Denaro e Bellezza. I banchieri Botticelli e il rogo delle vanità

Informazioni Evento

Luogo
PALAZZO STROZZI
Piazza Degli Strozzi, Firenze, Italia
(Clicca qui per la mappa)
Date
Dal al

Tutti i giorni 9.00-20.00-Giovedì 9.00-23.00
Accesso in mostra consentito fino a un’ora prima dell’orario di chiusura

Vernissage
15/09/2011

ore 12 per la stampa

Contatti
Email: info@fondazionepalazzostrozzi.it
Biglietti

intero €10,00; ridotto €8,50; €8,00; €4,00 Scuole

Patrocini

La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Firenze con il Comune di Firenze, la Provincia di Firenze, la
Camera di Commercio di Firenze e l’Associazione Partners Palazzo Strozzi e la Regione Toscana. Main sponsor: Banca
CR Firenze.

Editori
GIUNTI EDITORE
Curatori
Ludovica Sebregondi, Tim Parks
Generi
arte antica, collettiva

Una mostra diversa da tutte le altre che narra con taglio attualissimo per la prima volta una vicenda straordinaria: il fiorire del moderno sistema bancario e delle radici della nostra economia in parallelo alla maggiore stagione artistica del mondo occidentale.

Comunicato stampa

Dal 17 settembre 2011 al 22 gennaio 2012 si terrà a Palazzo Strozzi a Firenze la mostra Denaro e Bellezza. I banchieri,
Botticelli e il rogo delle vanità che attraverso cento opere di artisti come Botticelli, Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, i
Della Robbia, Lorenzo di Credi, Andrea del Verrocchio, Jacopo del Sellaio, Hans Memling – l’élite del Rinascimento –
collega vicende economiche e d’arte agli sconvolgenti mutamenti religiosi e politici del tempo. La rassegna spiegando i
vari passaggi e le trasformazioni relative al denaro, fotografa la vita e l’economia europea dal Medioevo al Rinascimento.
E fornisce inoltre gli strumenti per guardare al nostro presente, dove sono all’ordine del giorno le questioni dei rischi del
mercato e le contraddizioni tra valori economici e spirituali. Tematiche già allora evidenti nella parabola che va
dall’espansione della moneta alla speculazione economica, fino alla critica del lusso e al falò delle vanità.
Ripercorrendo la storia degli scambi commerciali e la nascita del sistema bancario sarà quindi possibile avere una chiave
di lettura assolutamente originale sullo stato delle cose oggi attraverso l’approfondimento del significato di parole
emblematiche – cambio, prestito, usura, commercio, bancarotta, crisi - alla base delle dinamiche economiche e delle
trasformazioni in atto.
Una rassegna dove ogni opera – dall’imponente Pala della Zecca di Jacopo di Cione, Niccolò di Tommaso e Simone di
Lapo all’altrettanto grandiosa tela di Ludwig von Langenmantel in cui Savonarola predica contro il lusso e prepara il
rogo delle vanità – evoca una storia e alla fine ricostruisce un’epoca: dal 1252, quando viene coniato il fiorino d’oro, alla
morte di Botticelli.
Curata dalla storica dell’arte Ludovica Sebregondi, autrice della Iconografia di Girolamo Savonarola. 1495-1998, e dallo
scrittore e traduttore Tim Parks, autore de La fortuna dei Medici, l’esposizione, di impostazione originale e interattiva,
vuole rappresentare anche un’occasione per guardare l’arte trasversalmente, e raccontare le radici del Rinascimento
fiorentino dall’ottica delle relazioni – palesi, e più spesso segrete – fra arte, potere e moneta. Un evento dove le voci dei
curatori danno vita a un duetto presentando punti di vista diversi (e a volte contrastanti) sulle opere esposte.
La mostra. La rassegna riunisce oltre cento opere, con prestiti provenienti dai più importanti musei italiani e stranieri
quali i Musei Vaticani, la National Gallery di Londra, il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, il Museo
Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, il Regina A. Quick Center for the Arts di St Bonaventure, New York, il Poldi
Pezzoli di Milano, oltre che dai principali musei fiorentini (Galleria degli Uffizi, Bargello, Museo di San Marco) e da
collezioni private. Divisa in otto sezioni prendendo le mosse dalla nascita del fiorino, la rassegna illustra la diffusione del
commercio internazionale, del sistema creditizio e il progresso economico cui ha dato origine. Attraverso temi come
Usura; Arte (e mistero) del cambio; Il commercio internazionale: viaggi e merci; Leggi suntuarie; Banchieri e
artisti; Crisi (questi i titoli di alcune sezioni) la rassegna permette al visitatore di compiere un itinerario interattivo che lo
porta a conoscere la vita delle famiglie che avevano allora il controllo del sistema bancario, Bardi, Peruzzi, Gondi,
Cambini, Medici, cogliendo anche il persistente conflitto tra valori spirituali ed economici. Si vedrà per esempio come il
mito del mecenate è strettamente legato a quello dei banchieri che finanziarono le imprese delle case regnanti, ed è proprio
questa convergenza che favorì l’operare di alcuni dei più importanti artisti di tutti i tempi e il connubio tra “denaro e
bellezza”. Fondamentali, per illustrare questi percorsi, capolavori come il Ritratto di Benedetto di Tommaso Portinari di
Memling, l’Adorazione dei pastori con Filippo Strozzi della Bottega di Domenico Ghirlandaio, la Natività di Botticelli,
l’Adorazione dei Magi di Cosimo Rosselli, realizzati per famiglie di banchieri. La mostra si avvale anche di dettagliate
raffigurazioni del mestiere di banchiere, opera di straordinari artisti fiamminghi quali Jan Provoost o Marinus van
Reymerswaele per raccontare il periodo in cui Firenze era la capitale finanziaria del mondo. Vengono poi chiariti, con
l’ausilio di strumenti multimediali, gli antichi percorsi del denaro e del commercio. Nelle opere di Botticelli invece si
riflette la tensione e il contrasto tra sacro e profano. L’artista – il portavoce più sensibile, in ambito figurativo, del
Rinascimento fiorentino – è seguito nel suo percorso che dalle opere giovanili ancora vicine al maestro Filippo Lippi,
passa attraverso la bellezza idealizzata dei neoplatonici delle celebrate pitture mitologiche, e giunge infine alle tormentate
espressioni del suo estremizzato credo religioso e della sua tardiva adesione al rigore morale imposto dalle prediche di
Savonarola.
La rassegna compie dunque un viaggio alla radice del potere fiorentino in Europa, ma è anche un’analisi di quei
meccanismi economici che – mezzo millennio prima degli attuali mezzi di comunicazione – permisero ai fiorentini di
dominare il mondo degli scambi commerciali e, di conseguenza, di finanziare il Rinascimento. Analizzando i sistemi con
cui i banchieri crearono immensi patrimoni, illustra la gestione dei rapporti internazionali e chiarisce anche la nascita del
mecenatismo moderno che ha origine spesso come gesto penitenziale per trasformarsi poi in strumento di potere. Un
itinerario che si chiude con la visione di una società in crisi, con quel ciclone politico-religioso che fu Savonarola, il frate
che con i “bruciamenti delle vanità”, arrivò a negare quanto il Rinascimento aveva rappresentato, pur costituendone parte
integrante.
L’allestimento, di Luigi Cupellini, è caratterizzato da due diversi linguaggi evidenziati da toni cromatici contrapposti:
chiaro e luminoso nelle parti che descrivono la nascita del fiorino, i viaggi, le merci, le committenza e scuro per le sezioni
dedicate all’usura e a Savonarola. Il percorso, con opere assai eterogenee (tavole, affreschi staccati, sculture, codici
miniati, avori, monete, medaglie, tessuti) è collegato da un segno che funge da fil rouge: una sorta di pentagramma che
funziona da supporto per la parte testuale e didascalica.
L’esposizione si avvale della consulenza storica di Franco Franceschi, Professore di Storia medievale all’Università degli
Studi di Siena-Arezzo e di un prestigioso comitato scientifico, composto da Cristina Acidini, Soprintendente per il
Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze (Presidente); Alessandro
Cecchi, Direttore della Galleria Palatina e dei Giardini di Boboli; Dora Liscia, Professore di Storia delle Arti Applicate e
dell'Oreficeria all’Università degli Studi di Firenze; Robert Mundell, premio Nobel per l'Economia; Beatrice Paolozzi
Strozzi, Direttore del Museo Nazionale del Bargello; Jacob Rothschild; Gerhard Wolf, Direttore del Kunsthistorisches
Institut in Florenz-Max Planck Institut.
