Nanni Balestrini. Intervista sugli Anni Settanta
L’8 giugno, negli spazi di FM Centro per l’Arte Contemporanea, interventi, video, performance e letture hanno raccontato Nanni Balestrini. “Tutto” in una volta, per il quarto appuntamento del ciclo di eventi legati alla mostra “L’Inarchiviabile”. Lo scrittore, il poeta, l’artista si è prestato a qualche battuta con Artribune.
L’incontro dedicato a Nanni Balestrini (Milano, 1935), nell’ambito della mostra L’Inarchiviabile/The Unarchivable. Italia anni 70, ha visto l’alternarsi di intellettuali, registi, teorici e scrittori che lavorano con o sui differenti aspetti della sua opera in ambito letterario, poetico, artistico, teatrale, musicale, performativo, video, editoriale.
Da Gillo Dorfles ad Aldo Nove, da Sergio Bianchi a Gino Di Maggio, da Luigi Pestalozza ad Antonio Riccardi, da Antonio Loreto a Giulia Niccolai, da Lorenzo Loris ad Achille Bonito Oliva, hanno ripercorso la guerriglia culturale di Nanni Balestrini. Che si è dedicato generosamente a qualche domanda, prima che il “tutto” avesse inizio.
“Ho visitato L’Inarchiviabile”, premette Balestrini, “è una rassegna straordinaria, mi ha colpito molto. È importante, avvincente, perché mostra un lato degli Anni Settanta che non racconta solo la violenza degli Anni di Piombo, del terrorismo – dimensioni che li hanno criminalizzati e colpevolizzati, messi nell’ombra, scacciati. Per le due generazioni che li hanno vissuti, erano anni straordinari, gli anni della gioia, della liberazione, che rendevano tutto possibile. Anni che poi sono stati brutalmente repressi. E spesso si ritiene che sia vera la leggenda secondo la quale gli Anni Settanta siano stati un periodo in cui tra le arti e le discipline, dalla letteratura al teatro alla musica, non vi sia stata alcuna evoluzione. Invece, anche per le arti visive, in questa mostra si dimostra quanto fossero attivi e propulsivi artisti straordinari, anche quelli che si erano dimostrati già importanti negli anni precedenti. Gli Anni Settanta hanno visto grosse innovazioni nel mondo dell’arte, innovazioni che non si possono ridurre a mero transito sull’Arte Povera. L’arte negli Anni Settanta ha avuto fin da subito un rapporto stretto tra rivolta, insubordinazione e trasformazione sul piano sociale e politico. E questa mostra ne è una grande testimonianza.
Ma come si fa a raccontare Nanni Balestrini “tutto in una volta”?
Io sono spesso diviso tra diverse direzioni: poesia, letteratura e arte visiva; dimensioni che spesso vengono viste come separate, ma all’interno delle quali mi sono sempre mosso con fluidità. L’idea di alcuni amici è stata quella di fare una summa di come si siano raccordati, in me, questi diversi campi di azione, di lettura.
Come parlare di maestri nella tua vita? Luciano Anceschi era uno di quelli?
Anceschi è stato il maestro di scrittura di tutta la mia generazione, a metà degli Anni Cinquanta. Lui ha raccolto attorno a sé un gruppo di giovani e li ha spinti a parlare, senza voler imporre un proprio discorso. Estraendo una parola nuova che seguisse la grande trasformazione dell’Italia, da Paese agricolo a Paese industrializzato. Tutto era cambiato e c’era bisogno di nuove voci, di nuove esperienze per dirlo. Serviva una nuova ottica per guardare attraverso quel che stava succedendo. In completo contrasto rispetto a una vecchia generazione che voleva mantenere i propri privilegi.
Che cosa ricordi di Manzoni, Castellani e Bonalumi? Partecipavi ai loro vernissage milanesi? Hai mai conosciuto Scheggi?
Curiosamente, Scheggi non l’ho mai frequentato, con lui non ho mai instaurato quel rapporto stretto che ho avuto, a Milano, con Manzoni, Castellani e Bonalumi, anche perché loro spesso partecipavano a riviste per le quali scrivevo anch’io. Si collaborava con Azimuth, Il Gesto. Loro pubblicavano le mie poesie, così come quelle di altri poeti, di Sanguineti ad esempio. Ricordo ancora il tempo passato nello studio di Manzoni, giorno e notte, eravamo amicissimi, legati e sempre nutriti da quel che succedeva attorno al Giamaica e a Brera. Oggi non è più immaginabile.
Per quanto riguarda Berio, Nono e Marchetti?
