Berlusconi su Netflix. Sorprese nel documentario ispirato alla biografia scritta da Alan Friedman
Il documentario diretto da Antogiulio Panizzi e prodotto dalla casa di produzione dei figli di Sergio Leone racconta Silvio Berlusconi, luci, ombre e molte scuse. Online su Netflix a partire dal 21 novembre
La storia di un uomo che ha cambiato l’Italia, piaccia non piaccia, torna in auge in questi giorni. Non solo perché il Guardian ha paragonato Donald Trump a Silvio Berlusconi, trovando numerose analogie tra il nuovo Presidente degli Stati Uniti e l’ex leader italiano di Arcore: è di recentissima uscita, infatti, l’articolo della corrispondente Stephanie Kirchgaessner che mette a confronto i due. Li definisce “due showmen che si sono scagliati contro gli immigrati, hanno deriso le donne, preso di mira la libertà di stampa, sono fatti della stessa stoffa. Poche persone forse capiranno la costernazione dei liberali americani nei prossimi anni, come gli italiani”. Ma in questi giorni si ritorna a parlare di Silvio anche perché Netflix ha appena lanciato il film documentario My Way. Berlusconi in his own words, un gioiellino diretto da Antongiulio Panizzi e prodotto dalla Leone Film Group, della famiglia Sergio Leone, basato sul racconto, sul libro, che ne fa il giornalista americano Alan Friedman, in Italia molto noto per il programma cofirmato con Minoli sullo scorcio degli anni ’90, Maastricht – Italia. E che peraltro lo scorso settembre ha lasciato la Rizzoli, proprio di Silvio, per andare alla Newton Compton.
IL DOCUMENTARIO
Il bellissimo documentario mette in scena la figura del Cavaliere a tutto tondo, la storia dell’imprenditore, dell’uomo politico, le origini, le luci e le tante ombre. Ma soprattutto ci racconta una figura ormai del passato, quasi gli concedesse l’onore delle armi, tuttavia derubricandolo ad un tempo della storia ormai archiviato. Non mancano i motti di spirito, di cui Berlusconi fu un vero campione, il suo rapporto con il Milan e con il pubblico, le excusatio più volte “petite”, gli inganni, mentre poche sono le autocritiche. È interessante, ad esempio, quanto scrive su La Stampa Jacopo Jacoboni: “Berlusconi racconta per esempio di esser stato fatto fuori da un golpe ordito da potenze straniere, complice la crisi finanziaria in Europa del 2011, quando, al culmine della crisi degli spread nell’area dell’euro, i leader di Francia e Germania provarono a convincere il presidente Barack Obama ad aiutarli a buttar giù l’allora premier italiano. José Luis Zapatero – in un’intervista alla Stampa – in qualche modo confermò che, stavolta, il Grande Mentitore non l’aveva raccontata del tutto sbagliata. Sarà la storia, a giudicarlo; di certo con la sua uscita di scena, più che un golpe si compiva il passaggio dall’età della propaganda verticale delle tv e delle veline a quella della black propaganda virale. È questo, in fondo, il motivo per cui Berlusconi non è stato Trump”. E non è più il Caimano.
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