Come in ogni esposizione della Fondazione Palazzo Strozzi, la mostra è fruibile a vari livelli con speciali didascalie per i
più piccoli e per le famiglie e una varietà di strumenti multimediali che in questo caso consentiranno al visitatore di
seguire la nascita e l’evoluzione del commercio e i profitti che si traevano attraverso lo spostamento delle merci e del
denaro per tutta Europa. I visitatori saranno veri e propri “mercanti-banchieri” e tramite lo speciale codice a barre presente
su ogni biglietto della mostra, potranno “investire” 1.000 fiorini partecipando così al gioco interattivo “Segui i tuoi
fiorini”.
La mostra è promossa e organizzata da Fondazione Palazzo Strozzi, Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
Soprintendenza PSAE e per il Polo Museale della città di Firenze con il Comune di Firenze, la Provincia di Firenze, la
Camera di Commercio di Firenze e l’Associazione Partners Palazzo Strozzi e la Regione Toscana. Main sponsor: Banca
CR Firenze.

VADEMECUM PER LA MOSTRA
SEZIONE 1 – Sala 1
Il Fiorino, immagine di Firenze nel mondo
La mostra si apre con una prima sezione dedicata al fiorino, moneta immagine di Firenze nel mondo, coniata per la prima
volta nel 1252 e fino al 1859. Il nome deriva dal giglio (in latino flos, simbolo araldico di Firenze) rappresentato sul diritto
della moneta, mentre sul rovescio è effigiato san Giovanni Battista, patrono della città. Prima che i governi
sottoscrivessero il valore della moneta, di carta o metallo, il denaro doveva avere un valore intrinseco; doveva essere d’oro
o d’argento. Solo così un mercante l’avrebbe scambiato con i suoi prodotti. Serviva però un’ampia gamma di monete per
far fronte alle spese grandi e piccole. Agli inizi del ’200, a Firenze come in molte altre città dell’Europa occidentale, si
usava ancora il denaro d’argento del Sacro Romano Impero ormai in declino, ma valeva così poco che lo si dovette
integrare con monete di maggior valore provenienti da Lucca e Siena. Si trattava di una situazione confusa, ed era ormai
tempo che qualcuno creasse una valuta più pratica per le grandi transazioni. Nel 1237 nacque la Zecca di Firenze, che
coniò dapprima il fiorino d’argento, del valore di 12 denari (o un soldo), e nel 1252 il fiorino d’oro, pari a 20 soldi (o una
lira). Era una moneta serissima, in oro puro a 24 carati del peso di 3.53 gr., che oggi verrebbe a costare 110€ o 150$.
Alla fine del secolo il fiorino era già in uso in tutta Europa, non solo come moneta ma anche come valuta di conto. Il
successo conferì grande prestigio a Firenze e si rivelò una risorsa importante per mercanti e banchieri della città. Il mondo
ancora oggi utilizza termini (banca, bancarotta, fiorino) che derivano dalla Firenze dell’epoca (vedi la scheda a cura della
Accademia della Crusca). In questa sezione insieme agli Statuti dei monetieri sono esposte una serie di monete che
coprono l’arco cronologico della mostra: dal 1252 alla fine del Quattrocento. Accanto alle monete è indicato il
corrispettivo in merce di ciò che si poteva comprare all’epoca. Con un soldo, per esempio si acquistavano tre uova. In
questa sezione introduttiva al tema della mostra è esposta un’opera fondamentale per la Firenze dell’epoca: la Pala della
Zecca, una ricchissima tavola alta tre metri e mezzo, su fondo oro, commissionata nel 1372-1373 dagli Ufficiali della
magistratura fiorentina che soprintendeva alla monetazione. Tra i santi protettori della città appare Reparata, che tiene in
mano il modellino di Firenze. Il gradino è occupato da stemmi: tra gli altri quelli delle Arti cui era affidata la Zecca, cioè
quella dei Mercatanti di Calimala e quella del Cambio.
SEZIONE 2 – Sala 1
Tutto è monetizzabile?
Si entra nella vita quotidiana all’epoca di Francesco di Marco Datini (Prato 1335-1410), che incarna la figura del mercante
medievale nei suoi aspetti economici, politici, ma anche individuali e privati. Il suo archivio, interamente conservato a
Prato, rappresenta un esempio unico al mondo e costituisce una fonte insostituibile per la storia del mondo mercantile
europeo della seconda metà del Trecento. Nella sezione ci si collega al costo delle merci e dei servizi, entrando ancor più
nel cuore della tematica della rassegna: sono esposti oggetti e immagini, sacri e non, che rimandano alla tensione tra valore
monetario e valori spirituali. Si paragonano costi di prodotti e servizi anche molto diversi: una botte di vino costa 20 soldi,
una prostituta 15, un rosario 14 soldi e 8 denari.
Tra le opere esposte, oltre al ritratto di Datini, una predella (restaurata in occasione della mostra) che raffigura
vivacemente il miracolo avvenuto nel 1399 durante una processione del Movimento dei Bianchi: Datini prese parte a uno
di questi pellegrinaggi, registrando accuratamente tutte le spese e informandoci così del costo delle vivande, dei rosari,
delle fruste con cui i partecipanti si flagellavano. Una Madonna col Bambino fornisce lo spunto per analizzare il costo dei
materiali (oro, azzurro ultramarino) e della manodopera. Un libro delle gabelle indica l’ammontare delle tasse di quanto
veniva importato a Firenze: ad esempio quella del formaggio proveniente da Parma era superiore al “cacio” della Val
d’Elsa. La vita quotidiana dell’epoca è illustrata da un esemplare di Tacuinum sanitatis, prontuario medico di origine
araba che illustra, attraverso immagini accompagnate da brevi testi esplicativi, le proprietà di erbe e piante e i principi alla
base del mantenimento della salute.
SEZIONE 3 – Sala 2
Usura
Che cosa accade dopo che sono stati guadagnati i soldi? Non si spendono solo, ma anche si prestano; naturalmente
chiedendo un interesse. Ma quando l’interesse diventa usura? Tra i vizi capitali fissati dalla Chiesa l’Usura rientra
nell’Avarizia, e l’usuraio pecca perché vende l’intervallo tra il momento in cui presta e quello in cui viene rimborsato con
l’interesse: commercia dunque il tempo, che compete solo a Dio. Il veto trova eccezioni: Tommaso d’Aquino pone le
premesse per inserire il tasso di interesse fra i contratti leciti, mentre Bernardino da Siena precisa la distinzione tra usuraio
e banchiere, la cui attività consente la circolazione della ricchezza, dato che il prestito è alla base del moderno sistema
finanziario. In questa tensione si fanno strada le donazioni pro remedio animae (per la salvezza dell’anima), destinate a
opere di bene, o d’arte, ma le rappresentazioni dei prestatori conservano sempre connotazioni negative. La figura
dell’usuraio è legata a quella dell’ebreo: essendo proibite loro quasi tutte le attività, agli ebrei non restava che la medicina
e il prestito.
La Chiesa avverte la necessità di aiutare chi fosse in difficoltà e i francescani, dal 1462, ispirano e fondano i Monti di Pietà
come istituzioni antiusura. In mostra è esposta la prima trasposizione in immagine degli avari nella Divina Commedia, del
1345 circa, di Andrea di Cione, detto l’Orcagna: un affresco staccato di oltre tre metri, di grande impatto e importanza. Lo
affiancano raffigurazioni fiamminghe di usurai e una predella commissionata da Cosimo de’ Medici a Pesellino che mostra
Sant’Antonio fa ritrovare nel forziere il cuore dell’usurai. Il busto di sant’Antonino Pierozzi, il ritratto del beato
Bernardino da Feltre che ha appoggiato la nascita dei Monti di pietà, e xilografie, illustrano l’impegno della Chiesa contro
l’usura.
QUARTA SEZIONE – Sala 3
Arte (e mistero) del cambio
L’Arte del cambio fa riferimento alla corporazione che riuniva i banchieri ma anche al mistero del cambio delle monete.
Dopo l’usura le cose si complicano: la condanna della Chiesa dell’usura e le immagini di usurai che bruciano all’inferno
rappresentavano un forte deterrente. Tuttavia la gente aveva bisogno di prestiti, e non aveva senso concederli senza un
tornaconto. Serviva una soluzione che non solo aggirasse il divieto ma che non sembrasse affatto usura. Per oltre 200 anni
fu la lettera di cambio a consentire ai banchieri di trarre profitti dai prestiti senza sentirsi usurai. Le città italiane non
possedevano valute estere in quantità, perciò per cambiare fiorini, ad esempio in sterline inglesi, bisognava versare i fiorini
a Firenze e ritirare le sterline a Londra.
