Overground (III). Essere sempre da un’altra parte
Temuti e ostracizzati dall’epoca presente, l’imprevisto, l’inatteso e l’incertezza possono diventare validi strumenti per vivere il cambiamento come opportunità e non come minaccia. Accettare di essere sempre da un’altra parte può condurre sulla soglia di una vita autentica.
“Don’t worry baby, it’s gonna be alright
Uncertainty can be a guiding light
I hear voices, ridiculous voices
Out in the slipstream
Let’s go, let’s go overground
Take your head out of the mud baby”
U2, Zooropa (1993)
– e poi chi pretende di manipolarti, di portarti in una zona dove non vuoi andare – e non ci andrai. Questa logica attuale in base alla quale chiunque può esprimere un’opinione non informata, chiunque può dare un parere senza possedere le competenze, e quindi ogni idea si blocca e non procede perché deve essere sottoposta a questo vaglio assurdo, e ogni idea viene annacquata inevitabilmente.
Chiaro che la sperimentazione in questo modo va a farsi benedire; se ogni volta devi “chiedere-il-permesso”, devi verificare quello che va bene e che risulta accettabile, digeribile per la maggioranza, non ti muoverai di un millimetro. Vivere bene – o almeno provarci – è l’unica vendetta.
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“OUT è il mio grido. Uscire dalle case. Uscire per le strade. Le periferie. Fermare il tempo imposto.
Rompere le catene della schiavitù. Riappropriarsi di una dimensione umana rubata.
Di questo è impregnata l’arte. Di vita e coraggio. Non è questione solo di avere idee, di artisticità, di musei e gallerie. La vita domina l’arte e non il contrario. Arte che deve pervadere ed infiltrarsi.
Azionarsi. Detonare. Creare esplosioni roboanti o silenziose che siano. Arte che si nutre nell’altro e dell’altro da sé. Dedizione totale della propria vita. Opera che si realizza attraverso l’essere e l’essere con gli altri. Oggi è di questo che abbiamo bisogno. Ogni arte esprime il proprio tempo e l’arte del 2016 ha l’obbligo di porsi in discussione. Si deve dare in pasto. Infiltrarsi. Nelle menti e nei cuori. Combattere l’ignoranza, i soprusi, le violenze, alimentare il pensiero e l’elevazione spirituale di una vita che capita una volta sola” (Ida Chiatante).
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Uncertainty can be a guiding light.
Oggetti sfumati – attenzione sfocata – meravigliosa, e produttiva, sfocatura: più guardi e più le forme sono indistinte, indistinguibili – opere come nuvole in un cielo ventoso di fine estate – opere come l’ultimo giorno di estate – favorire l’imprevisto, l’inatteso (creando le condizioni giuste) – strategie oblique – il viaggio, il percorso, il processo: sganciarsi dalla routine e dalla prevedibilità – muoversi da un genere all’altro, attraversare e riattraversare i confini – abitare i confini – non più visitatori, ma cittadini temporanei di territori estranei – costruire familiarità – coltivare relazioni – costruire con il vento e il suono e la nebbia – muoversi con decisione verso un’area straniera, e poi ritornare indietro. A casa.
“Ogni comunità ha i suoi confini, il suo senso del fuori e del dentro, e il trickster è sempre lì alle porte della città o alle porte della vita, facendo in modo che ci sia sempre scambio. Egli presiede anche ai confini attraverso cui i gruppi articolano la loro vita sociale. Distinguiamo costantemente giusto e sbagliato, sacro e profano, pulito e sporco, maschio e femmina, giovane e vecchio, vivente e morto, e ogni volta il trickster varcherà la linea e confonderà le distinzioni. Egli incorpora dunque l’ambiguità e l’ambivalenza, la doppiezza e la duplicità, la contraddizione e il paradosso” (Lewis Hyde, Trickster Makes the World, Farrar Straus & Giroux 2010, p. 7).
L’incertezza, lo sbandamento, il disorientamento – out of focus – il deragliamento, andare fuori centro e fuori sesto, ruotare o deviare, attestarsi sui margini, allargare il confine, abitare la sfocatura, concentrarsi sui dettagli e sulle sfocature, sbilanciarsi, sporgersi – il massimo di spontaneità e di autenticità può essere ottenuto per sottrazione o attraverso l’impiego del più grande artificio.
Sprofondare – sempre di più, nella sdefinizione di se stessi (e del proprio ambiente) – sfondare i limiti ha a che fare con l’esplorazione, certo, ma questa esplorazione non avviene in modo lineare – è un approfondimento, piuttosto, una dilatazione – e più tu diventi reale, più il resto perde i contorni, persone comprese. Per questo, non ha molto senso accanirsi nell’affermazione della propria identità (come spesso vedo fare attorno a me), nella sua ossessiva proiezione e riproposizione, perché più essa diventa monolitica, rigida, più si allontana dalla verità. Autoritario e autentico non vanno a braccetto. Se rimani aperto, se accetti il cambiamento, ci sono buone possibilità di incorporare questo cambiamento nello stile e nello sguardo – ma è un’operazione difficoltosa e critica perché richiede di permanere nell’instabilità, di vivere nell’ambivalenza e nell’inattualità, di scegliere deliberatamente incertezza e precarietà (e di non subirle come una condanna), di esseresempredaun’altraparte – di fuoriuscire dunque non solo dagli schemi degli altri, importati e ricevuti dall’esterno, ma anche dai propri.
Christian Caliandro
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