Gaetano Pesce a Firenze. L’intervista
In occasione dell’inaugurazione dell’installazione “Maestà tradita”, l’architetto, designer e artista Gaetano Pesce ci ha raccontato gli aspetti salienti del nuovo intervento urbano. Ampliando la visuale sul del Ponte sullo Stretto, sul ruolo delle donne, sul trionfo di Trump. In attesa di Design Miami.
A qualche settimana di distanza dall’apertura della mostra Maestà tradita – promossa dal Comune di Firenze e organizzata da Mus.e, con la curatela di Sergio Risaliti e Vittorio Sgarbi – il progetto espositivo di Gaetano Pesce (La Spezia, 1939; vive a New York) per il capoluogo toscano trova compimento con l’allestimento dell’installazione omonima, in piazza Santa Maria Novella. Dopo aver inaugurato, con un percorso espositivo sia performativo sia antologico, tre nuove sale espositive del Museo Novecento, l’architetto ha scelto di relazionarsi con la basilica progettata da Leon Battista Alberti attraverso una monumentale scultura inedita, collocata a lato della celebre facciata.
Ispirandosi al modello cristiano della Madonna in trono, l’opera delinea una figura di donna avvolta in un lungo mantello che intende essere “un monumento alla ‘liberazione’ femminile e del femminile, testo di accusa e manifesto di una nuova civiltà, condanna per un mondo maschile che continua a tradire, offendere e violentare la sacralità del corpo femminile, costringendo la donna a sopportare esperienze di mercificazione, manipolazione ed emarginazione insopportabile”. Dopo Firenze, Gaetano Pesce sarà presente a Design Miami con le mostre Gli armadi parlanti, in apertura il prossimo 29 novembre, e Multidisciplinarietà, al via il 1° dicembre.
Qual è la genesi dell’intervento Maestà tradita?
Si tratta di un altro modo, per me, per parlare di problema ancora aperto, una questione di politica internazionale. Sono tra quelli che considerano l’arte come un commento della realtà e proprio per questo, in tanti anni di lavoro, uno dei temi che ho affrontato con continuità è la sofferenza della donna: in certi paesi è soprattutto morale, in altri anche fisica. Non c’è ragione, ad esempio, per giustificare il fatto che nelle società evolute una donna guadagni meno di un collega uomo: è però un modo per etichettarla come “cittadino di serie b”. Tutto questo è inaccettabile, non solo perché le donne nella storia hanno ricoperto un ruolo fondamentale.
Quali sono le altre ragioni?
Il carattere stesso delle donne, secondo me, coincide con la natura del nostro tempo, cosa che non avviene per l’uomo, la cui indole è rigida, lineare. La donna, invece, si può intendere come una linea che si muove in modo elastico, è capace di assumere identità diversa – può essere madre, lavoratrice, moglie e molto altro – e possiede un cervello che non è statico. E il nostro tempo è esattamente così, contraddistinto da una forte liquidità di valori. Poi c’è una convinzione mia…
Quale?
Credo che la crisi del mondo, economica ed esistenziale, sarà risolta solo nel momento in cui la donna sarà partecipe nel pubblico e non solo nel privato. Questo vuol dire avere donne con responsabilità politiche in tante Paesi, come è stato con Golda Meir o Margaret Thatcher. Oggi, però, sono 12 Stati su 128 del mondo sono diretti da donne.
In quest’ottica, quanto che è appena accaduto negli Stati Uniti potrebbe rappresentare una battuta d’arresto nell’incremento della presenza femminile nei ruoli che contano da lei auspicata?
Non direi. Il caso delle recenti elezioni presidenziali si discosta da questo ragionamento. Speravo fortemente che Hillary Clinton prendesse il potere, ma otto anni fa: avere una donna nella posizione di maggiore prestigio dello Stato più potente al mondo avrebbe generato una grande fiducia collettiva. Invece, in questo periodo di presidenza Obama, Clinton ha compiuto alcune scelte che personalmente non ho apprezzato.
In questi giorni, in seguito alla vittoria di Trump, abbiamo dato voce ad alcuni operatori del mondo dell’arte italiano che, come lei, vivono negli Stati Uniti. Qual è la sua posizione in merito?
Lui è un outsider e questo è un aspetto che mi interessa: penso che il futuro sarà in mano agli outsider, ai diversi, a figure capaci di portare energia nuova, non a quanti appartengono al “sistema”. Ora, tuttavia, si tratta di far passare del tempo: potrebbe diventare una sorta di nuovo Reagan – che a suo tempo ha intrapreso scelte divenute storia – ma può anche essere il contrario. Fin qui, intanto, non mi pare stia dando nel governo molti ruoli di rilievo alle donne.
È un osservatore a distanza di quanto sta avvenendo sul fronte dell’arte contemporanea a Firenze, non vivendo stabilmente in Italia. Tuttavia cosa ne pensa delle tante operazioni – da Jan Fabre ad Ai Weiwei – che si sono susseguite in questi mesi?
