suoi spot sembrano più maturi e credibili rispetto alla media grillina. Il taglio “ggiovane” e divertente resta, ma è chiaro che dietro ci sono dei professionisti.
I tempi del Do It Yourself, forse, sono finiti. Già l’idea è azzeccata. Ogni video della piccola serie è dedicato a un personaggio storico mitologico: Nerone, Lucrezia Borgia, Giulio Cesare, impegnati in soliloqui dal tono attoriale, fra citazioni storiche su Roma, stilettate polemiche, tempi comici e sconfinamenti nell’attualità. Un difetto? Manca il candidato. Ma la cosa è in linea con l’approccio de Movimento: quel che conta è il simbolo. Il gioco dunque – come raccontato dall’hashtag #cambiastoria – sta tutto nella possibilità di un remake. La storia cambia, se a riscriverla sono i Cittadini a Cinque Stelle. Promossi. Ed è stata una sorpresa.
DIFENDERE ROMA. E LO SPOT È UNA DICHIARAZIONE DI GUERRA
Inconfondibile lo stile di Casapound. Al punto che, non di rado, i fascisti del Terzo Millennio finiscono per scivolare nell’auto parodia. Il fatto è che a non spingere sul tasto del populismo, sull’estetica marziale, sulla retorica delle famiglie, dell’identità e dei confini da proteggere… proprio non ce la fanno. Combattenti senza se e senza ma. “Dio, Patria e Famiglia” è ancora il motto tatuato sui cuori di questi giovani cresciuti a pane, Mussolini, occupazioni abitative, anticomunismo e rock identitario.
Il video per le amministrative romane 2016 vede il candidato Simone Di Stefano avanzare fiero, scortato dalla sua gang di commilitoni. Serissimi e incazzati. L’hashtag, come l’urlo del guerriero, recita #difendereroma.
Ed è tutto un frullato di riferimenti alle ronde (“dobbiamo essere disposti a scendere fisicamente nelle strade”), alla sicurezza, alla lotta contro sbandati, abusivi e clandestini. Tema portante: lo straniero senza casa e lavoro va espulso subito (peccato che le leggi sull’immigrazione attengano allo Stato), mentre i cittadini sorvegliano con apposite pattuglie il territorio (e qui scatta un poco d’ansia). Mamme e bambini italiani, felici nei parchi della Capitale, sono infine l’immagine idilliaca del domani.
Lo spot, dal punto di vista di storyboard e montaggio, lascia a desiderare. A partire dalla durata: due minuti e mezzo di monologo ininterrotto. I contenuti però sono chiari e per chi si identifica in quell’area politica anche efficaci. Peccato che il tutto risulti rigido, serioso, retorico, incredibilmente aderente a un cliché. Caterina Guzzanti avrebbe di che lavorarci per una nuova gag. Bocciato.
PATRIOTTISMO PATINATO
“Questa è Roma”. Dice Giorgia Meloni. Che suona un po’ come una dichiarazione d’amore e d’orgoglio, la difesa dell’impero. È Roma: mica possiamo lasciarla morire così. La candidata di Fratelli d’Italia si misura con uno spot che le assomiglia. Tono severo, niente fronzoli, proclami decisi, tutto imperniato sulle regole, la sicurezza, la lotta al degrado. Il NOI viene scandito con piglio patriottico, seguito da un “non possiamo tollerare l’illegalità e tutto quello che abbiamo visto in questi anni”. E niente eccezioni! I caratteri cubitali si stagliano contro immagini della Roma imperiale, che scorrono patinate fra note trionfali: il Colosseo, i Fori, Piazza del Popolo. Post-fascismo contemporaneo in salsa photoshop, che ammicca alla comunicazione pubblicitaria più ruffiana. Compitino corretto, ma niente di che. Rimandata.
GLI ASSENTI. E IL VINCITORE ASSOLUTO
Non pervenuto lo spot di Alfio Marchini, che pure vede il suo main sponsor in Berlusconi, padre del più celebre spot elettorale della storia italiana: tentare il bis, con “Meno male che Marchini c’è”, poteva risultare sacrilego, ma anche divertente. E invece no. Marchini “il bello” si sottrae alla telecamera.
Proprio come Mario Adinolfi, che a questo giro salta. E dire che c’era tutta un’estetica preconfezionata a cui il candidato del PDF si poteva rifare: mamme, figli, nonni, cani e gatti, tutti felici sul divano, tra favole, praterie, case, chiese, matrimoni e comunioni. Poco tempo e poco budget, forse. E però, a spulciare gli archivi di Youtube, qualcosa salta fuori. Fatta evidentemente in pochi minuti e senza un soldo. Eppure geniale.
Adinolfi, nel lontano 2007, quando ancora militava nel PD, lanciava con convinzione il suo primo video elettorale. Una roba fuori da qualunque categoria. Poesia pura. È tutto qua: quattro riprese sciatte di scorci cittadini, tra caseggiati di periferia, portoni, fontanelle. Una roba low profile, sgranata, montata artigianalmente. E un’unica frase: “Anche ad agosto non va in vacanza. Marioadinolfi.it”. Nient’altro, né la sua faccia, né un’azione, né una storia. Giusto l’infinita tristezza di un personaggio evocato, che resta solo, nella Capitale, a morire di caldo e a sgobbare.
Uno spot anti-seduttivo, anti-comunicativo, anti-estetico, che se ne infischia di ogni regola tecnico-stilistica. Resta tutta la poesia di una cosa minuta, malinconica, comica e amara, popolare, buttata là. La tenerezza. La solidarietà. La compassione. Come non volergli bene? Alla fine della fiera, il vincitore è lui. Con un filmatino casalingo di dieci anni fa. Super promosso. E siamo già nel campo della videoarte. Altro che spot.
Helga Marsala
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