Ufficialmente servivano 90 giorni per arrivare a Londra, così c’era tempo per sfruttare quei fiorini prima di renderli in
sterline. Poiché il tasso di cambio favoriva sempre la moneta locale, chi incassava poteva fare un’analoga operazione di
cambio a Londra per riconvertire le sterline in fiorini e dopo altri 90 giorni conseguire un profitto tra il 10 e il 20 percento.
La lettera di cambio legava la finanza al commercio, con la distanza e i tassi di cambio che rimpiazzavano il tempo e i tassi
d’interesse. La sezione accoglie raffigurazione del mercante-banchiere, rappresentazioni prive delle connotazioni negative
degli usurai della precedente, e ospita anche dipinti fiamminghi e incisioni fiorentine di cambiatori, una serie di oggetti
legati alla banca (cassaforti, cofanetti, tasche da messaggero, scarselle per contenere il denaro, lucchetti, serrature, bilance)
e anche una documentazione archivistica con lettere di cambio, libri segreti, lettere cifrate e cifre per decriptarle.
SEZIONE 5 – sala 4
Il commercio internazionale: viaggi e merci
Come principale strumento di credito, la lettera di cambio finanziava il commercio internazionale. Di norma i banchieri
erano anche mercanti, senza una netta distinzione. L’Italia inviava verso Nord spezie, allume, seta e beni di lusso, mentre
dall’Europa settentrionale giungevano lana, stoffe, stagno, piombo e cuoio. Poiché il saldo commerciale era a favore
dell’Italia e nessuno voleva viaggiare con grandi somme di denaro, veneziani, genovesi e fiorentini dovettero inventare
triangolazioni commerciali per far rientrare i proventi dall’estero, spesso passando per Barcellona e Valencia o per le
grandi fiere di Ginevra e Lione.
Con le strade sconnesse ed esposte ai predoni, i beni ingombranti in genere attraversavano via mare il golfo di Biscaglia.
Il viaggio era lento, le navi spesso caricate oltre il limite, e la costa catalana famosa per i suoi pirati.
Non di rado, quando la merce giungeva a destinazione, le condizioni di mercato erano mutate in peggio. Il grosso delle
spedizioni era assicurato, con banche e privati che si accordavano per spartire rischi e profitti. I premi erano più bassi se la
nave era difesa da arcieri. «Nel nome di Dio e di buona ventura» si aprivano i documenti di spedizione.La sezione presenta
– attraverso oggetti reali e opere d’arte che vi alludono – i mezzi di comunicazione dell’epoca: le vie fluviali, i viaggi
marittimi, i pericoli che si correvano. Affascinanti oggetti, provenienti da un’imbarcazione affondata durante l’alluvione
1333, ritrovati sul greto dell’Arno (una bilancia a stadera, il necessario per calafatare gli scafi), fanno comprendere
l’importanza del trasporto delle merci via fiume. Ma la presenza di un pugnale indica che anche questi viaggi a breve
percorrenza non erano meno pericolosi di quelli in mare aperto, a cui fanno invece riferimento le carte nautiche, i
modellini di navi e un capolavoro di Beato Angelico che raffigura un miracolo di una nave carica di merci in difficoltà,
accompagnata al sicuro nel porto da san Nicola di Bari, patrono dei naviganti.
I figli dei mercanti, inviati lontano ancora bambini, venivano affidati – nella Firenze tre-quattrocentesca – all’arcangelo
Raffaele del racconto biblico, che aveva protetto il giovane Tobiolo in un viaggio pericoloso. Un fronte di cassone mostra
la storia (Boccaccio Decameron X,9) di un mercante lombardo e della sua amicizia con un collega musulmano, esaltando
l’attività commerciale, i traffici con il vicino Oriente, la lealtà che supera la differenza di religione.
SEZIONE 6 - sala 5
Leggi suntuarie
In questa sezione l’accento è sulle leggi contro il lusso. Dal Duecento, coll’espandersi degli scambi commerciali e col
diffondersi di nuove necessità, si aggiornano i simboli della ricchezza e sono sempre più numerosi coloro che possono
sfoggiare abiti e ornamenti preziosi, col rischio di minare le barriere fra gruppi sociali e di entrare in contrasto con la
moralità invocata dalla Chiesa. Le leggi suntuarie, che non disciplinano solo l’uso di vesti e ornamenti ma regolamentano
anche banchetti, nozze, battesimi e funerali, sono emanate proprio per contenere il lusso, limitando importazioni e spese,
per difendere i tradizionali valori di austerità anche a scapito del nuovo mondo che si apre al commercio. Le autorità sono
però sollecitate da una preoccupazione duplice e quasi antitetica: da un lato l’importanza della circolazione del denaro,
dall’altro il timore di una contaminazione fra ceti differenti.
Dal Trecento si fanno strada due novità: i simboli del lusso vengono concessi a cavalieri, dottori, medici, giudici e alle loro
donne e si consente inoltre di contravvenire alle norme pagando una multa, ottenendo così insieme lo scopo di rimpinguare
le casse cittadine. Sofismi e cavilli hanno comunque sempre permesso ai fiorentini di ostentare l’opulenza raggiunta:
“Fatta la legge, trovato l’inganno”.In mostra opere ricchissime illustrano ciò che era proibito, ma anche comprato e
volentieri sfoggiato: cinture preziose, scarselle, cioè borse, di tessuto damascato, disegni di acconciature di piume di
pavone e perle. Una tavola di Jacopo del Sellaio illustra un banchetto, due predelle di Beato Angelico un funerale e le
nozze.
SEZIONE 7 - Sala 6
Banchieri e artisti
Oggetti preziosi, tessuti, opere d’arte, pur lasciando comprendere l’opulenza di chi li possiede, non sono circondati
dall’aura di riprovazione che accompagna i soldi, la cui provenienza, non essendo palese, è collegata al timore del modo in
cui sono stati guadagnati e degli scopi per i quali sono stati usati. A Firenze, nel Quattrocento, si assiste infatti a una forte
crescita della domanda di arte, destinata alle dimore private e voluta da un ceto dirigente – soprattutto mercantile – che
vede nella committenza artistica una fonte di prestigio in una società ancora aperta e mobile. Attraverso la bellezza il
denaro si affranca dalla volgarità e dal peccato. I mercanti-banchieri si fanno raffigurare (quelli che gestiscono i banchi a
Bruges da artisti quali Hans Memling, ad esempio Benedetto Portinari) non più in scala minore rispetto alle figure dei
santi come accadeva in passato.
Filippo Strozzi sceglie di farsi ritrarre inginocchiato al cospetto della Sacra famiglia. È il costruttore del Palazzo sede della
mostra, e viene esposto anche il consiglio dell’astrologo per la scelta del momento della posa della prima pietra. Un
ricordo molto personale dell’evento viene rievocato da uno speziale con bottega nelle vicinanze (si rinvia alla scheda
Palazzo Strozzi), e il modello del Palazzo – unico modello conservato per un edificio rinascimentale privato – è esposto al
piano terreno nel museo dedicato al storia dell’edificio e della famiglia.
Il lusso si esprime in una serie di oggetti quali deschi da parto (con i quali si portava alla puerpera il cibo per rifocillarsi, e
che erano riccamente dipinti), specchi, pettini. Tra le opere di committenza medicea, un boccale dell’XI secolo di
manifattura sasanide che il Verrocchio ha aggiornato con raffinate parti in argento, miniature che accompagnano testi del
mondo classico, manoscritti musicali, un frammento di tessuto che costava più di un gioiello. Di Botticelli vengono
esposte alcune prime opere devozionali che risentono ancora dell’influenza del maestro Filippo Lippi, un affresco staccato
realizzato per il sensale Gaspare del Lama, iscritto all’Arte del Cambio. Una Venere della bottega del Botticelli allude alle
favole mitologiche realizzate per la famiglia Medici; due disegni di nudi mostrano l’arte che sarà poi oggetto di
riprovazione da parte di Savonarola. Il prezioso ritratto di Ritratto di giovane donna o Dama dei gelsomini di Lorenzo di
Credi chiude la sala.
SEZIONE 8 - Sale 7-9
Crisi
La sezione si apre sulla Congiura dei Pazzi che, nel 1478, preannuncia la fine di un’epoca, ma è insieme inizio dello
splendido quindicennio laurenziano: la crisi della società fiorentina di fine secolo è collegata ai Medici e al loro
antagonista, Girolamo Savonarola. La contesa che oppone Lorenzo il Magnifico (presente in mostra sotto forma di
imponente Busto attribuito a Pietro Torrigiano) al frate ferrarese segna la fine del Quattrocento: da un lato il mondo
mediceo, la cultura e l’arte neoplatonica accessibili solo a una élite, dall’altro la libertà politica e una religiosità espressa
attraverso opere devote di comprensione immediata.
