Biennale Land Art Mongolia. Il racconto dell’artista Lisa Batacchi
Classe 1980 e originaria di Firenze, Lisa Batacchi dà voce a una narrazione intensa, che ripercorre le tappe dell’intervento da lei ideato come ospite della quarta edizione di Biennale Land Art Mongolia, curata da Valentina Gioia Levy. Mescolando ritualità e una lucida analisi dell’attuale contesto socio-economico.
L’INIZIO
Tutto è partito da un’idea proposta a LAM 360° per la quarta edizione di Land Art Mongolia Biennale dal titolo Catching the Axis – in between the sky and the earth.
Ho pensato di ricercare questo asse immaginario fra cielo e terra spingendomi in un viaggio di un mese, antecedente la Biennale, alla ricerca di un punto cromatico preciso di blu che potesse rappresentare una mia idea astratta di cielo e di purezza. In Mongolia il sole splende solitamente 300 giorni l’anno e il cielo è considerato sacro in quanto è limpido e raramente nuvoloso.
Una volta saputo di essere stata selezionata, prima di pianificare il mio itinerario, mi sono fatta guidare da alcune suggestioni derivanti dall’oracolo cinese I-Ching rispetto al mio progetto. Ho ricevuto come responso l’esagramma 2 in cui l’immagine di un animale astrale, un mix tra un cavallo maschio e una mucca, viene percepita come una entità spirituale, dualistica, portatrice di qualità coesistenti che possono avere un effetto liberatorio sulla vita umana. Il cavallo mi ha fatto pensare ad alcune coincidenze di simbologie fra la filosofia taoista e la cultura sciamanica e per questo motivo, prima di arrivare in Mongolia, ho viaggiato in Cina, nell’Inner Mongolia, partendo da Ordos, costruita 15 anni fa nel mezzo del deserto. Scopro che la città, ricca per le sue miniere di carbone, ha investito nel progetto ORDOS 100, avviato una decina di anni fa dal Museo d’Arte Contemporanea di Ordos con i finanziamenti del governo. Il progetto consisteva nel chiedere a 100 artisti/architetti di progettare nuove costruzioni e monumenti. Ordos rimane oggigiorno, nonostante tutto, una città fantasma e ho sentito che qui la raffigurazione del cavallo, utilizzata in grandissima scala nello spazio pubblico, era diventata piuttosto un simbolo nazionalista e uno strumento di potere.
IL VIAGGIO
Da Ordos mi sono spostata in treno fino a Hohhot per passare una notte nelle zone di Greenland nelle ger della Mongolia interna, purtroppo utilizzate soltanto per ospitare i turisti. Qui il governo cinese, nel 1950, ha diviso le terre per rendere il popolo mongolo stanziale e da allora i mongoli vivono in abitazioni di cemento. Mi sono interrogata, grazie a incontri e interviste a persone del posto, sulla perdita dello spirito nomade ricercando forme di resistenza e analizzando i molti altri cambiamenti apportati dalla politica cinese alla cultura mongola.
Rientrata a Hohhot, decido di prendere il treno fino a Beijing per poi arrivare in aereo, dopo ore di viaggio in bus, nel Sud Est della Cina, nella regione di Guizhou, un territorio montuoso senza sbocco sul mare, sede di alcuni tra i più caratteristici gruppi etnici cinesi. Fra questi, la tribù dei Miao è ben nota per la lavorazione artigianale a cera calda su tessuto e per la coltivazione di Indaco, pianta utile a preparare la tinta di blu che caratterizza la tribù.
Ero finalmente arrivata nel luogo dove avevo sentito di voler realizzare la mia opera per la Biennale, praticando “lentezza” ed esplorando una critica della cultura globalizzata attraverso una forma estatica di temporanea scomparsa da una diffusa ideologia del mondo capitalistico.
Seguendo questa direzione, ho stabilito rapporti di collaborazione con la comunità dei Miao e sono entrata pian piano in una condizione di “discrezione”, studiando i loro disegni tradizionali, lavorando, mangiando, cantando e, a volte, in momenti di pausa, ballando con loro.
Sono rimasta colpita dalla loro abilità nell’eseguire i disegni su tessuto con la cera calda, cui seguono la tintura e la rimozione della cera, immergendo il tessuto in vasche di acqua bollente. Ho così pensato di dare nuovi significati alla tradizionale colorazione indaco dei Miao, solitamente un blu scuro in tinta unita, tingendo piuttosto il mio tessuto di diverse sfumature di blu e ricreando il mio asse immaginario fra cielo e terra.
IL PROGETTO
Il mio obbiettivo è stato quello di realizzare una tenda di 490 cm x 320 cm con al centro il disegno del mio animale astrale, un cavallo maschio con le mammelle di mucca, che intende far riflettere su come la cultura nomade mongola si stia progressivamente sedentarizzando. D’altra parte, intende narrare il messaggio di speranza ricevuto dall’oracolo cinese che si riferiva a come, al giorno d’oggi, la “mobilità” dovrebbe recuperare l’ “orizzontalità” piuttosto che la “verticalità”, connettendo di nuovo lo spirituale allo spaziale, predestinato, come in una profezia, a divenire di nuovo.
