Una mostra di ben 265 opere di Marc Chagall al Forte di Bard induce a due ordini di riflessioni. La prima – di cui abbiamo già parlato – riguarda il procedere disordinato della pletora dei nostri centri espositivi locali, che insistono a pigiare sui medesimi tasti, non curando di cadere in repliche fastidiose e inutili. Ora però voglio insistere su un altro aspetto, cioè sul fatto che questa pletora di richiami in scena di sacri maestri del primo Novecento è quasi inversamente proporzionale a un loro graduale decadimento e stanchezza, rivelatisi col passare degli anni. E Chagall è un esempio tipico di questo venire meno dell’indubbia originalità degli inizi, cui fa seguito una ripetizione stinta, accompagnata anche da un’inflazione dei motivi, eccellenti in partenza, ma poi divenuti degli stereotipi, pronti ad assieparsi sulla tela, o più ancora sulle pagine di applicazioni grafiche, cui non è stato certo estraneo l’interesse commerciale di chi troppo presto ha accettato di fare un uso minore di se stesso. Accanto a Chagall, in una triste graduatoria del genere, metterei Miró, e magari gli stessi pesi massimi Picasso e Matisse, il primo, magari, salvato da un suo compiacente estro per il mostruoso, per una eccezionale bravura accademica, l’altro sorretto da una grazia “giapponese” che però si fa via via più languida e rarefatta.
Naturalmente un simile calo di qualità riguarda anche gli italiani, i Sironi e Severini, e magari anche i Carrà e De Pisis. Ci sono però le eccezioni, tra cui, presso di noi, quella di Morandi, di cui non sono certo ammiratore incondizionato, ma si deve pur riconoscere che ha cercato fino alla fine di svolgere un interessante gioco di varianti, senza mai cadere nell’ovvio e prevedibile. All’estero, un uguale riconoscimento di sperimentazione fino alla fine può essere accordato a Klee, e non invece a Kandinsky, suscettibile anche lui del rischio di essere sottoposto a stanche rievocazioni, su capitoli ormai conosciuti a memoria. A Marcel Duchamp il merito di strenuo ricercatore fino all’ultimo, magari contrapposto a un de Chirico, strenuo anche lui ma in senso opposto, nel frequentare i bassifondi, cioè nel bere fino all’ultima feccia nel calice del “cattivo gusto”, fino a saltar fuori dall’altra parte e ritrovare il sereno. Invece il limite dei suoi compagni di strada è di aver mantenuto una coerenza, ma sempre più incerta e flebile, nelle loro pur valide mosse iniziali.
Renato Barilli
critico d’arte militante
Bard // fino al 13 novembre 2016
Marc Chagall – La vie
a cura di Gabriele Accornero, Isabelle Maeght e Markus Müller
FORTE DI BARD
0125 833811
[email protected]
www.fortedibard.it
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #33
Abbonati ad Artribune Magazine
Acquista la tua inserzione sul prossimo Artribune
Artribune è anche su Whatsapp. È sufficiente cliccare qui per iscriversi al canale ed essere sempre aggiornati