Ai Medici e ai Pazzi rinviano nell’esposizione due grandi terrecotte dei Della Robbia con stemmi ed emblemi, alla
Congiura una camicia insanguinata (poi dimostrata essere del duca Alessandro, ma che nel primo Novecento veniva
trattata come vera e propria reliquia laica). Con la discesa di Carlo VIII (un dipinto commemora l’arrivo del re a Firenze),
la cacciata dei Medici e il mancato saccheggio della città, Savonarola appare come il salvatore e inizia quindi la sua
fortuna politica. L’adesione di Botticelli alle dottrine savonaroliane è tardiva, e fa seguito alla sua crisi personale, coincisa
con quella della società fiorentina, e alla distruzione dei sogni umanistici: la perdita di protezione e di committenze
importanti e le difficoltà trovano espressione nella Calunnia, il dipinto scelto come immagine della mostra.
La Calunnia rappresenta la testimonianza estrema della cultura laurenziana, di cui era stato partecipe il possibile
destinatario Antonio Segni, banchiere delle curia papale. È quasi un addio alla Firenze di Lorenzo il Magnifico, e
rappresenta un momento di transizione nel percorso di Botticelli verso l’adesione al credo savonaroliano. Sulla destra
siede Mida dalle lunghe orecchie (da non dimenticare che aveva la capacità di trasformare in oro qualsiasi cosa toccasse),
a cui il Sospetto e l’Ignoranza sussurrano insinuazioni. Il re tende il braccio verso un uomo incappucciato e vestito di
scuro, il Livore, accompagnato da una fanciulla, la Calunnia, che trascina per i capelli un giovane nudo che prega, mentre
altre due figure femminili, l’Invidia e la Frode, le pettinano i capelli. Segue la Penitenza, come una vecchia col capo
coperto e le vesti logore e stracciate, che si rivolge alla Verità, nuda e con lo sguardo e la destra rivolta al cielo. Ancora
una figura nuda, che ricorda la Venere, ma che non è più il centro del dipinto mentre la Penitenza, in gramaglie, prende il
sopravvento.
L’ultimo giorno di carnevale del 1497 e del 1498 Savonarola organizza in piazza dei Signori due roghi delle vanità.
Importante novità della mostra è l’aver ritrovato il gigantesco dipinto del 1881 alto due metri e largo oltre tre, ritenuto
perduto durante la seconda guerra mondiale e ritrovato nell’Università americana di St. Bonaventure, raffigurante
Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità. Un soggetto raro, che offre lo spunto al pittore per
inserire i ritratti di fiorentini dell’epoca: Machiavelli, Fra Bartolomeo, Filippino Lippi, Andrea della Robbia, Gentile
Becchi, Botticelli, Antonio del Pollaiolo, Pico della Mirandola. I roghi delle vanità vengono contrastate o celebrate, e
contribuiscono alla fine del frate. Il 23 maggio 1498, dove era stato innalzato il “trionfo” per bruciare le vanità, viene
eretto lo “stilo” al quale sono impiccati Savonarola e i suoi compagni.
Anche i loro corpi vengono arsi. Ci si avvia verso la fine della mostra con raffigurazioni del Supplizio di Savonarola.
Emblematico dello spirito dell’epoca quello che pare quasi un “cartellone da cantastorie” ante litteram, che racconta la
drammatica esecuzione di un uomo colpevole di un sacrilegio. Si termina con due di Botticelli e una tavola con parziali
interventi della bottega, che attestano il cambiamento di stile intervenuto nell’artista dopo la morte di Savonarola. È
evidente un senso di costrizione e inquietudine caratteristico del momento finale della sua attività in cui il pittore cerca
pose innaturali e sofferte e propone una spazialità arcaica, incurante delle leggi spaziali e prospettiche in un ritorno al
passato.
SELEZIONE OPERE PER LA STAMPA
Sezione 1
Il Fiorino, immagine di Firenze nel mondo
1.3
Fiorino d'oro (III serie)
1252-1303; oro; Ø cm 2,03; peso g 3,4
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, inv. 117 Monete
1.13
Jacopo di Cione, Niccolò di Tommaso, Simone di Lapo, Incoronazione
della Vergine, con i santi Giovanni Battista, Caterina d'Alessandria, Anna,
Matteo, Vittore papa, Giovanni Evangelista, Zanobi, Barnaba, Antonio
abate,
Reparata; I profeti Isaia ed Ezechiele (spicchi superiori); Stemmi della
Zecca fiorentina (gradino) 1372-1373; tavola; cm 350 x 192,3. Firenze,
Galleria dell'Accademia, inv. 1890 n. 456
Sezione 2
Tutto è monetizzabile?
2.1
Tommaso di Piero Trombetto, Ritratto di Francesco di Marco Datini, 1490,
Prato, Palazzo Datini
Sezione 3
Usura
3.3
Jan Provoost (Mons 1462-Bruges 1529)
L’avaro e la Morte 1505-1510; olio su tavola; cm 119,7 x 78,5 e 119, 8 x
78,7. Bruges, Musea Brugge, Groeningemuseum, inv. 0000.GRO0217.I-
0218.I
3.4
da Marinus van Reymerswaele (Reymerswaele 1490 circa-Middelburg,
documentato fino al 1567) Gli usurai 1540 circa
olio su tavola; cm 100 x 76. Firenze, Museo Stibbert, inv. 4080
Sezione 4
L’arte (e mistero) del cambio
4.4
Marinus van Reymerswaele (Reymerswaele 1490 circa-Middelburg,
documentato fino al 1567)
Il cambiavalute e sua moglie 1540; olio su tavola; cm 84 x 114
Firenze, Museo Nazionale del Bargello, Legato Carrand, inv. 2058 C
4.6
Artista tedesco (Norimberga?)
Bilancia per oro e pietre preziose di Hans II Harsdorf
1497; cassetta in legno ricoperto con carta dipinta; ferro; argento
parzialmento dorato; filo; perla della punta dell’ago
cassetta: cm 17,4 x 10,3 x 2,5, altezza dell’asta bipartita della bilancia
(senza basamento) cm 22,8, diametro dei piatti della bilancia cm 2.
Norimberga, Germanisches Nationalmuseum, Proprietà della Freiherrlich
Harsdorfsche Familienstiftung, HG 11 161.
4.14
Lettera di cambio di Diamante e Altobianco degli Alberti a Francesco di
Marco Datini e Luca del Sera
Bruges-Barcellona, 2 settembre 1398; foglio cartaceo; mm 73 x 224. Prato,
Archivio di Stato, b. 1145/1403803
Sezione 5
Il commercio internazionale: viaggi e merci
5.2
Francesco de Cesanis (attivo 1420 circa)
Carta nautica (Portolano) 1421; inchiostro e acquerello su pergamena; cm
58 x 96,6. Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Cartografia
Museo Correr, lascito Emanuele Cicogna 3451, Portolano 13
5.3
Beato Angelico (Guido di Pietro; Vicchio circa 1395-Roma 1455)
L’incontro di san Nicola con un messaggero dell’imperatore
e il salvataggio miracoloso di un veliero tra 1437 e 1449; tempera e oro su
tavola; cm 34 x 63,5. Città del Vaticano, Musei Vaticani, inv. 40252
5.6
Francesco Botticini (Firenze 1446-1497)
L’arcangelo Raffaele e Tobiolo con un giovane devoto 1485 circa
tempera su tavola; cm 156 x 89. Firenze, Soprintendenza Speciale per il
Polo Museale, inv. 1890 n. 8676
Sezione 6
Leggi suntuarie
6.10
Beato Angelico (Fra Giovanni da Fiesole, Guido di Pietro; Vicchio 1395
circa-Roma 1455)
Sposalizio della Vergine (scomparto di predella) 1432-1435
tempera su tavola; cm 19 x 51,5. Firenze, Museo di San Marco, inv. 1890 n.
1493
Sezione 7
Banchieri e artisti
7.1
Hans Memling (Seligenstadt circa 1435-1494)
Ritratto di Benedetto di Tommaso Portinari (sul retro Tronco di quercia con
banderuola); San Benedetto 1487
olio su tavola; ciascuno cm 45,5 x 34,5. Firenze, Galleria degli Uffizi, inv.