Sono un osservatore a distanza, ma in realtà anche da vicino perché frequento Firenze regolarmente. Ad esempio, mi ricordo di aver visto una mostra straordinaria che evocava un’atmosfera contemporanea, pur non essendo di arte contemporanea. Faccio riferimento all’esposizione di tre crocifissi nel Battistero: c’era una potenza d’immagine eccezionale, eppure c’è stato chi, anche in quel caso, ha criticato l’intervento.
Credo comunque che soprattutto qui sia meglio sfuggire dall’idea di città-museo, perché potrebbe comportare un’atrofizzazione del luogo. Parlare del contemporaneo vuol dire affrontare la vita, di quanto avviene oggi, in questo momento: trovo estremamente salutare che Firenze sia attiva su questo fronte, anche con delle provocazioni.
A proposito di attualità, di recente abbiamo pubblicato il suo progetto per il Ponte sullo Stretto. Possiamo considerarlo come una dichiarazione di intenti, una visione o addirittura un’incitazione affinché l’infrastruttura divenga, prima o poi, reale?
Otto-dieci anni fa, quando ho fatto quel progetto, intendevo dare una risposta a un episodio preciso. Le cronache nazionali riportavano che nella vicenda del ponte, erano stati investiti 600 milioni di euro per la sola progettazione, ad opera di un team italo-giapponese. In più, si trattava di una copia del ponte di San Francisco. E lì mi sono indignato: l’Italia non può copiare! È stata per secoli copiata, non può passare dall’altra parte. Quindi ho pensato di riprendere una nostra tradizione di cui, proprio qui a Firenze c’è un esempio straordinario: il ponte “abitato”, come il Ponte Vecchio e anche come il Ponte di Rialto, a Venezia. La Sicilia e la Calabria in passato sono state abbandonate dallo Stato e c’è bisogno di riportare energie.
Nella mia idea, la struttura presenta venti piloni, ciascuno assegnato a ciascuna regione e progettato da un architetto di quella stessa regione. Ogni singola struttura può contenere spazi espositivi, hotel, parcheggi, servizi: invece di attraversare il ponte in pochi minuti, diverrebbe un’attrazione in cui ci si ferma, godendo di una vista magnifica sullo Stretto di Messina. Un’idea che potrebbe essere invidiata dal resto del mondo! Sono convinto che dobbiamo recuperare la straordinarietà dell’Italia: per quale ragione non siamo più in grado di far avanti le nostre idee e realizzazioni? A mio avvio l’ultima grande opera nazionale è la Mole Antonelliana, circa 150 anni fa.
Dunque la sua non sarebbe un’infrastruttura finalizzata solo a connettere due regioni, ma diverrebbe essa stessa un attrattore…
Indipendentemente dalla realizzazione, quel modello di ponte può essere un fattore di crescita, poiché in grado di attirare visitatori. Ogni pilone è dedicato a una regione e dunque i visitatori – mi immagino soprattutto gli stranieri – si troverebbe di fronte a una sorta di “mini-Italia”, ad esempio da visitare nel corso di una settimana. Non c’è un ponte così nel resto del mondo! Se davvero Renzi dovesse portare a compimento il progetto, a sarebbe un vero capo di Stato capace di rinnovare l’immagine del Paese.
Purtroppo, dalla Seconda guerra mondiale ad oggi, in Italia si è diffuso un sentimento di pessimismo, in cui tutto finisce per annullarsi: in una terra che è il sinonimo su scala mondiale di creatività, di invenzione si resta ad una sorta di un’orribile impotenza. Al Sindaco Nardella voglio consegnare il mio dossier del Ponte sullo Stretto: abbiamo delle grandi potenzialità qui, dobbiamo sfruttarle.
Rispetto a quando scelse di ritrarla in croce alla Biennale di Venezia, l’Italia quindi ha fatto pochi i passi in avanti?
In realtà alcuni segnali positivi ci sono: i momenti in cui Renzi punta i piedi con l’Unione Europea o lo straordinario onore, grazie ad Obama, di aver avuto il nostro premier come invitato all’ultima cena di Stato del Presidente uscente. Sento che si torna a parlare dell’Italia e abbiamo tanto da dire, non solo nell’arte: la moda, la cucina italiana – che è una grandissima espressione di creatività –, le macchine utensili, il design sono ambiti in cui diamo il meglio. E poi abbiamo esportato nel mondo il saluto. Ovunque le persone si salutano ricorrendo al nostro “Ciao”. E sa cosa vuol dire? Schiavo. Il mondo intero si saluta dicendo “schiavo”.
Valentina Silvestrini
Firenze // fino all’8 febbraio 2017
Gaetano Pesce – Maestà Tradita
a cura di Sergio Risaliti e Vittorio Sgarbi
MUSEO NOVECENTO
Piazza di Santa Maria Novella 10
055 2768224
[email protected]
www.museonovecento.it
MORE INFO:
http://www.artribune.com/dettaglio/evento/56972/gaetano-pesce-maesta-tradita/
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