La melanconia dei dragoni. Intervista a Philippe Quesne
Al festival World Breakers_Drodesera XXXVI, Philippe Quesne continua a stupire con la poesia dei suoi spettacoli dal forte impatto visivo. Ospite abituale, quest’anno l’artista francese presenta “La mélancolie des dragons”, spettacolo del 2008, per la prima volta in Italia.
Dopo gli studi di belle arti e un debutto da scenografo, dal 2004 Philippe Quesne dirige la compagnia Vivarium Studio. Amato dal pubblico internazionale per la forza ossimorica del suo lavoro, in cui ironia e melanconia, effimero e maestoso, reale e surreale, materia e sogno convivono, Quesne è oggi tra gli artisti più interessanti della scena internazionale.
In La Mélancolie des dragons un gruppo di rocker naufraga con una vecchia Citroën AX nel bel mezzo di un paesaggio innevato. Il tempo si è fermato a causa di un guasto. In questa realtà ovattata, cani e dragoni incontreranno la loro Biancaneve e metteranno in piedi per lei un parco divertimenti minimalista.
Un proiettore, una macchina del fumo, delle parrucche, il suono di un flauto: il meraviglioso può nascere da poco. Un paesaggio prêt-à-porter, costruito e smontato in scena, per ripartire in viaggio.
COABITARE
Le opere di Vivarium Studio sono prima di tutto scenografie abitate, in cui esseri umani, animali veri e finti si muovono con naturalezza. Nella Mélancolie des dragons la natura simulata e l’artificio svelato convivono nella scatola teatrale, dando vita a una drammaturgia aperta che accoglie anche i tempi morti e le incompletezze del mondo. Gli spettatori si ritrovano così a dedicare uguale attenzione a tutti i componenti di questo “terrario” teatrale. Come nasce la composizione ritmica dei diversi elementi dello spettacolo?
Non ho un copione, lo spettacolo si sviluppa con le prove. La mia scrittura scenica include il corpo, il suono, la materia, le luci, elementi che coesistono nella mia ricerca. Considero la scena come un microcosmo che esiste solo durante il tempo della finzione e si propone come un’alternativa alla società reale, una forma di utopia collettiva. Nel processo di creazione parto spesso qualcosa di molto semplice: azioni o paesaggi.
In La Mélancolie des dragons ad esempio ho iniziato con quest’immagine di un paesaggio scenografico nevoso, una bell’immagine che rinvia al meraviglioso e al fantastico. In seguito mi sono chiesto: come inventarsi una vita qui dentro?
IL MERAVIGLIOSO
“Lo schermo s’illuminava e loro fremevano di piacere. Ma i colori erano sbiaditi, le immagini saltavano, le donne erano terribilmente invecchiate; quando uscivano, erano tristi. Non era quello il film che avevano sognato. Non era quel film totale che ognuno di loro si portava dentro, quel film perfetto che non avrebbero saputo esaurire. Quel film che avrebbero voluto fare. Oppure, di certo più segretamente, che avrebbero voluto vivere” (Georges Perec, Le cose, 1965). La piccola comunità dei “dragoni” dello spettacolo riesce forse a indicarci un nuovo senso del meraviglioso, oltre la delusione di quel “film totale” sognato e irraggiungibile?
Spero sempre che si produca del meraviglioso. Lo spettacolo racconta la costruzione e poi la dissoluzione di questo paesaggio meraviglioso in quanto immagine scenografica. Il fatto che l’immagine poi svanisca, che il paesaggio venga smontato dagli attori stessi, non nasce da disincanto o disillusione, si tratta piuttosto di fiducia e speranza nell’uomo artista. E’ uno spettacolo, che come sempre nel mio lavoro, cerca di difendere il ruolo della poesia.
La poesia e l’arte non sono fatte di soli esseri umani, ma anche di “cose” come dice Perec o di materia, dunque poetico è anche potersi emozionare per delle bolle, del fumo, il suono di un flauto. L’estetica che voglio sviluppare tenta di difendere il posto necessario dell’arte nelle nostre vite, a discapito di quei valori attinenti all’ambito economico come, che attualmente controllano con effetti nefasti il nostro pianeta.
La poesia è sempre stata troppo poco considerata come possibile mezzo per emancipare l’umano e sviluppare modi diversi di guardare al reale, ciascuno al singolare. “Singolare” è una bella parola. Ciascuno di noi dovrebbe sviluppare la propria singolarità, non accontentarsi di ciò che ci raccontano, ma trovare percorsi individuali, soprattutto in questo momento storico.
Una parola che vorresti ri-significare o eliminare dal lessico comune ?
Non mi fido più di parole come ‘profitto’, una parola che ha perso valore ed è ormai sempre associata al vocabolario economico, a ciò che sta trasformando gli uomini in pecore e creando governi che vendono armi per controllare il pianeta.
Un progetto non realizzato (utopico o work in progress)?
I progetti che immagino e sogno cerco di realizzarli sempre. In questo momento sogno di creare qualcosa che si svolga su un’isola deserta. Vorrei portare gli spettatori su di un’isola, ma si tratta di un’intuizione che potrebbe diventare una finzione teatrale, portandomi a ricreare attraverso la scenografia un paesaggio bordo mare.
Ho voglia di una natura perduta. Sento arrivare l’isola deserta.
Dalila D’Amico, Chiara Pirri e Alessandra Cava
Le interviste agli artisti di World Breakers_Drodesera XXXVI sono curate da Dalila D’Amico e Chiara Pirri all’interno del progetto Words Breakers, promosso da WorkOfOthers e Centrale Fies. Per uno sguardo sfaccettato e un approccio caleidoscopico, due domande per ogni intervista sono studiate e proposte da professionisti, studiosi ed esperti internazionali, provenienti da ambiti disciplinari diversi. Voice off di quest’intervista è Alessandra Cava.
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