1890, nn. 1090 e 1100
7.2
Bottega di Domenico Ghirlandaio
Adorazione dei pastori con Filippo Strozzi (predella della Pala di Lecceto)
1487-1488; tavola cm 27 x 65,5. Rotterdam, Museum Boijmans Van
Beuningen, inv. 2553
7.10
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
Madonna col Bambino e un angelo 1465 circa; tempera e olio su tavola; cm
95 x 64. Firenze, MUDI - Museo degli Innocenti
7.11
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
Madonna col Bambino, due angeli e san Giovannino 1468
tempera su tavola; cm 85 x 62. Firenze, Galleria dell'Accademia, inv. 1890
n. 3166
7.12
Cosimo Rosselli (Firenze 1439-1507)
Adorazione dei Magi 1470 circa; tempera grassa su tavola
cm 101 x 217. Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 494
7.13
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
Natività 1472-1474; affresco staccato cm 117 x 226
Firenze, Basilica di Santa Maria Novella, controfacciata
Direzione Centrale per l'Amministrazione del FEC
7.14
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510): disegno.
Manifattura fiorentina: ricamo
Cappuccio di piviale con l’Incoronazione della Vergine 1490-1495 circa;
seta, oro e lino; cm 48,7 x 48 . Milano, Museo Poldi Pezzoli, inv. 444
7.22
Lorenzo di Credi (Lorenzo d’Andrea d’Oderigo, Firenze, circa 1460-1537)
Ritratto di giovane donna o Dama dei gelsomini 1485-1490; olio su tavola;
cm 77,2 x 55,2 x 2,2
Forlì, Pinacoteca civica, Musei San Domenico, inv. 119
Sezione 8
Crisi
8.6
Pietro Torrigiano (Firenze 1472-Siviglia 1528)
Busto di Lorenzo il Magnifico 1515-1520
terracotta policromata; cm 80 x 80 x 40 . Firenze, Collezione Liana e Carlo
Carnevali
8.8
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
La Calunnia 1497 circa; tempera su tavola; cm 62 x 91
Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890 n. 1496
8.9
Ludwig von Langenmantel (Michaelsberg 1854-Monaco di Baviera 1922)
Savonarola predica contro il lusso e prepara il rogo delle vanità 1881; olio
su tela; cm 193,04 x 312,42
Olean, NY, St. Bonaventure University, The Regina A. Quick Center for the
Arts
8.10
Filippo Dolciati (Firenze 1443-1519) attribuito
Supplizio di Girolamo Savonarola 1498; tempera su tavola
cm 38 x 58. Firenze, Museo di San Marco, inv. 1915 n. 479
8.12
Pittore fiorentino
Ritratto di Girolamo Savonarola (recto)
Supplizio di Girolamo Savonarola (verso) ante 1520
olio su tavola; cm 21,2 x 16,5. Londra, The National Gallery, donato dal Dr.
William Radford, 1890, inv. NG1301
8.15
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
Cristo crocifisso post 1496; tempera su tavola sagomata
cm 157,5 x 82,8 cm. Prato, Diocesi di Prato - Musei Diocesani MOp35
8.17
Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi; Firenze 1445-1510)
Madonna col Bambino e san Giovannino 1500 circa
Tavola; cm 134 x 92. Firenze, Galleria Palatina, inv. Palatina 357 (1912)
CINQUE RAGIONI
PER
VISITARE “DENARO E BELLEZZA”
1. Un tema eccezionale. Gli eventi degli ultimi anni, inclusa la crisi economica del 2008 dovuta in parte agli innovativi e
forse troppo rischiosi strumenti finanziari, rendono questa rassegna – la prima in assoluto sulla nascita del sistema
bancario e sulla speculazione - un evento di particolare interesse anche a livello internazionale. Denaro e Bellezza. I
banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità non è solo una mostra su Botticelli, anche se si conclude con numerose sue
opere e sottolinea l’influenza di Savonarola sui suoi dipinti, ma è una esposizione tematica trasversale che utilizza
capolavori d’arte, oggetti, documenti e un forte approccio interattivo per legare il Rinascimento al presente.
2. Meravigliose opere d’arte. Capolavori di Botticelli, Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, i Della Robbia, Memling e
Lorenzo di Credi – l’élite del Rinascimento – illustrano come il fiorire del moderno sistema bancario sia stato parallelo
alla stagione artistica di maggior splendore del mondo occidentale, collegando quell’intrecciarsi di vicende economiche e
d’arte agli sconvolgenti mutamenti religiosi e politici dell’epoca. La mostra riunisce oltre cento opere, con prestiti
provenienti dai più importanti musei italiani e stranieri quali i Musei Vaticani, la National Gallery di Londra, il
Groeningenmuseum di Bruges, il Germanisches Nationalmuseum di Norimberga, il Museo Correr di Venezia, il Museo
Boijmans Van Beuningen di Rotterdam, la Bibliothèque nationale de France di Parigi, il Regina A. Quick Center for the
Arts di St Bonaventure, New York, il Poldi Pezzoli di Milano, oltre che dai principali musei fiorentini (Galleria degli
Uffizi, Bargello, Museo di San Marco) e da collezioni private.
3. Un approccio curatoriale innovativo. Oltre al tema innovativo, la mostra è eccezionale anche per avere due diverse –
e dichiarate – voci curatoriali: quella di Tim Parks, scrittore e traduttore inglese (selezionato per il Booker Prize) autore de
La fortuna dei Medici, e quella di Ludovica Sebregondi, una delle maggiori conoscitrici dell’arte religiosa trequattrocentesca,
autrice dell’Iconografia di Girolamo Savonarola. 1495-1998. Le loro voci accompagnano il visitatore
attraverso la mostra come in un mottetto rinascimentale, talvolta in armonia, talaltra in contrappunto, oppure esprimendo
note dissonanti quando differisce l’interpretazione della stessa opera.
4. Interattività. Prima di entrare alla mostra il codice a barre presente su ogni biglietto offre la possibilità a ciascun
visitatore di “investire” 1.000 fiorini e di seguire il loro percorso in diverse tappe della visita per mezzo del gioco
interattivo Segui i tuoi fiorini. La sfida non è solo quella di investire oculatamente i propri soldi, ma di recuperare
l’investimento con un profitto adeguato. Illustrato dal notissimo disegnatore di fumetti Giuseppe Palombo, il gioco
consente ai visitatori di vivere l’esperienza dei pericoli fronteggiati dai banchieri, ma anche di guadagnare! La valigia per
le famiglie di Palazzo Strozzi, La Borsa del banchiere, contiene il mistero del Codice Botticelli. Famiglie e bambini
devono cercare nella mostra indizi per scoprire il codice che permette di aprire il forziere e di svelare l’enigma.
5. Iniziative che collegano il visitatore alla città. Firenze non è solo la culla della cultura occidentale ma è anche la patria
del sistema bancario moderno. Le grandi famiglie toscane di banchieri – tra le altre Bardi, Peruzzi e ovviamente Medici –
hanno lasciato tracce durature della loro ingegnosità finanziaria, non solo attraverso l’accumulo di vaste fortune ma anche
attraverso la trasformazione dei capitali nelle opere d’arte divenute parte del patrimonio culturale mondiale. Come di
consueto le mostre di Palazzo Strozzi escono dalle sue mura: in aggiunta al Passaporto per Denaro e Bellezza che segnala
luoghi in città collegati ai temi della mostra, i giovani chef di sei ristoranti fiorentini preparano piatti speciali arricchiti con
oro commestibile.
Denaro e Bellezza, economia e arte: elogio degli opposti
di
Ludovica Sebregondi
Opposti? Forse, ma non necessariamente in contrasto, Denaro e Bellezza sono categorie l’uno dell’avere, l’altra
dell’essere, che si incarnano nella moneta e nella varietà delle creazioni artistiche. Pur nell’apparente distanza è possibile
rintracciare una visione che le colleghi, e una mostra è l’ideale contesto in cui riunirle, così come Firenze è il luogo più
adeguato per illustrare tale duplicità: proprio nel suo fervore si sono infatti sviluppati in parallelo il moderno sistema
bancario e il Rinascimento. Denaro e Bellezza, economia e arte.
Anche Bruges presenta caratteri distintivi simili: vi fiorirono altresì il commercio e le attività finanziarie – di cui furono
protagoniste le banche straniere, spesso italiane – e vi nacque la moderna visione nordica della pittura. Toscana e Fiandre,
tra i principali poli del rinnovamento economico, sono anche i luoghi in cui si è concretizzata la ricerca della
rappresentazione dello spazio e della mimesi realistica, ma con risultati diversi. I fiamminghi raffigurarono empiricamente
la realtà usando la diffusione della luce come elemento unificante, mentre in Italia, insieme alla ricerca della
verosimiglianza, furono fondamentali il recupero dell’antichità classica e la ricerca di regole matematiche e scientifiche
atte a guidare la visione artistica. A questo proposito va sottolineata la relazione tra invenzione della prospettiva in pittura
e della partita doppia in ambito economico1.
Una tradizione, quella mercantile, che ha radici lontane: nel Duecento e fino agli inizi del Trecento, nel corso delle fiere di
Champagne si negoziavano merci e denaro. Poiché le località sedi di mercato si alternavano nell’ospitare i commerci, gli
operatori si spostavano, collocando in un luogo ben visibile un tavolo su cui esercitare il proprio mestiere, dopo avervi
steso un ricco tappeto per fare risaltare la merce. La tavola rivestita del tessuto divenne quindi simbolo dell’attività, come
attestato anche da numerose raffigurazioni, e non solo: dal “banco”, discende il moderno termine “banca”, mutuato pure
dalle lingue straniere. Bancarotta deriva dalla consuetudine di rompere il banco al banchiere insolvente, e ancora oggi la
terminologia (non solo tedesca) del sistema creditizio – Konto, Skonto, Giro – ha radici italiane. Sebbene molti
provenissero da Genova, Asti, Venezia e Firenze, l’appellativo Lombard venne a designare i banchieri italiani,
riconoscibile nell’ancora attuale Lombardsatz (tasso di interesse) uno dei termini nei quali sopravvivono queste radici
storiche2. Ma è soprattutto una parola a sottolineare l’importanza acquisita dal sistema commerciale fiorentino, fiorino, la
moneta aurea simbolo della “città del fiore”, un vocabolo che da allora invade l’intera Europa. La sua importanza è
dimostrata anche dalle varianti, che si possono trovare in molte lingue nella forma adattata ai rispettivi idiomi: in inglese
florin, Florin in tedesco, florijn in olandese (fino all’introduzione dell’euro) e, ancora oggi, forint in ungherese.
Con il progredire e lo stabilizzarsi delle attività creditizie si vennero a costituire vere e proprie filiali, con personale
proveniente dalla città di origine della compagnia e da essa dipendente. Si passò perciò a un ambiente chiuso – in cui
troneggiava un grande bancone bene in luce, come stabilivano le leggi a tutela dei clienti – fornito di panche destinate ai
frequentatori; un luogo insieme centro di informazioni, punto di incontro per i mercanti, di lavoro per i fattori, i membri
delle loro famiglie, i contabili e gli apprendisti inviati nei paesi lontani appena adolescenti. Ma a poco a poco non furono
solo le monete sonanti (con l’onnipresente bilancia di precisione per saggiarne il valore e controllare che non fossero state
“tosate”, cioè limate) a essere indispensabili, bensì anche il materiale per scrivere e i fogli delle lettere di cambio, la
corrispondenza, le missive cifrate (e ben nascosta la cifra per decriptarle), i libri mastri e quelli segreti, insieme all’abaco,
l’antenato del computer, per i conti. Sempre a disposizione poi i trattati di aritmetica, utili per risolvere problemi di
calcolo, o i testi sulla mercatura, per quantificare rapidamente gli interessi.
Anche casseforti, cassettine, chiavi, lucchetti, tasche e borse destinate a chiudere, serrare, custodire, spedire, occultare,
facevano parte integrante dei ferri del mestiere di coloro che lavoravano con i soldi e il commercio3.
1 Esch 2002, p. 23.
2 Stammerjohann-Seymer 2007, pp. 50-51.
3 Barlucchi 1997.
Le connotazioni negative del denaro affondano in epoche lontane, tanto che già Sofocle afferma: «Non c’è nulla di peggio
del denaro nella società umana». Lo attestano, intorno al 1230, i Carmina Burana, nel Carme 11, Il denaro è il re assoluto:
Sulla terra sommo e caro è oggidì solo il denaro.
Il denaro ama il signore e ne pare servitore,
Il denaro ama la curia e ne teme la penuria,
Il denaro venerato dall’abate è, e pur dal frate,
Il denaro tiene impero sul priore in saio nero,
Il denaro dà consigli a chi siede ne concilii
Il denaro porta pace ma anche guerra se gli piace,
Il denaro fa azzuffare e può i ricchi rovinare,
Il denaro può all’istante arricchire il mendicante4.
L’accezione negativa data dalla Chiesa («non potete servire Dio e il denaro» Matteo, 6,24) è legata anche alla figura
dell’usuraio, colpevole di un peccato gravissimo, perché è un ladro che vende l’intervallo che passa tra il momento in cui
presta e quello in cui viene rimborsato con l’interesse: commercia dunque il tempo, del quale solo Dio è proprietario. Ma
con la formazione di patrimoni legati al lavoro e ai traffici la ricchezza acquisisce, anche per una parte della Chiesa, valori
positivi. Proprio a seguito dell’affermazione di un ceto sociale mercantile, e quasi in opposizione, nascono nuove forme di
religiosità, quali gli ordini mendicanti, in primis quello fondato da Francesco, figlio del ricco Bernardone, che ai primi del
Duecento propone come modello madonna Povertà5.
La connotazione negativa si estende alle immagini in quanto il denaro è visto (sia nel mondo cattolico che, in seguito, in
quello luterano, ma non nel calvinista) come apportatore di immoralità, avidità, degenerazione. Di qui la preferenza
accordata alla rappresentazione della ricchezza che si accompagna alla Bellezza, di cui è invece privo il Denaro in sé
stesso. Oggetti preziosi, vesti, opere d’arte, pur lasciando comprendere l’opulenza di chi li possiede, non sono circondati
dall’aura di riprovazione che accompagna i soldi, la cui provenienza, non essendo palese, è collegata al timore del modo in
cui sono stati guadagnati e degli scopi per i quali sono stati usati. A Firenze, fra Tre e Quattrocento, si assiste infatti a una
forte crescita della domanda di arte, destinata alle dimore private e voluta da un ceto dirigente – soprattutto mercantile –
che vede nella committenza artistica una fonte di prestigio in una società ancora aperta e mobile. Arredi e oggetti preziosi
vengono acquisiti spesso in occasione di nascite e nozze, e riservati alla camera nuziale che è il luogo che accoglie
immagini devozionali e profane, letti, forzieri, suppellettili, deschi dipinti6. Non sono solo le famiglie più importanti, come
i Medici, a commissionare opere d’arte, ma tutto il gran mondo mercantile se ne fa partecipe, ed è così che il denaro si
affranca dalla volgarità e dal peccato.
In questo contesto la crisi della società di fine secolo prende le sembianze di Savonarola. Invitato a Firenze da Lorenzo il
Magnifico, ne divenne il principale oppositore, arrivando a chiamarlo “tiranno”. Desideroso di una riforma che tutelasse e
difendesse la giustizia, il frate domenicano aspirò a un governo della città libero e popolare, con una larga rappresentanza
dei ceti cittadini, sull’esempio veneziano. Per le adunanze venne costruita in Palazzo Vecchio la Sala del Maggior
Consiglio, simbolo del regime “democratico” da lui ispirato ma, per attuare la sua visione di una città in cui potesse
manifestarsi la volontà di Dio, era necessario un rigore totale e Savonarola impose regole severissime, avversate da parte
della popolazione.
In quel momento Firenze si divise tra gli Arrabbiati, rappresentanti dei ceti più elevati danneggiati dal nuovo sistema
politico, i Palleschi o Bigi, di fazione medicea, i Compagnacci, contrari alla riforma morale savonaroliana, tutti uniti nel
combattere i Piagnoni o Frateschi, così chiamati per le continue lagnanze sulla depravazione a loro dire imperante.
4 Eco 2009, p. 140.
5 Petrocchi 1997, p. 485.
6 Cfr. Virtù d’Amore 2010.
Il pensiero di Savonarola, che pure affascinava soprattutto i membri delle classi sociali più povere, si scontrò con quello di
coloro che non tolleravano il suo integralismo. Il frate si scagliò ripetutamente contro papa Alessandro VI Borgia e i suoi
costumi corrotti: fu scomunicato ma continuò a predicare. Firenze per un periodo lo seguì, quando però venne minacciata
di interdetto, i cittadini, temendo ritorsioni non solo religiose (di cui avevano mostrato tener poco conto) ma politiche e
soprattutto economiche, si allarmarono e nel corso del secondo dei “bruciamenti delle vanità”, il martedì grasso del 1498,
scoppiarono tumulti provocati dai Compagnacci.