Marchetti è arrivato un po’ dopo. Ma allora non era un fatto strano che tra poeti, letterati, musicisti, artisti visivi ci fossero rapporti: lo scambio, lo stare assieme, il riconoscersi era la dimensione più naturale per tutti. Tutte le esperienze venivano in contatto e si influenzavano l’una con l’altra. Per gli scrittori, poi, era importante, dopo tutto quel che il fascismo aveva bloccato, riprendere il corso dell’arte contemporanea e dell’arte visiva, che essendo linguaggi internazionali avevano avuto una circolazione più diretta, più immediata. Per noi giovani scrittori erano molto importanti, molto fecondi gli scambi con i musicisti. Anche Eco con Opera aperta aveva mostrato questa strada.
Una volta hai affermato: “Spesso ho avuto una vita fortunata. Forse non dovrei dirlo per scaramanzia”.
Lo confermo, lo ribadisco: sono stato fortunatissimo. Negli Anni Cinquanta, Anceschi mi ha aperto le porte della letteratura. Negli Anni Sessanta ho attraversato un’espansione della letteratura, della musica. Negli Anni Settanta ho assistito alla trasformazione della società e della vita. Prima di allora c’era un mondo completamente diverso nei rapporti uomo-donna, così come in quelli genitori-figli. Il fatto di aver vissuto in quei tre decenni momenti straordinari mi ha ripagato degli Anni Ottanta, durante i quali l’Italia è cominciata a diventare un po’ più triste e un po’ più inutile.
Dopo Vogliamo tutto, Gli invisibili e i Furiosi, come raccontare oggi il senso per la collettività? Che cosa è successo con Internet?
Il rapporto fra le arti e gli artisti, oggi, con Internet non è cambiato: è scomparso. Solo i poeti sono rimasti una piccola tribù, ma quasi clandestina e sotterranea, perché non li pubblica più nessuno. Su Internet ci sono siti nei quali si ritrovano, ma assomigliano a catacombe elettroniche. Oggi scrittori e artisti sono isolati, ma non fisicamente o virtualmente, perché la logica è che ognuno debba fare per sé contro tutti gli altri. È la vittoria del neo-capitalismo liberista: bisogna affermarsi a scapito di qualcun altro. Non è più come una volta, in cui si ambiva a fare gruppo, a concepire un’azione comune, per far sentire un coro di voci. Oggi la scelta si svolge tra me e te, tutti gli altri sono nemici, uno solo può essere unico: questa idea negli Anni Settanta non esisteva. Avevamo il pensiero un po’ epico dell’esistenza di un gruppo che lottava contro un gruppo ostile, nemico perché detentore di idee vecchie, sorpassate. E questo approccio, forse, ha portato a una diminuzione del valore della creazione.
Dopo Tape Mark I (1961) avresti mi previsto una diffusione tale del cosiddetto computer?
Gli sviluppi dell’elettronica sono straordinari, ma – come tutte le scoperte delle scienze e delle tecniche – possono avere risvolti positivi e negativi. Gli usi compulsivi di telefonini e social network non hanno valore positivo, perché prima di tutto celano sempre uno sfruttamento economico, e poi perché sottraggono – più che dare – esperienze del mondo reale alle persone. Tutti si attaccano ai dispositivi per scambiarsi forse troppi rumori senza più informazioni. Questo non è un grande risultato. Mentre con le macchine si potrebbero creare discorsi meravigliosi.
Negli Anni Sessanta/Settanta molto succedeva per strada e tu traevi materia/materiale da quel che percepivi oralmente. Oggi, invece, qual è la tua fonte, la tua ispirazione per la scrittura?
Il mondo esterno, la strada, rimane sempre, perché è quello in cui si vive veramente. Dal virtuale si può trarre ispirazione ma solamente come antitesi, mai come fonte diretta. Anche perché il virtuale è finto e non fa parte della nostra carne e del nostro sangue. Mentre la gente, per strada, piuttosto che ascoltare i rumori attorno a sé preferisce rintanarsi nelle cuffie. È come riprodurre tutto il genere umano attraverso un grande frigorifero, impedendogli di vivere quel che è il mondo nella sua materialità, nella sua temperatura. Vivere in un mondo di sola riproduzione – cinema incluso, dato che non è più su pellicola – non può che essere negativo. Noi siamo circondati da immagini non materiche, da fantasmi.
Potresti esprimere un pensiero su questa giornata, su queste ore dedicate a te?
Io sono molto commosso e forse preoccupato, perché è un po’ come se fosse un mio giubileo. Ma sono molto riconoscente che amici di questa portata, persone che ancora mi apprezzano e mi vogliono bene, pensino a me in questo modo: una vera gioia della vita. Provo molta, enorme gratitudine.
Ginevra Bria
Milano // 8 giugno 2016
Nanni Balestrini – “Tutto” in una volta
a cura di Manuela Gandini e Marco Scotini
FM CENTRO PER L’ARTE CONTEMPORANEA
Via Piranesi 10
02 73981
[email protected]
www.fmcca.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/54391/tutto-in-una-volta-nanni-balestrini/
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati