O-mele-tte di mele. Un percorso fra arte e cucina

Dubbio gastronomico: ma la mela allontana ben bene i dottori oppure avvicina la nostra docile indole umana ai poteri misteriosi del diavolo? Adamo, Eva, Paride, Biancaneve, il figlio di Guglielmo Tell e Alan Turing, cosa potrebbero raccontare a riguardo?

VIZI E VIRTÙ DELLA MELA
Le doti salutari della mela sono sempre state accompagnate da una sorta di “maleficio”; non a caso il suo nome latino “malum” è in perfetta omonimia con il “male”, la colpa. Ma il vero peccato sta nel fatto che il suo sapore dolce e asprigno sia associato a quello più infido della tentazione, della seduzione.
Nella simbologia della pittura barocca, è uno scheletro che regge la mela tra le ossa delle mani: la morte come conseguenza della trasgressione e del vizio; anche se la forma quasi sferica del “pomo” può rappresentare la perfezione della terra o addirittura del cosmo. Lo potrebbe testimoniare Isaac Newton con la scoperta della gravitazione universale: “Avvenne mentre sedeva in contemplazione, a causa della caduta di una mela”. Così afferma William Stukeley, un suo amico, in un manoscritto del 1752. Questa inconfutabile testimonianza, resa pubblica soltanto nel 2010, conferma l’aneddoto che fino a qualche anno fa era classificato come una melensa fandonia.

Albrecht Dürer, Adamo ed Eva, 1507 - Museo del Prado, Madrid

Albrecht Dürer, Adamo ed Eva, 1507 – Museo del Prado, Madrid

ROSSO DÜRER, VERDE MAGRITTE
Permane però viva e vegeta la leggenda di Adamo ed Eva che, nell’evoluzione dell’arte, ha sempre visto come protagonista la fatidica mela. A partire da Albrecht Dürer, che nel grande dittico del 1507 ne dipinge ben due, una in mano a Eva e un’altra – ancora attaccata con il picciolo a un ramoscello – porta a coprire con una foglia ciò che farebbe arrossire Adamo dalla vergogna. Una differente forma di pudore frammisto all’impellenza della curiosità è quello presentato da René Magritte quando, nel 1964, copre con una mela verde il volto de Il figlio dell’uomo che si presenta in primo piano con giacca, cravatta rossa e bombetta. Ma “la mela nasconde ciò che è nascosto e visibile allo stesso tempo, ovvero il volto della persona. Questo processo avviene infinitamente. Ogni cosa che noi vediamo ne nasconde un’altra; noi vogliamo sempre vedere quello che è nascosto da ciò che vediamo. Proviamo interesse in quello che è nascosto e in ciò che il visibile non ci mostra”. La mela di Dürer è rossa come la vergogna, quella di Magritte è verde di stizza per il mistero “fra ciò che è nascosto e visibile e l’apparentemente visibile”.

Bartolomeo Bimbi, Mele, 1696 - Museo della Natura Morta, Poggio a Caiano

Bartolomeo Bimbi, Mele, 1696 – Museo della Natura Morta, Poggio a Caiano

NATURE MORTE E COLLAGE IN TRE DIMENSIONI
Non c’è invece nulla da immaginare nella grande natura morta dipinta da Bartolomeo Bimbi nel 1696: un tavolo sul quale, sparse e ammonticchiate tra ceste e vassoi, sono raffigurate ben 151 mele di diversi colori e varietà. Più che un quadro, una collezione, un vero e proprio catalogo ortofrutticolo, a testimonianza della passione per le meraviglie della natura del suo mecenate Cosimo III de’ Medici.
Con un balzo nel contemporaneo, un altro artista si è dedicato con perseveranza alle mele. A partire dagli Anni Sessanta, Jiří Kolár ha realizzato parecchi collage rivestendo con ritagli di immagini, parole in più lingue, francobolli, carte geografiche e astronomiche, una serie di finte mele di diverse dimensioni e in differenti materiali. Perché proprio la mela? Per la sua forma perfettamente riconoscibile anche se non perfettamente geometrica, perché conosciuta ovunque e quindi ottima come supporto per elementi visivi o verbali che possono rappresentare la babele della comunicazione.

Claes Oldenburg, Torsolo di mela grande, 1992 - Museo d'Israele, Gerusalemme

Claes Oldenburg, Torsolo di mela grande, 1992 – Museo d’Israele, Gerusalemme

TORSOLI E POMI SBOCCONCELLATI
È comunque curioso che in tutte queste opere le mele siano integre, mai tagliate a metà o reduci dal primo morso famelico. È strano, perché nella tradizione biblica sembra sia stata scelta la mela proprio perché è l’archetipo del frutto che una mano stacca dall’albero e lo porta alla bocca per addentarlo. E con questo gesto, si avvicina all’istinto mordace e venefico del serpente. Senza essere irriverenti, quale retrogusto peccaminoso avrebbe avuto l’immagine di un fico delicatamente sbucciato con le mani? Anche se il profilo di Eva che avvicina alla bocca una banana avrebbe potuto ben rappresentare la caduta nella tentazione, la sua licenziosità avrebbe travisato il vero misfatto, cioè l’ansia e la bramosia della conoscenza – a tutti i costi, anche andando contro le regole imposte.
Due sole opere, due grandi sculture, sono l’eccezione alla regola dell’integrità della mela. La prima è La Mela Reintegrata di Michelangelo Pistoletto, che “rappresenta l’entrata in una nuova era nella quale mondo artificiale e mondo naturale si ricongiungono producendo un nuovo equilibrio planetario”. Un ponte dunque, che ricuce il morso inteso come “il distacco del genere umano dalla Natura e l’origine del mondo artificiale che si è sviluppato fino a raggiungere le dimensioni totalizzanti di oggi”.
Non uno ma più morsi hanno invece sbocconcellato la mela di Claes Oldenburg tanto da lasciarne soltanto il torsolo, il nucleo (Apple Core, 1992). L’arte, che per secoli si è nutrita di questo frutto, sembra voler vendicare il genere umano, a partire da Adamo, e abbandonare lo scarto di una mela in mezzo a un prato. Me la sono dimenticata…

Carlo e Aldo Spinelli

Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31

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Carlo Spinelli

Carlo Spinelli

Laureato in Lettere Moderne e iscritto a Storia Antica, viaggia mangia e scrive in ordine sparso per ItaliaSquisita, Rolling Stone, La Cucina Italiana e Wired. Approfondendo l'antropologia dell'alimentazione nel contemporaneo mangiare, tra culture e geografie all'antitesi, ama in egual misura…

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