I roghi voluti da Savonarola non rappresentavano una novità; falò di volumi, quadri e altri oggetti sono stati utilizzati già
dall’antichità e fino a tempi recenti, non solo dalla Chiesa: la forza distruttiva del fuoco è sempre stata proiettata sugli
oppositori e particolarmente sui libri che ne incarnavano il pensiero7. L’iniziativa di Fra Girolamo deve dunque essere
inquadrata nell’ambito di una tradizione sviluppatasi nel tempo, ma se le gesta dei precursori (Bernardino da Siena,
Giovanni da Capistrano tra gli altri) sono state spesso dimenticate, quelle di Savonarola hanno contribuito in maniera
determinante a influenzare in modo negativo i giudizi sulla sua figura. Non per questo sono meno da rimpiangere le opere
d’arte andate perdute: Vasari narra come le veementi prediche savonaroliane contro le immagini licenziose abbiano
indotto Fra Bartolomeo – imitato da Lorenzo di Credi e da altri – a gettare nel fuoco i disegni «degli ignudi».
L’opposizione a questi allestimenti si fece sempre più evidente: lo scempio di opere d’arte fu accettato da una parte della
popolazione, ma anche accolto con «dispiacere di molti».
Si trattava evidentemente solo di uno dei motivi di contrasto, ma il forzoso tentativo di moralizzare la vita cittadina, del
quale i bruciamenti rappresentarono la manifestazione più eclatante, assunse un significato simbolico, causando scontri tra
opposte fazioni. Maturarono e si prepararono così gli eventi dei mesi successivi, quando il convento di San Marco fu
assaltato e Fra Girolamo condotto in carcere: il 23 maggio del 1498, nella stessa piazza sulla quale in febbraio era stato
innalzato il “trionfo” per bruciare le vanità, venne eretto lo “stilo” al quale furono impiccati e poi arsi Savonarola e i due
suoi compagni. Se, sul piano politico e morale, le aspirazioni dei Piagnoni e quelle dei loro avversari erano inconciliabili,
ambedue le fazioni contribuirono tuttavia alla genesi della cultura rinascimentale fiorentina.
7 Sul tema dei libri distrutti, dalle «tavolette sumere alla guerra in Iraq», cfr. Báez 2007.
Le vanità prima del rogo: usura, bellezza e santità nella Firenze rinascimentale
di
Tim Parks
Attonito davanti ai tesori artistici di Palazzo Medici, «l’ornamento de tapazarie, cassoni de inextimabile manifactura et
valore, maesta sculpture, desegni di infiniti modi et d’argento inestimabile»8, nell’aprile del 1459 Galeazzo Sforza
giunse alla conclusione che «il solo denaro» non poteva competere con quello che avevano fatto i suoi ospiti. Eppure
tutto ciò che il figlio del duca di Milano aveva di fronte – comprese opere di Donatello, Beato Angelico e Filippo Lippi
– era stato pagato con il denaro; tutto derivava dal potere finanziario di una banca prestigiosa.
Lo stesso si può dire di gran parte dei capolavori pittorici, scultorei e architettonici della Firenze rinascimentale. Ci
piace immaginare che l’arte sia immune dalla “contaminazione” del lucro. Leggiamo i celebri versi di Ezra Pound: «con
usura / non v’è chiesa con affreschi di paradiso»9, e volentieri ci dichiariamo d’accordo. Ci sembra giusto tenere distinti
i valori prettamente quantificabili – il prodotto e il suo prezzo – da quelle ispirate creazioni che, trascendendo il mero
accumulo, volgono la nostra mente a cose più elevate.
Ma Pound si sbagliava. Oltre a essere finanziata dai banchieri italiani, gran parte della produzione artistica
rinascimentale traeva origine dalle aspirazioni e tensioni che caratterizzavano la loro vita. Come aveva intuito Galeazzo
Sforza, i Medici e molte altre famiglie di banchieri avevano investito nei loro palazzi qualcosa che andava ben oltre il
semplice denaro. Questa mostra ambisce ad affermare il legame fra l’arte e i suoi mecenati, proiettando i visitatori nel
dinamico mondo della finanza fiorentina e illustrando in che modo i suoi rapporti intensi e problematici con Chiesa e
Stato nel corso del Tre e Quattrocento si siano riflessi nelle grandiose opere d’arte commissionate dai banchieri della
città.
Firenze non è la patria della banca moderna. Nel tredicesimo secolo Genova, Siena e Lucca erano centri finanziari assai
più importanti. Già sul finire del Trecento però, sia per numero di banche sia per l’espansione delle sue filiali in tutta
Europa, Firenze era in posizione dominante. In assenza di cartamoneta, uno dei problemi più spinosi per i mercanti del
tempo era il trasferimento di denaro da un paese all’altro, perfino da una città all’altra, vuoi per pagare le merci che
intendevano acquistare, vuoi per riportare a casa i proventi delle vendite. Le banche italiane avevano ampiamente
ovviato al problema con l’invenzione della “cambiale”, un documento che consentiva di versare una somma di denaro
in una banca di, poniamo, Firenze, e poi incaricare l’agente di quella banca a Genova, oppure a Napoli, Bruges,
Venezia, di corrispondere la stessa somma senza che una sola moneta venisse fisicamente spostata. Tuttavia questo
strumento finanziario era efficace solo per quelle banche che avevano a disposizione un’estesa rete di filiali o agenti. La
carta vincente di Firenze fu la solerzia con cui i suoi mercanti e banchieri – e il più delle volte i mercanti erano anche
banchieri – avevano creato, da soli e in gruppo, un sistema di credito e commercio che arrivò ad abbracciare Londra a
nord, Barcellona a ovest, Napoli e Cipro a sud, e a est addirittura Costantinopoli. Firenze divenne così fulcro e motore
della finanza internazionale.
Ma la generazione di ricchezza non è esente da preoccupazioni. Se l’invenzione del denaro aveva reso possibile
accumulare e conservare il benessere per poi spartirlo e distribuirlo a piacimento, comportava anche l’imbarazzante
necessità di ascrivere a ciascun bene e servizio un valore unitario, cosa che permetteva di raffrontare i fenomeni più
eterogenei: una botte di vino costa venti soldi di piccioli, una preghiera per i defunti dieci, una prostituta quindici, una
visita dal medico un fiorino; servono cinquanta fiorini per acquistare un mulo, sessanta per una schiava, novanta per
una pala d’altare.
8 Hatfield 1970, pp. 232-249.
9 Pound 1979, p. 229.
Questo è fonte di turbamento. Una preghiera vale meno di una prostituta? Non si dovrebbero mettere sullo stesso piano
cose così diverse. Turbamento tanto più forte in una società che ancora si considerava una gerarchia basata su principi
divini. «Denari lo vile meten en stato» lamenta un poeta italiano del Trecento, e «se tu vòi, te manda en paradiso»10.
E questo non stava bene. Era una minaccia allo status quo. Era una minaccia alla metafisica cristiana. A smorzare
queste preoccupazioni, nel tardo Medioevo, c’era il fatto che a Firenze si usavano due diverse monete. Coniato per la
prima volta nel 1252, il fiorino d’oro, sebbene non più grande di un cinque centesimi di euro, era una moneta di tutto
rispetto. Non dimentichiamo che era d’oro massiccio. Ci si poteva comprare dieci metri di lino rosso, oppure pagare un
cuoco esperto per preparare un banchetto per cento persone. Di conseguenza era usato soprattutto, ma non
esclusivamente, dalle classi abbienti. Per gli acquisti più modesti o i salari dei lavoratori c’erano monete ben distinte
(denari, grossi, quattrini, soldini), coniate in argento ed etichettate collettivamente come denari piccioli. Se si volevano
cambiare i piccioli in fiorini, o viceversa, bisognava conoscere anche il valore corrente di oro e argento. Bisognava
rivolgersi a una banca.
Quando un cittadino meno abbiente riusciva a mettere da parte qualche fiorino, ecco che intervenivano le cosiddette
leggi suntuarie a dirgli cosa potesse, o meglio non potesse fare con quei soldi. Solo un uomo di un certo rango poteva
indossare mantelli rossi. Solo una donna altolocata poteva avere bottoni sulle maniche. Spendere cifre esorbitanti per
cene o processioni funebri era un lusso riservato ai ceti privilegiati. Dunque una società appassionata al denaro e al
commercio aveva introdotto norme per limitare la mobilità sociale che poteva derivarne; una città specializzata nella
produzione di tessuti di lana e seta pregiati cercava di tenere a freno il desiderio di abiti di lusso.
Allora come oggi erano i banchieri a risentire maggiormente dei timori legati al potere del denaro. Avendo «messo assai
della coscienza» scrive Vespasiano da Bisticci sul conto di Cosimo de’ Medici, «come fanno i più di quegli [...] che
vogliono essere innanzi agli altri», lo stesso Cosimo chiese un’udienza al cliente più importante della sua banca, Papa
Eugenio, per domandargli in che modo Dio potesse concedergli «misericordia et conservassilo in questi beni
temporali»11. Come fare per essere considerati buoni senza dover rinunciare alle proprie ricchezze? Questo è da sempre
il dilemma dei banchieri.
