Biblioteca Nazionale di Roma. Il purgatorio del ricercatore
È attualità anche questa. Non lo direste mai, ma sacchetti di plastica e microfilm sono la realtà odierna di chi, facendo ricerca, deve utilizzare le biblioteche. Anche le più celebri e fornite. Una piccola storia personale (la prima di una serie che interesserà altre biblioteche), specchio dei tempi e, soprattutto, di un Paese che non avanza. Anzi, arretra rispetto agli altri Stati europei.
A tutti coloro che studiano o che banalmente sono interessanti ad approfondire, sarà capitato di avere a che fare con la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma almeno una volta nella vita. Di solito, dopo la prima esperienza, si cerca sempre di trovare una via d’uscita, una scappatoia che eviti di tornare in quel dedalo burocratico che è una delle più grandi e fornite biblioteche d’Italia. Per chi non avesse mai avuto il piacere di visitarla, ecco un paio di utili consigli per il fruitore.
L’usanza comune prevede che in biblioteca si possa anche studiare un proprio libro; niente di più sbagliato. Alla Biblioteca Nazionale non si può introdurre alcun tipo di libro e non più di quindici fotocopie. Se avete assoluta necessità di un testo che portate da casa, dovrete passare da un apposito ufficio che vi fornirà un attestato lasciapassare. Ma questo non vi viene detto e dunque, se siete dei neofiti, lascerete la vostra borsa negli apposti armadietti ed entrerete fiduciosi a fare la tessera. Se, folli e sovversivi che non siete altro, vorrete introdurre un computer o un tablet, deve essere fuori dalla sua custodia. Quindi passate le porte a vetri, nudi e pronti a una nuova rinascita intellettuale privi delle vostre borse e dei vostri astucci porta cavi come novelle dee kalí della ricerca. Alcuni più esperti sono muniti di un sacchetto di plastica trasparente e allora timidi domandate alla scortesissima custode. I sacchetti si prendono fuori, all’ingresso dal quale siete venuti. E fareste anche bene a tornare indietro a prendere il portafogli, poiché serve la carta d’identità per fare la tessera. Dunque uscite, rientrate versando l’obolo dell’euro al vostro Caronte di plastica, e finalmente siete all’accettazione.
Compilate un modulo e vi scattano una foto che viene immediatamente stampata su una carta di plastica. Da questo momento in poi questa sarà la vostra migliore amica. Il suo chip interno vi permetterà di prenotare libri direttamente dai terminali, entrare e uscire dalla biblioteca e financo ritirare le fotocopie che ordinerete in copisteria.
Nel caso in cui, come la scrivente, abbiate deciso di consultare una serie di riviste o quotidiani, di cui la Nazionale è spesso unica detentrice in Italia, la faccenda si complica non poco.
Quando arrivate, vi dicono che avreste dovuto prenotare le bobine per microfilm su internet, ma la prenotazione può avvenire solo tramite tessera della biblioteca che voi non avevate fino al momento precedente e di cui intuite a questo punto il potere quasi taumaturgico. Vi spediscono dunque a uno dei terminali e vi fanno prenotare l’annata della rivista richiesta. Ovviamente nessuno vi spiega come funziona. Dovete capirlo da soli. Gli addetti al banco informazioni devono ancora adattarsi alla novità del computer e non sanno nulla. Dunque prenotate e aspettate. Non avete potuto introdurre libri, qiundi aprite il computer per connettervi a internet e controllare la posta. Errore. La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma non è fornita di rete wireless. Non potete fare altro che tornare alla vostra postazione e attendere. Ore. Almeno una. In cui fate di tutto, compresa una visita al bagno con la vostra inseparabile busta di plastica trasparente che inizia pericolosamente a cedere sotto il peso di chiavi, portafogli, computer, caricabatteria e cellulare, e penna e quaderno. E tessera della biblioteca, ovviamente.
Finalmente la spia rossa sulla vostra postazione diventa verde: è arrivato il materiale. E qui scoprite che, se avete chiesto un’annata di un quotidiano che occupa più di tre bobine di microfilm, queste vi saranno consegnate in seguito. E non seguendo alcun ordine cronologico. Il bibliotecario, seccato da tutte le vostre domande e richieste, voi indirizza velocemente alle macchine per leggere i microfilm. Queste appartengono a un’era geologica diversa dalla vostra. Sono antiche, preistoriche, la metà non ha la lampadina e non può essere usata. Iniziate a innervosirvi ma avete tra le mani (una parte) di quello per cui siete venuti fin qui, dunque coraggiosamente vi accostate a questi oggetti del mesozoico. Aprite qualunque sportello tentando di seguire le istruzioni, ma nulla. Non funziona.
E qui scoprite la presenza dell’aiutante di sala che se ne sta beato a fare il sudoku dietro una bella scrivania. Quando con cortesia chiedete aiuto, l’uomo distoglie lo sguardo dal malefico quadrato e vi dice: “Signorí nun ve so aiutà”. E questo è quello che vi ripeteranno tutto il giorno. Dopo che sarete riusciti finalmente, grazie a un altro utente, a far funzionare la macchina, dopo che avrete richiesto delle copie con un metodo via computer di cui nessuno sembra avere coscienza e di cui venite a capo solo alle 14 grazie al provvido intervento delle ragazze della copisteria. Mangiate frugalmente un tramezzino e decidete di rientrare, ma attenzione: sono scattate le 14.30. Il servizio distribuzione riprende domani.
Dovete prenotarvi dal terminale tramite la tessera della biblioteca, anche se non vi assicurano che lo stesso verrà recuperato nelle successive 24 ore. E allora mestamente raccogliete la vostra borsa di plastica di cui ormai si è rotto un manico e uscite nello splendido pomeriggio di Roma. Pronti a tornare il mattino seguente, molto presto, portando un sacchetto di plastica trasparente da casa.
Chiara Di Stefano
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