J&Peg – Caso Zero
La mostra, curata da Lorenzo Bruni, è in collaborazione con la Galleria Poggiali e Forconi di Firenze – che per il secondo anno consecutivo organizza nella piccola Atene della Versilia mostre d’arte contemporanea – e presenta oltre 15 lavori realizzati appositamente per l’occasione.
Comunicato stampa
Sabato 2 luglio inaugura a Pietrasanta, negli spazi del complesso post-industriale ExMarmi, la mostra Caso Zero di J&Peg, a cura di Lorenzo Bruni.
Per il secondo anno consecutivo la Galleria Poggiali e Forconi di Firenze collabora con la ExMarmi – dapprima fabbrica dolciaria, poi laboratorio di marmi, quindi cantiere per le arti sceniche – organizzando nella piccola Atene della Versilia mostre d’arte contemporanea: dopo il successo della mostra di Thomas Gillespie è la volta del duo Antonio Managò e Simone Zecubi, che hanno scelto la sigla J&Peg per richiamare il formato delle immagini digitali utilizzate nel loro originale processo creativo, che combina scenografia, fotografia, pittura e computer grafica.
Le opere dei J&Peg sono il risultato di un processo lungo e complesso che nasce dall'assemblaggio di differenti materiali e tecniche che li porta a realizzare costruzioni di modellini, set cinematografici, scatti fotografici stampati su PVC in cui intervengono successivamente con la pittura. La loro produzione è da sempre contraddistinta da una forte carica pop rivisitata in chiave lirica e ironica. La mostra dal titolo Caso zero presenta una serie di oltre 15 grandi lavori fotografici, realizzati appositamente per questa mostra, che si discostano fortemente dalla produzione precedente soprattutto per le immagini contraddistinte da figure nere che emergono dal nero dello sfondo per mezzo di un sapiente gioco di luci. La luce che anima le scene delle varie fotografie scolpisce letteralmente l'immagine modellando e facendo emergere le varie superfici dell'attore o personaggio che di volta in volta è inguainato e come imprigionato dalla stoffa nera che lo riveste interamente dalla testa ai piedi, rendendolo così una sorta di uomo ante litteram.
Le immagini in mostra sono tutte ispirate a fotografie che hanno alimentato e ancora costituiscono il serbatoio della memoria collettiva del mondo Occidentale dalla fine dell'Ottocento ad oggi: dalle prime fotografie dei migranti alle ultime foto del disastro post-terremoto di Haiti. Le immagini però sono completamente estrapolate dalla dimensione cronachistica o mediatica da cui provengono. In questo modo la particolarità dell’episodio è sacrificata a favore di un sentimento più universale. La mostra Caso zero diviene così la catalogazione non dei singoli fatti storici, ma dei gesti arcaici che, da sempre, regolano il rapporto tra cultura e natura da parte dell'essere umano nel suo eterno tentativo di auto-definirsi.
L’interesse dei J&Peg per il singolo episodio, per l'archivio delle tragedie umane, è innanzitutto un interesse per come questi fatti sono arrivati all'attenzione del grande pubblico: tramite le immagini nei libri, i telegiornali o internet. Rivolgendosi non al fatto, ma all'immagine che ha mediato il fatto, è come se i J&Peg accettassero e svelassero che di un fatto di cronaca comunque non è mai possibile sviscerare e cogliere nello stesso momento tutte le sfumature e implicazioni possibili. Così ad esempio i due giudici famosi per la lotta alla mafia italiana, Falcone e Borsellino (o meglio una famosa foto in cui i due, presi frontalmente, si parlano quasi all'orecchio) trasposti in questa sorta di limbo divengono un'immagine da cui emerge la grande complicità tra i due, quasi una fusione che rimanda al mito dell'ermafrodito e della nascita dell'uomo come al problema del doppio.
Come scrive nel testo in catalogo il curatore Lorenzo Bruni: «Appare evidente che Caso zero più che essere un titolo di un ciclo fotografico è una dichiarazione da parte degli artisti di azzeramento della profusione attuale delle immagini di massa. Per paradosso, per mezzo dei mezzi di comunicazione, possiamo affermare che in questa “modernità liquida” le fotografie non vengono più create nel momento dello scatto fotografico e in cui si imprime sulla pellicola la luce, ma nel momento in cui vengono “distribuite”. I J&Peg hanno sperimentato con questa nuova serie di lavori il processo inverso, ovvero partendo dalle immagini distribuite a livello massmediatico cercano di creare una scultura che si fa immagine della memoria collettiva e presenza a metà tra il reale e l'irreale per stimolare una riflessione sul significato a livello collettivo del concetto di passato e di futuro».
Antonio Managò è nato a Busto Arsizio (VA) il 26/09/1978. Diplomato in Scultura presso l’Accademia di Belle Arti (Brera) di Milano. Simone Zecubi è nato a Gallarate (VA) il 14/07/1979. Diplomato in Scenografia presso l’Accademia di Belle Arti (Brera) di Milano. Entrambi vivono e lavorano a Milano.
La mostra sarà corredata da un libro con testi di Lorenzo Bruni e Enrico Mattei.