Investendo diecimila fiorini nel restauro del Convento di San Marco, fu la replica del Papa. Quale peccato poteva aver
commesso perché si esigesse dal banchiere una così alta riparazione? Arrestato nel 1433 Cosimo era stato accusato,
almeno secondo la ricostruzione di Machiavelli, di aver complottato di “farsi grande”, crimine per la quale rischiava la
pena capitale. Ma è più probabile che il suo vero cruccio fosse il peccato di “usura”, e cioè l’aver prestato denaro a
interesse. Per certi versi i due crimini erano collegati. Ufficialmente la Chiesa aveva interdetto l’usura poiché la Bibbia
imponeva all’uomo di guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte; il lavoro rientrava nel progetto di Dio per noi, e
l’usura non era lavoro. D’altro canto è proprio l’accesso al credito che consente di svincolarsi dal proprio rango e
sovvertire lo status quo.
Le banche fiorentine accettavano i depositi di privati cittadini, duchi e cardinali, in cambio di un interesse annuo
descritto in termini contrattuali come un dono a discrezione, perciò non inquadrabile ufficialmente come usura.
Inventarono complicati stratagemmi con le cambiali affinché quello che sul piano legale era un semplice trasferimento
di denaro da un luogo all’altro, e da una valuta all’altra, di fatto divenisse un redditizio prestito a interesse. I teologi
analizzavano ogni nuovo strumento finanziario per scovare eventuali peccati. Temendo per la loro anima immortale, i
banchieri devolvevano somme considerevoli in opere di carità.
Senz’altro molte commissioni di opere d’arte religiose scaturirono da un analogo spirito penitenziale. Ma per i
banchieri investire denaro nella chiesa era anche l’occasione per fare un pubblico sfoggio di ricchezza e buongusto, e
10 Niccolò de’ Rossi 1969, pp. 689-690.
11 Vespasiano II, p. 177.
magari influenzare l’ethos dell’istituzione che passava costantemente al vaglio la moralità delle loro pratiche. Così,
quando si trattava di commissionare dipinti, i banchieri prediligevano i ricchi Magi con i loro celebri doni rispetto agli
usurai che bruciavano all’inferno. E se riuscivano a ritagliarsi uno spazio in quelle cornici sacre con i loro abiti
eleganti, inginocchiati, per esempio, ai piedi della Madonna, tanto meglio. La Chiesa divenne più confortevole. E
patrocinare le arti era più interessante che non fare la carità ai poveri.
Cosimo acconsentì a restaurare San Marco, ma a condizione che quei permissivi e dissoluti dei silvestrini che gestivano
il convento fossero rimpiazzati dai più austeri domenicani. Voleva che ad accettare il suo denaro fosse un ordine che
aveva rinunciato al possesso di ricchezze private, uomini le cui preghiere avrebbero contato sul serio. Per completare
l’opera convocò un pittore del calibro e della devozione dell’Angelico, «che non fece mai crocifisso che non si
bagnasse le gote di lacrime»12. Eppure c’erano ancora preti che mal sopportavano di vedere la casa del Signore adorna
«nella maniera più frivola di sculture e pitture superflue»13. Su un affresco posto nel corridoio di un dormitorio
riservato ai soli frati, una pergamena recita: «Invoco la maledizione di Dio e la mia su coloro che introducono possesso
di beni in questo Ordine»14.
Il Trecento e il Quattrocento registrarono una tensione oscillante fra l’immagine pia di una Firenze che si considerava
città di Dio, addirittura la Nuova Gerusalemme, e la sua vocazione ai beni di lusso e alla finanza internazionale.
Vivendo in prima persona questo dilemma, i banchieri fecero il possibile per trarne il massimo profitto, per godersi le
loro fortune e impadronirsi di spazi importanti nella Chiesa. Nel 1491 quando il focoso Savonarola divenne priore di
San Marco lanciando i suoi implacabili sermoni contro l’arroganza della ricchezza e organizzando i suoi roghi delle
vanità, nei quali finirono anche parecchie opere d’arte, il compromesso creativo fra chiesa e finanza dei decenni
precedenti andò in fumo.
La mostra si propone di mettere in rapporto l’arte fiorentina del periodo ai banchieri che ne commissionarono una parte
tanto consistente, e al mondo complesso nel quale si muovevano. L’attenzione particolare all’opera di Botticelli è
motivata dal fatto che nella sua carriera pittorica più che in ogni altra si riflettono gli spostamenti e le tensioni fra sacro
e mondano, con una produzione che spazia dai primi sontuosi dipinti nei quali compaiono figure sacre in eleganti abiti
fiorentini, spesso impreziositi dalla foglia d’oro, passando per i grandiosi dipinti mitici ispirati al neoplatonismo
dell’era di Lorenzo il Magnifico, fino ad arrivare alle immagini votive più austere ed emotivamente cariche degli anni
novanta del Quattrocento, nelle quali avvertiamo l’apertura dell’artista alle prediche di Savonarola.
12 Vasari ***
13 Kent 2000, p. 174.
14 Ivi, pp. 150-151.
ATTIVITA’ COLLATERALI
A Palazzo Strozzi si può giocare ai banchieri senza troppi rischi
I visitatori di Denaro e Bellezza. I banchieri, Botticelli e il rogo delle vanità, la prima mostra sull’invenzione del sistema
bancario moderno, potranno improvvisarsi veri e propri “mercanti-banchieri” mettendo alla prova la propria abilità di
investitori e di matematici.
Accanto a capolavori di importanti artisti del Rinascimento quali Botticelli, Beato Angelico, Piero del Pollaiolo, i Della
Robbia, Lorenzo di Credi, esposti dal 17 settembre 2011 al 22 gennaio 2012, Palazzo Strozzi ha sviluppato una serie di
attività che permetteranno al visitatore di testare le proprie capacità intellettuali trasformandole in “profitto”.
Segui i tuoi fiorini - Un gioco interattivo
Un codice a barre presente su ogni biglietto della mostra permetterà ai visitatori di “investire” virtualmente 1.000 fiorini e
seguirne l’andamento durante la visita. Anche in passato fare soldi non era sempre facile: persino i re avevano necessità di
indebitarsi e i pirati infestavano i mari.
Scritto appositamente per la mostra dal curatore Tim Parks e illustrato dal noto disegnatore di graphic novel Giuseppe
Palumbo, questo entusiasmante gioco interattivo offre la possibilità a ogni visitatore di sperimentare le operazioni e i
pericoli affrontati dai primi banchieri moderni ma anche i possibili guadagni!
Il mistero del cambio-Un fumetto per iPad
Una speciale edizione del fumetto illustrato da Giuseppe Palumbo sarà a disposizione sotto forma di applicazione iPad, in
modo che i visitatori possano portare a casa una parte della mostra.
Denaro facile. Una guida per famiglie e bambini
Tutte le mostre di Palazzo Strozzi hanno speciali didascalie per famiglie e bambini. Per Denaro e Bellezza il tema è
ovviamente quello del denaro e del sistema bancario e i giovani visitatori sono introdotti nel mondo dei soldi, che
utilizzano tutti i giorni, in un modo divertente. Le speciali didascalie sono anche riunite in una pubblicazione, curata da
Lorenzo Bini Smaghi, uno dei principali banchieri europei.
La Borsa del Banchiere - Il Codice Botticelli
La valigia della famiglia, il fondamentale strumento didattico che ormai caratterizza tutte le mostre di Palazzo Strozzi, in
questa occasione conterrà un mistero in più: vi si potrà trovare un piccolo forziere con un codice di tre cifre. Le famiglie e
i bambini si divertiranno a cercare indizi all’interno della mostra per scoprire il codice che permetterà di aprire il forziere e
svelare il mistero.
Diamo i numeri- Workshop di matematica creativa
Gli speciali workshop per famiglie pensati per ogni mostra di Palazzo Strozzi, permettono ai visitatori di esplorare altre
discipline oltre all’arte (in passato i temi affrontati sono stati la musica, il teatro, la tessitura e la poesia). Per questa mostra
le attività si baseranno sulla matematica creativa e ricreativa, dai puzzle alla topologia e ai rompicapo.
Il tocco di Mida - Cucinare con l’oro
Durante tutto il periodo della rassegna, sei chef fiorentini creeranno dei piatti speciali, ispirandosi al tema trattato,
utilizzando una speciale forma di oro commestibile. I visitatori che presenteranno il biglietto d’ingresso alla mostra nei sei
ristoranti fiorentini selezionati (GASTONE, Via Matteo Palmieri 26/r; FOUR SEASON-RISTORANTE IL PALAGIO,
Borgo Pinti 99