Patrick Mimran – After
In mostra una selezione di opere recenti
Comunicato stampa
Le immagini fotografiche di Patrick Mimran sono particolari con il loro carattere allo stesso tempo familiare e misterioso. Molto dettagliate, con una risoluzione altissima, si dedicano ad un inventario non per forza scontato: scale mobili di centri commerciali, vetrine di negozi, ingressi di metro o di parcheggi... molto spesso vuote, senza la minima presenza umana. La precisione della composizione e degli effetti crea un contrasto con l’incertezza che risulta dal carattere muto dell’immagine. Se il visivo viene rappresentato, il senso sembra ritirato al confine dello visibile, dietro la superficie.
La serie After si condensa in una formula plastica ribadita all’infinito, come gli Shadows di Andy Warhol, di cui le immagini sembrano essere il retro: la prospettiva dei cieli pieni di nuvole. C’è solo un’indicazione: il luogo dove sarebbe stata scattata la fotografia - After in America, After in Japan, After in North Carolina, After in Mali... Un invito alla contemplazione, lo sguardo viene colpito da ogni immagine di cielo tramite la bellezza sovrana delle nuvole, degli effetti di luce, dell’iridescenza che l’immagine sviluppa per un rispettoso effetto mimetico. La natura sembra voler regalarci uno spettacolo strepitoso che il fotografo ha il solo compito di raccogliere come un frutto maturo. Questa contemplazione del cielo, nello stesso tempo, sembra l’embrione di metafore sicuramente vecchie tanto quanto la coscienza umana e relativa alla teoria magica che collega cielo e divinità. “Mi piacciono le nuvole... Le nuvole che passano... Di la, di la... Meravigliose nuvole!” si rallegra lo straniero di Baudelaire. Ma secondo la Bibbia, Job ci avrà già avvisati da tanto tempo: “sai come Dio comanda a queste meraviglie, come le nuvole fanno scattare i lampi? Sai anche come volano nel cielo? Per questo miracolo ci vuole un sapere senza difetto”.
Conosciamo la potenza di espressione del cielo in termini simbolisti – che spiega la sua requisizione frequente dal mondo dell’arte. La prospettiva « atmosferica » (che possiamo definire più semplicemente come prospettiva cromatica) che conferisce un respiro forte alla scena dipinta nei quadri classici, si presenta come una spazializzazione metaforica. Questa rivela l’importanza della phusis, della « natura », nelle nostre vite e nelle nostre rappresentazioni, anche il fascino che la contemplazione del cielo produce immancabilmente su di noi. I cieli della pittura olandese dell’età d’oro, largamente sviluppati e sovrastanti, collegando ancora alto e basso, quelli di un Claude Gellée detto Claudio Lorenese, come tappezzato d’oro… fanno da tramite tra la nostra posizione del tutto terrena incollata nel vero dei lavori e dei giorni, e questa essenza di natura « cosmo-vitale » (André Leroi-Gourhan) di cui ci sentiamo investiti in modo parallelo e che fa di noi degli esseri metafisici, degli animali dotati di una coscienza vista come « in-se » biologico e come enigma intellettuale.
Per quanto riguarda le nuvole, la loro visione ci affascina altrettanto partendo della loro variazione permanente, dei loro movimenti nello spazio atmosferico, delle promesse di bel tempo o delle minacce climatiche di cui sono i messaggeri sfumati, altrettante considerazioni climatologiche che convertiamo volentieri in segnalatori esistenziali. Il bel tempo, quello dei cieli diafani, ci incita al pensiero della felicità; invece la visione della zona di convergenza intertropicale equatoriale, sovraccaricata di temporali e striata di lampi alla catastrofe imminente (« Poiché il giorno è vicino, è vicino il giorno dell'Eterno; sarà un giorno di nuvole, il tempo delle nazioni », ci avvisa il profeta Ezechiele nella Bibbia. Ci ricordiamo che, nel L’Âge d’Or di Buňuel e Dalì, una donna travolgente d’amore sviene di fronte al suo specchietto, sul quale si susseguono delle nuvole di color bianco cotone rassicurante. Difficile non citare, nell’ambito cinematografico, i cieli con le nuvole ornate di luce o di ombra presente in varie sequenze dei film di Terrence Malick con I Giorni del Cielo oppure La sottile linea rossa. Guardare il cielo, le nuvole, è come vedere in se, nell’universo della nostra propria psicologia intima, assegnando una qualità sensoriale e fantasmatica allo spettacolo della natura. Siamo decisamente, definitivamente, degli esseri sposati all’ordine cosmico delle cose.
Patrick Mimran, con i cieli d’After, dà generosamente corpo a questa dramatizzazione. Le immagini che condivide con noi presentano un largo ventaglio di configurazioni mentali: cieli pesanti, leggeri, incerti, a pecorelle, prospettive sull’azzurro molto alto di fronte allo sguardo oppure, essendo sopra un « coperchio » di nuvole, comunicano eventi funesti e “spleen” (citiamo Baudelaire di nuovo : « quando il cielo basso e greve pesa come un coperchio… »). Il cielo si presenta qui come nostro alleato, nostro compagno nero, nostro cicerone sereno o candido, diversamente.
After, ancora, parla del tempo e dell’evento. “Dopo”, perchè no – ma dopo cosa? Cosa sarebbe successo: temporale, tempesta, semplici momenti ordinari ai quali non abbiamo neanche fatto caso? Ogni immagine elenca un po’ della temporalità locale attraverso il tempo che fa e l’apparenza stessa del cielo. Ma non ne sapremo di più. L’istantaneo sarebbe in grado di fondersi con l’eternità? Patrick Mimran ci lascia con le nostre domande mentre il nostro sguardo si perde nelle sue magnifiche composizioni che slittano verso il trascendentale, il sovraumano, il divino, i nostri piedi rimasti sulla Terra.
Paul Ardenne, storico dell’arte