L’autoritratto-resto e quel che resta del ritratto fotografico
Parlare per residui. Far sì che il negativo di una sagoma sia più del suo pieno. E che il vuoto, declinato nello spazio azzerato di una camera oscura, si trasformi nel solo mezzo per rubare l’unicità del mondo. Vera Lutter e Raffaele Luongo da Artiaco, fino al 10 dicembre.
L’arte talora è sottrazione. Raffaele Luongo (Caracas, 1966) parte dal rallentamento, fotogramma per fotogramma, di una scena filmica per espandere nell’eterno presente della coscienza le risonanze da essa suscitate, nell’intenso lirismo e nella devozione certosina di un processo creativo che è cerimoniale meditativo: il lento ritaglio nel cartone della sagoma a negativo del protagonista è esca da riempire con l’esperienza della memoria, dando vita a un autoritratto personale e familiare per resti e assenze.
Con simile sfilacciamento temporale, Vera Lutter (Kaiserslautern, 1960) ribalta l’immediatezza e l’infinita riproducibilità della fotografia nell’unicità alchemica ed estesa nei giorni dell’antica tecnica della camera oscura, ritraendo architetture in un obiettivo-struttura di parimenti architettoniche proporzioni. Se all’affastellamento e alla moltiplicazione rumorosi si sostituisce il silenzio dello svuotamento e del tempo paziente, ne vien fuori anche lo spazio per l’ascolto di sé e di un reale che torna a essere irripetibile.
Diana Gianquitto
Napoli // fino al 10 dicembre 2011
Raffaele Luongo – Ancor mi attardo, ragion per cui
Vera Lutter
ALFONSO ARTIACO
Piazza dei Martiri 58
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