La Mano de Dios: eretto un bunker di mattoni nella cripta del Museo Marino Marino di Firenze
Dopo trenta anni dal più celebre gol di mano della storia del calcio, l’artista libanese Rayyane Tabet, per la prima personale italiana, firma un esteso intervento architettonico. Intrecciando memorie personali e collettive, a partire da quella rete segnata da Maradona…
È a Firenze che si compie il quinto e conclusivo atto della serie Five Distant Memories – dopo The Suitcase, The Room, The Toys, The Boat and Maradona – il progetto decennale con il quale l’artista libanese Rayyane Tabet (Ashqout, 1983) ha scelto di non sottrarsi al flusso dei suoi ricordi, indissolubilmente legato alle vicenda della Guerra del Libano, ma di renderli materia viva. Curata da Leonardo Bigazzi, questa prima personale italiana di Tabet si sostanzia ne La Mano de Dios, un intervento di chiara matrice architettonica che strappa i visitatori dalla dimensioni ovattata e misteriosa, tipica degli spazi sotterranei – e dell’avvolgente cripta del Museo Marino Marini in particolare – per catapultarli nello status di dolente sospensione del conflitto bellico. Quattro gli elementi messi in campo dall’artista per un’operazione emotivamente coinvolgente: i mattoni forati, una radiolina, le voci sovrapposte di uno speaker radiofonico e di anonimi tifosi e alcuni, forti, fasci di luce. Una serie di fari, disposti su pali, portano subito alla mente l’illuminazione degli stadi, ma – inequivocabilmente – anche quella impiegata in situazioni d’emergenza.
UN’EVOCATIVA DISCESA SOTTOTERRA
Partendo dalla partita che contrapposte Argentina ed Inghilterra ai Mondiali 1986 – passata alla storia per il goal di mano di Maradona e per le tensioni latenti tra i Paesi, successive alla guerra delle Falklands – Rayyane Tabet è risalito fino al suo ricordo di quel match e, quindi, all’infanzia. A Beirut, la notizia calcistica venne eccezionalmente diffusa con la sirena impiegata per segnalare gli imminenti bombardamenti, un suono violento riprodotto in loop ne La Mano de Dios, in associazione alla voce, piena di entusiasmo, del commentatore radiofonico. L’espediente calcistico, ha fornito a Rayyane Tabet lo stimolo per la riproduzione fisica del bunker nel quale trovava riparo con la sua famiglia durante i bombardamenti: alla riconfigurazione di questo ambiente ha lavorato lui stesso, probabilmente sollecitato anche dalla formazione come architetto.
LA MEMORIA PERSONALE E LA MEMORIA DELLO SPAZIO
Trasmettendo la condizione di precarietà imposta dal conflitto libanese, così come da tutte le guerre, l’operazione riesce a riconnettere anche la cripta stessa con il suo passato. Impiegato dai fiorentini come rifugio durante gli attacchi aerei della Seconda Guerra Mondiale, grazie alle inedite visuali offerte dai muri eretti, mattone dopo mattone, da Tabet e dalle luci intense, lo spazio underground del Museo rivela emergenze di pregio, altrimenti poco percepibili. Partendo da un ricordo personale, restituito esclusivamente attraverso il suono, senza alcuna immagine, La Mano de Dios attiva quello che il curatore Bigazzi ha qualificato come un “dialogo rivelatore delle peculiarità del luogo”: in un continuo rincorrersi di corrispondenze, tra accadimenti locali e la storia del Medio Oriente, tra episodi individuali e passioni collettive, al quale è impossibile sottrarsi.
– Valentina Silvestrini
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