Padiglione Italia. Parola a Tiziano Scarpa
È stato uno dei selezionatori degli artisti presenti al Padiglione Italia a Venezia. Non ha detto "no" a Sgarbi, così come non l'hanno fatto altre decine di intellettuali del nostro Paese. Qualcosa vorrà pur dire. La posizione di Tiziano Scarpa in un editoriale per Artribune Magazine.
Ancora il Padiglione Italia? Per pietà, basta. Però la Biennale è ancora aperta, i cadaveri caldi, le pistole fumanti: c’è chi ha parlato di “delitto perfetto” da parte di Vittorio Sgarbi e dei trecento intellettuali assassini dell’arte (fra i quali anch’io). E c’è chi si è messo in discussione, come Emanuela De Cecco, cercando di analizzare la sua irritazione di fronte al Padiglione. Condivido le sue conclusioni, ma in maniera opposta alla sua: questo Padiglione, è vero, lascerà le cose come stanno, ma perché curatori e critici non hanno nessuna voglia di vedere se contiene qualcosa di buono. E non parlo delle opere (comunque, un critico, un curatore dovrebbe saperle distinguere anche nel caos più totale: a maggior ragione se sono indicate da trecento persone che non sono del tutto stupide né disinformate). Parlo proprio del fatto che intellettuali e artisti abbiano partecipato in così tanti. Le spiegazioni che i curatori e i critici indignati danno a questo fatto sono consolatorie (per loro), non serviranno ad altro che a serrare i loro ranghi e confermarne il ruolo.
I critici Francesca Pasini e Giorgio Verzotti chiedono ai trecento killer: “Possibile che sia stato così difficile dire di no?”. Al nostro sì imputano connivenza col berlusconismo, o ingenuità, e anche narcisismo. Ma è ovvio che era immensamente più facile dire no. Credono che non lo sapessimo, che dicendo sì avremmo fatto una brutta figura politica, e avremmo fatto indignare tutta l’intellettualità artistica italiana (curatori e critici)? Pasini e Verzotti si dicono “attoniti ” per il numero e la qualità dei killer. Ma proprio questo avrebbe dovuto fare massa critica nelle valutazioni dei due studiosi. Invece no: o traditori, o puerili, o vanesi. Quartum non datur , per Pasini e Verzotti. Non li ha sfiorati il dubbio che ci potessero essere molti intellettuali e artisti, là dentro, ai quali è parso meno peggio, per una volta, persino stare dalla parte di Sgarbi, piuttosto che sorbirsi un altro Padiglione Curitalia, l’ennesimo show curatoriale, in cui più che le opere si mette in mostra il potere mondano e le idee sull’arte del curatore, con tutti i suoi spossanti italianissimi equilibrismi nella selezione degli artisti.
Giacinto di Pietrantonio, direttore della galleria d’arte contemporanea di Bergamo, ha fatto un rilievo interessante: l’amore degli artisti contemporanei italiani per filosofi e scrittori non è ricambiato, perché questi ultimi prediligono artisti retrivi. Può darsi, ma è un bilancio troppo generico. L’arte non è statistica. Non si fa con le “medie”. Contano le eccezioni. Di Pietrantonio cita le predilezioni conservatrici di Pasolini: ma c’era anche il Gruppo 63, che supportava l’arte più innovativa.
Ma anche se fosse, allora c’è qualcosa che non va nella capacità dell’arte contemporanea, o meglio nei suoi intellettuali (curatori e critici) di dialogare con il resto della cultura italiana. L’intellettualità artistica italiana vive in una bolla separata, in un’altera autonomia di scelte e di consacrazioni che di fatto è autismo culturale? Di fronte ad alcune opere del Padiglione Italia lontanissime dai miei gusti, non ho reagito attribuendole all’insipienza o impreparazione del selezionatore. Non che quegli intellettuali non amino l’arte contemporanea: vogliono proprio dirci chiaro e tondo che di contemporaneità ce n’è un’altra, e che loro amano quella.
Tiziano Scarpa
Articolo pubblicato su Artribune Magazine #2
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