Paolo Fiorentino – Betunium
“Betunium”… parola latina che i romani usavano per indicare il calcestruzzo con pozzolana e calce comune inseriti come leganti. Fin dall’antichità veniva utilizzato per la costruzione di edifici e strutture abitabili o funzionali. Corrisponde a ciò che noi chiamiamo cemento, materia prima del vivere civile e della polis moderna. Paolo Fiorentino dipinge, sfruttando un principio liquido (il disegno e la pittura) che si trasforma in una pelle solida dalla forza generativa (il quadro).
Comunicato stampa
“Betunium”… parola latina che i romani usavano per indicare il calcestruzzo con pozzolana e calce comune inseriti come leganti. Fin dall’antichità veniva utilizzato per la costruzione di edifici e strutture abitabili o funzionali. Corrisponde a ciò che noi chiamiamo cemento, materia prima del vivere civile e della polis moderna.
Partire dalle fondamenta letterali, dalla cellula generativa che codifica un principio chimico e crea la struttura, lo scheletro su cui plasmare le ragioni dinamiche del codice umano. Il cemento corrisponde al passaggio epocale con cui l’umanità ha cambiato le regole del nomadismo, offrendo un sostegno monolitico al gruppo familiare e sociale, una certezza materiale che difendesse e proteggesse dalle pressioni esogene.
Paolo Fiorentino dipinge, sfruttando un principio liquido (il disegno e la pittura) che si trasforma in una pelle solida dalla forza generativa (il quadro). La manualità pittorica e il cemento hanno qualcosa di simile nella loro natura costitutiva e costruttiva: entrambe celebrano l’evoluzione della specie, creando una memoria (simbolica nella pittura, materiale nel cemento da costruzione) che protegge gli uomini dall’oblio, dalla perdita di senso, dal confondersi e perdersi. La pittura alimenta lo sguardo, il cuore, le idee, l’ispirazione poetica, la visione del mondo; il cemento alimenta le relazioni familiari, la struttura gerarchica, la geometria del lavoro, l’organizzazione della vita. Assieme ci danno la dimensione del dialogo dentro la Storia ma anche oltre il tempo lineare, oltre lo spazio del realismo, ben oltre i confini del quotidiano.
Ciò che rimane ha bisogno di radici profonde, di uno scheletro forte ed elastico, di una pelle mimetica e di un’anima indomita. Solo così ciò che resta corrisponde a ciò che cresce senza scomparire.
Parafrasando il titolo di un film, si potrebbe dire “Il senso di Paolo per il cemento”… perché nei quadri respiri la qualità morale di una materia ad alto contenuto antropologico, la stazza epica di una certa architettura che della classicità è figlia e del modernismo è stretta parente di primo grado. Da diversi anni l’artista romano ha ridotto i modelli planimetrici ad un insieme di strutture filanti e razionali, rigorose, prive di umano movimento. Le lascia galleggiare su fondali monocromi che isolano la teatralità urbanistica del cemento. Per l’occasione vediamo, assieme alla materia da pennello, una concentrazione di raffinata grafite su gamme del grigio, il tutto sopra fondali lattiginosi e densi, quasi a sottolineare il sistema nervoso del cemento, la sua anomala freddezza, il potere alchemico delle sue scansioni geometriche. Sono paesaggi mentali che nascono dall’esperienza nel reale, da una mescolanza di volumi tra forme esistenti e interpretazione visionaria. Una storia architettonica che è prima di tutto un’avventura pittorica, un’immersione nel teatro fantastico della città invisibile di calviniana memoria. Disegno e pittura si amalgamano e inventano il “fantastico del reale”, interpretando per immagini quel limbo narrativo che amiamo nella letteratura extrareale di James G. Ballard, Philip K. Dick e Kurt Vonnegut.
A voi la risposta davanti ai quadri, ricordando che nulla è ciò che sembra ma che tutto può sembrare ciò che voi immaginate. Una sola eccezione: ci sarà in mostra un quadro dedicato espressamente alla città di Latina, a conferma di un impegno della Romberg nel coinvolgere artisti che indagano il territorio pontino e usano certe peculiarità come ispirazione del loro viaggio pittorico.