Nel paese dei balocchi. Il Giappone in TV
Per quanto sia vero che la tv si è ormai globalizzata ed è piena degli stessi format un po’ dappertutto, ogni nazione continua fortunatamente a mantenere le sue inossidabili specificità. E in quanto a tradizioni nazionali che difficilmente potrai trovare nelle televisioni al di fuori di quel Paese, la classifica la vince per distacco il Giappone.
IN GIAPPONE FANNO RISORGERE I MORTI
Anche nell’ultimissimo periodo, tra i format presenti sul mercato internazionale di cui si parla di più, il programma che tutti gli addetti ai lavori hanno definito con aggettivi che oscillano al massimo tra il “macabro” e l’“assurdo” arriva proprio dal Paese del Sol Levante.
Si tratta di Resurrection Makeover, un programma che offre ai partecipanti la possibilità di resuscitare i propri cari estinti, nel senso che possono incontrare un attore che impersona il defunto dopo essersi sottoposto a una massiccia sessione di make up. In un episodio, ad esempio, abbiamo visto una donna che ha perso il marito, rimanendo sola con i due figli, mentre apre la porta di casa e si ritrova di fronte il suo amato compagno – o meglio, l’attore che lo interpreta – che le canta la loro canzone preferita, tra lacrime e abbracci apparentemente molto catartici.
Sembra di assistere a un mash up tra un episodio della serie Les Revenants e uno di Black Mirror. C’è la stessa riflessione sul tema della scomparsa, con la differenza che qui è tutto vero. Ciò non crea nessun imbarazzo o spaesamento al pubblico nipponico, perché alla base c’è proprio una diversa idea culturale del concetto di “intrattenimento”, e di conseguenza i codici, gli argomenti trattati e l’estetica con cui questa viene tradotta per esempio in un programma televisivo. Quello che per noi può essere bizzarro, ingenuo o imbarazzante, per loro al massimo è divertente, se non addirittura geniale.
QUANDO IL GIOCO RIMANDA AD ALTRO
Quando pensiamo ai programmi giapponesi, la prima cosa che ci viene in mente sono i game show con le prove fisiche, con i concorrenti stile kamikaze alla Mai Dire Banzai – cronaca italiana, offerta dalla Gialappa’s Band, di Takeshi’s Castle, ideato dal regista Takeshi Kitano. È vero che i giapponesi amano alla follia quel tipo di programmi, ma è ancora più corretto affermare che è proprio il gioco in sé e per sé a essere considerato un filtro universale per raccontare le cose, e quindi per produrre intrattenimento. L’approccio è interessante, e in un certo senso in anticipo sui tempi, se pensiamo a quanto oggi si stia parlando di un progressivo processo planetario di gamification in tutte le sfere del quotidiano.
Per questo motivo, più che ai game show, è interessante guardare a quei programmi giapponesi che usano il gioco per parlare al pubblico di qualcos’altro. Ad esempio, c’è un programma in cui una serie di concorrenti si fronteggiano in una gara in cui vince chi rimane sveglio più a lungo degli altri. Ci può sembrare un’idea assurda ma, se pensiamo che in Giappone esiste un crescente problema rispetto alle poche ore di sonno medio, la cosa assume una lettura ben diversa. Un altro format vede come concorrenti una serie di mariti mentre devono riconoscere, fra tre donne poste di fronte a loro, la moglie opportunamente truccata e pettinata a seguito di un radicale cambio di look. Sembra fra l’altro che le percentuali di successo nelle puntate andate in onda sia stata molto meno alta di quanto si pensava. Il collegamento con una certa accettazione culturale dei giapponesi verso un atteggiamento libertino delle coppie e di una generale crisi delle relazioni coniugali non sembra per niente casuale.
QUAL È LA VERA OPERA D’ARTE?
Per chiudere, ricordiamo un format in cui lo scopo dei concorrenti era quello di indovinare quale fosse la vera opera d’arte fra due tele poste davanti a loro: una era un lavoro di un artista giapponese, l’altra era uno schizzo fatto velocemente dagli autori del programma. Lo scopo per niente velato del programma era ovviamente quello di giocare con la difficile comprensione di molti lavori di arte contemporanea. Ma questa è forse una questione di attualità non solo in Giappone.
Alessio Giaquinto
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #31
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