Bevilacqua La Masa e la fragilità delle istituzioni culturali

Acqua sul fuoco delle polemiche scoppiate negli scorsi in giorni in seguito alla notizia del possibile assorbimento dell’istituzione veneziana da parte del Comune di Venezia. La Fondazione rimarrà probabilmente autonoma dal Comune. Ma il caso BLM ci racconta della debolezza delle istituzioni culturali nel nostro Paese.

IL QUADRO AMMINISTRATIVO
La volontà espressa dalla Giunta del Comune di Venezia di chiudere la Fondazione Bevilacqua La Masa a favore di un suo accorpamento all’interno del Comune nasce da un’esigenza di riorganizzazione degli enti che è stata imposta (e giustamente!) da una legge dello Stato. Il provvedimento impone di ripensare le strutture organizzative che si sono incrostate in anni di irresponsabile finanza allegra e poltrone da assegnare. Spetterebbe alla politica fare le opportune valutazioni su quali siano le parti inutili da tagliare e quali invece le preziose da tenere, ma in questo paese – costituito da una classe dirigente mediocre, da funzionari incapaci e da una politica arraffona – dobbiamo dare quasi per scontato che ciò sia un’eccezione più che la regola. Chi è realmente in grado di valutare? Con quali criteri avviene la scelta che non siano il banale consenso o l’opportunismo?
Se è accaduto in passato che la politica abbia agito in modo casuale, il caso della BLM a Venezia potrebbe invece essere l’occasione per maturare una consapevolezza del ruolo di tale istituzione nel panorama italiano. Andando oltre la sostanziale antipatia nei confronti della cultura come servizio ai cittadini, e non come anima del turismo, che è tipica di un sindaco che proviene da un ambiente imprenditoriale ruspante e di stampo padronale.
Dopo un po’ di paura il caso sembra ora sgonfiarsi nel più classico e inconcludente tarallucci e vino.

Ca' Pesaro, a Venezia

Ca’ Pesaro, a Venezia

L’ANOMALIA DELLA BLM
Con una storia centenaria, la Fondazione nasce per un lascito liberale di Felicita Bevilacqua La Masa in favore della città lagunare mirato “a profitto specie di giovani artisti ai quali è spesso interdetto l’ingresso nelle grandi mostre”. La contessa dà prova di capire di quale pasta siano i politici italiani e precisa infatti come la finalità espresse nel suo testamento siano vincolanti, pena la sua revoca. Ed è lì, nel meraviglioso palazzo sul Canal Grande progettato dal Longhena, che i giovani artisti danno vita a una delle più prolifiche stagioni dell’istituzione sotto la guida di Nino Barbantini.
Nei decenni successivi la BLM si evolve fino alla situazione attuale, con gli studi d’artista divisi tra Giudecca e i Carminati e le sedi espositive a Palazzetto Tito e in Piazza San Marco. Governata con un CdA, contrariamente a quanto avviene in simili istituzioni non esiste una direzione artistica poiché è il presidente stesso, scelto dal Comune di Venezia, a farsi carico di tale funzione, per di più a titolo gratuito. Ne è derivato, immancabilmente, che tale ruolo non sia stato svolto a tempo pieno, come sarebbe auspicabile, ma abbia visto la presenza di figure professionali con altri incarichi (si veda ad esempio come l’ultimo presidente, Angela Vettese, sia stato diviso tra numerosi altri ruoli presso lo IUAV, la Galleria Civica di Modena, la Fondazione Pomodoro, ecc.), non certo valorizzando la funzione e la struttura dell’istituzione.

IL TEMPO PERSO
La cordialità politica e istituzionale della BLM con il Comune di Venezia nel decennio precedente ha messo la Fondazione in un limbo dorato, contribuendo a far perdere tempo prezioso: nessuno si è curato di provvedere alla realizzazione di una completa autonomia di un’istituzione che avrebbe invece tutti i requisiti per esserlo, ricalcando quel percorso che ha visto la nascita della Fondazione Musei Civici di Venezia. Di progettare e rimodellare l’istituzione in buona sostanza non ci si è preoccupati, dato che i rapporti tra BLM e Comune sono sempre stati ottimi, in virtù della cultura amministrativa delle giunte precedenti, che si sono caratterizzate per un sostanziale rispetto sul piano istituzionale.
Ora invece, con il cambio di orientamento dell’amministrazione, la tentazione dell’accorpamento è parsa irresistibile, benché l’entità di un eventuale risparmio sia irrisoria. All’incapacità della politica di progettare/gestire le istituzioni si cerca di porre rimedio così con la mannaia dei tagli.

Pubblico presente alla commissione consiliare con cartelli Save BLM

Pubblico presente alla commissione consiliare con cartelli Save BLM

ACQUA SUL FUOCO
L’accorpamento con il Comune costringerebbe la BLM a una serie di lentezze burocratiche che porterebbero l’istituzione a una grande rigidità, che è esattamente l’opposto di ciò che essa, per la realizzazione della sua missione, ha bisogno. Ugualmente l’indipendenza garantisce una possibilità di libertà gestionale ed economica (si pensi solo alla possibilità, sempre sottoimpiegate, delle sponsorizzazioni private) che un ufficio del Comune non garantirebbe. Si sommi a questo le possibilità, tutt’altro che remote nel nostro paese, dell’ingerenza della politica sulle scelte culturali. A chi gioverebbe una BLM così?
A nessuno. E fortunatamente il mondo dell’arte e della cultura ha manifestato opposizione presenziando alle riunioni delle commissioni cultura, scrivendo sui giornali e sui social network. Tale reazione pare aver portato la giunta a fare ora un passo indietro, confermate dalle freschissime parole – già riportate da Artribune negli scorsi giorni – dell’assessore al Bilancio e alle Società Partecipate Michele Zuin che si è dichiarato disponibile “a rivedere l’accorpamento dell’Istituzione Bevilacqua La Masa all’interno della Direzione Cultura con l’obiettivo però di creare una “Nuova Istituzione” per renderla più dinamica e sempre più attiva nell’ambito delle iniziative della Città”.
Il mondo dell’arte non consideri però tale ripensamento della Giunta Brugnaro una vittoria. Il successo vero sarà quello di creare un’istituzione forte e indipendente, messa nella condizione di operare e di essere attraente per le sponsorizzazioni e collaborazioni esterne. Anche la politica, ora, non perda tempo e si imponga di pensare – almeno per una volta – in grande.

Daniele Capra

www.bevilacqualamasa.it

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Daniele Capra

Daniele Capra

Daniele Capra (1976) è curatore indipendente e militante, e giornalista. Ha curato oltre cento mostre in Italia, Francia, Repubblica Ceca, Belgio, Austria, Croazia, Albania, Germania e Israele. Ha collaborato con istituzioni quali Villa Manin a Codroipo, Reggia di Caserta, CAMeC…

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