L’opera realizzata con la tribù dei Miao è una parte di un lavoro composto anche da una struttura in legno di cm 520 x 270 x 200, che avevo dato da realizzare a Ulan Bator, pensata per sorreggere la tenda. Al mio arrivo nella capitale mongola, dopo un viaggio di 26 ore in treno con la transmongolica, vengo prelevata alla stazione da un autista e portata al campus della Biennale per incontrare gli organizzatori e gli altri artisti. Il giorno dopo carichiamo i nostri materiali e opere sul pullman e alle tre di notte, dopo 18 ore di viaggio, arriviamo a Dariganga, una zona a sud est del deserto di Gobi.
Qui, il secondo giorno, nel villaggio vicino al nostro campus, trovo in un piccolo supermercato 6 specchi da motocicletta di diverse forme. Avevo in mente di cercare delle superfici specchianti, a protezione della mia tenda e struttura in legno, in quanto nella cultura asiatica, come anche in quella sciamanica, servono a tenere lontani i fantasmi; così decido di comprarli tutti senza pensarci su.
Il terzo giorno, con il nostro gruppo, visitiamo la montagna di Altan Ovoo, un luogo sacro dove si seguono dei rituali precisi: gli uomini possono andare a pregare attraverso un percorso che li porta fino alla sua cima, mentre le donne percorrono in senso orario un sentiero ai piedi della montagna.
La tradizione dice che, facendo i rituali intorno alla montagna, potranno essere esauditi quattro desideri. Dopo poco ci separiamo e disperdiamo e mi ritrovo con Eya, Muuji e Munguntsetseg, artiste mongole coetanee e Badan, artista e sciamana. Camminiamo intorno alla montagna in fila indiana ma distanziate l’una dall’altra da un certo spazio, che ci fa sentire unite pur mantenendo una nostra riservatezza e intimità. Osservo alcune di loro in lontananza e ripeto i loro rituali, che anche per me si facevano sempre più intensi e personali, nonostante la pioggia e il vento ci venissero incontro.
LA PERFORMANCE
Per il mio intervento di Land Art avevo in mente di utilizzare la mia struttura in legno e tenda svolgendo una processione e così, dopo questa indimenticabile esperienza presso Altan Ovoo, decido di compiere l’azione nei suoi pressi, coinvolgendo 7 uomini e 7 donne e dividendoci alcune azioni da compiere. Le donne avrebbero dato inizio alla performance alzando la tenda utilizzando un laccio, di cotone o di seta, di 3 metri di lunghezza. Gli uomini, in seguito, avrebbero trasportato la struttura fino nei pressi di un lago. Le donne sarebbero intervenute infine a chiudere la processione slegando i lacci e liberando nuovamente la tenda.
Spostando il sipario in quest’area specifica di Dariganga, e in particolare aprendo lo scenario di fronte alla zona sacra di Altan Ovoo, suggestioni segrete sono state liberate nello spazio circostante in forma narrativa, andando così ad ampliare prospettive e pensieri, attraversando paesi, confini politici, ideologie storiche ed economiche.
Questo è stato il primo viaggio e capitolo di un progetto in-progress che sarà composto da 84 azioni di “fuga” e “discrezione”, performance, installazioni, calate in luoghi semi desertici in giro per il mondo, dove le tradizioni sono ancora vive a favore di una “dimensione senza tempo”.
In parallelo a questa ricerca, varie riprese video andranno a formare un film che tratterà diversi argomenti, nel tentativo di coprire idealisticamente (con concetti come spiritualità, humor, sensualità, resistenza, provocazione) gli anni che andranno a completare il nostro secolo, partendo dal re-immaginare il nostro presente predicendo un futuro immaginario.
Questo progetto non sarebbe potuto essere così significativo per me se non avessi ricevuto il sostegno, la fiducia, l’aiuto e l’amore di amici, familiari e persone incontrate lungo la strada: i miei genitori, Valentina Gioia Levy, Julie Peters, Giancarlo Norese, Ho Min (Gioia), Andrea De Filip, Exterritorial/Herman Fink Collection, Lorenzo Giorgi, Mariateresa Cimino, Tim Schernau, Beatrice Gallelli, Federico Varelli, Ning, Nala, Napon, Yang, Lee, Wendy Hu, Yaan Gao. Pamela Giorgi, Ilenia Civelli, Veronica Caciolli, Dashdondog Badam, Enhmaa Borhuu e familiari, Edgar Endress, Vibha Galhotra, Erica Masuya, Lewis Biggs, Dolgor Serod, Eya Ganbat e familiari, Muuji Batmunkh e familiari, Uuganbayar Kherlenchimeg. Ringrazio inoltre di cuore i partecipanti alla processione: Eya Ganbat, Muuji Batmunkh, Valentina Gioia Levy, Vibha Galhotra, Dashdondog Badam, Edgar Endress, Chinzorig Renchin-Ochir, Batkholboo Dugarsuren, Séverin Guelpa, Pekka Niittyvirta, Amon Fassler, Luca Bogoni, Uli Seitz.
Lisa Batacchi
www.landartmongolia.com
www.lisabatacchi.com
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