Modena al quadrato
La più grande retrospettiva italiana dedicata a Josef Albers allestita negli splendidi spazi della Galleria Civica di Modena, tra vetri, sedie e tanti “Omaggi al quadrato”. Un percorso espositivo che intende ricostruire un momento cruciale della storia dell’arte occidentale, quell’epoca utopica in cui l’insegnamento della pratica artistica veniva ancora visto come lo strumento perfetto per la formazione di una nuova società.
Prologo: nel 1971 il MoMA di New York dedica una mostra a Josef Albers, la prima retrospettiva che il museo americano dedica a un artista vivente. Poco prima dell’inaugurazione, Albers si reca in un negozio di abbigliamento per acquistare una cravatta. Indossa un vestito grigio e una cravatta grigia. Entrato nel negozio, chiede di poter comprare una cravatta grigia. Il commesso, visibilmente sorpreso, risponde: “Ma signore, lei non ha assolutamente il senso del colore!”.
Non si può certo dire che alla Galleria Civica di Modena abbiano il gusto per le mostre facili. Basta dare un’occhiata agli eventi organizzati negli ultimi dieci anni per scoprire come la proposta critica si sia sempre mantenuta su un ottimo livello, evitando spesso quelle manifestazioni “blockbuster” colme di impressionisti e pittori maudit.
La conferma viene anche dalla retrospettiva dedicata a Josef Albers (Bottrop, 1888 – New Haven, 1976), pensata come una ricostruzione per immagini del percorso artistico del maestro tedesco, figura centrale dell’arte contemporanea, purtroppo ancora sconosciuto a una larga fascia di pubblico. Il coraggio nella scelta del tema fa onore a Marco Pierini, curatore della mostra nonché direttore della Galleria, che in collaborazione con la Fondazione Albers e la Cassa di Risparmio di Modena interpreta al meglio il reale ruolo dello spazio museale, nel senso di un luogo dove fornire occasioni per la ricostruzione storica e il dibattito critico.
La mostra occupa entrambi gli spazi espositivi della Galleria Civica: il periodo della Bauhaus e quello degli Omaggi al quadrato sono ricostruiti a Palazzo Santa Margherita, mentre alla Palazzina dei Giardini sono esposti i vetri, alcuni oggetti di design e la serie Varianti.
Ne emerge una figura d’artista a tutto tondo, completa in ogni dettaglio della sua complessità, per la quale l’esperienza di vita e la continua sperimentazione diventano i capisaldi di un’idea che avrà modo di concretizzarsi nell’insegnamento alla Bauhaus prima e al Black Mountain College poi.
I disegni preparatori e gli studi sul colore sottolineano con precisione l’aspetto pedagogico della personalità di Albers, che non per nulla è ricordato come il primo docente nella storia del Bauhaus a provenire dalle fila degli allievi dello stesso istituto.
Da ricordare anche lo spazio dedicato alle fotografie che Albers scattò negli anni di permanenza a Weimar, Dessau e Berlino, dalle quali emerge un utilizzo del tutto personale del mezzo fotografico; non la sperimentazione a tutti i costi del collega Moholy-Nagy e nemmeno la fotografia al servizio della grafica pubblicitaria come per Herbert Bayer, bensì un mezzo utile alla ricostruzione di momenti e sensazioni, un insieme di fotogrammi dal taglio “classico” organizzati secondo un processo di descrizione del personaggio (si veda la straordinaria serie di foto dedicate al collega Paul Klee). E non è un caso che anche in queste opere domini il senso della composizione e della forma geometrica.
La Palazzina dei Giardini, separata da poche centinaia di metri rispetto a Palazzo Santa Margherita, ospita la parte più inusuale e sconosciuta del lavoro di Josef Albers: sotto la volta centrale, recentemente restaurata, sono disposti gli oggetti di design a cui Albers ha applicato in svariati modi le proprie ricerche sul colore, animato principalmente dalle teorie dell’arte applicata elaborate nella Bauhaus. A questi concetti si può inoltre associare l’esempio delle opere su vetro realizzate tra il 1921 e il 1932 sempre nel contesto del Bauhaus, che confermano la volontà di una ricerca che sia teorica ed allo stesso tempo fortemente pratica.
In una sala laterale, sono infine esposte le sette copertine di dischi disegnate per la Command Records, la casa discografica fondata dal violinista e ingegnere del suono Enoch Light con l’innovativa confezione apribile (“gatefold sleeve”), la cui invenzione si deve proprio alla collaborazione fra Josef Albers e Enoch Light, a testimonianza dell’estrema duttilità operativa che ha sempre caratterizzato l’operato dell’artista tedesco.
Una mostra riuscita bene, tutto sommato, senza sprazzi o capolavori, ma che, forte di una capace ed efficiente scelta curatoriale, riesce ad imbastire un buon percorso critico, serio e preciso.
Poco prima di lasciare gli spazi della Galleria Civica, ci concediamo un’altra visita alla sala centrale di Palazzo Santa Margherita, quella con la serie di “Omaggio al quadrato”; entrati nella sala ci ritroviamo in compagnia di un gruppo di bambini impegnati nel disegnare coloratissimi quadrati su una serie di fogli di carta stesi per terra. Scopriremo in seguito che quel gruppo di bambini stanno partecipando a un laboratorio creativo organizzato dalla stessa Galleria Civica finalizzato alla sperimentazione del colore. Che l’utopia di Josef Albers non si sia del tutto esaurita?
Alessandro Marzocchi
Modena // fino all’8 gennaio 2012
Josef Albers
a cura di Marco Pierini
GALLERIA CIVICA
Corso Canalgrande 103 / Corso Cavour 2
059 2032911
[email protected]
www.comune.modena.it/galleria/
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