Raffaele Luongo
Raffaele Luongo torna alla galleria Alfonso Artiaco, dopo la mostra del 2006, con un progetto site-specific per il Project Space, che coniuga la presenza di nuovi elementi formali con i concetti di residualità e analisi interiore che hanno caratterizzato negli anni la sua ricerca.
Comunicato stampa
Raffaele Luongo (nato a Caracas nel 1966) torna alla galleria Alfonso Artiaco, dopo la mostra del 2006, con un progetto, appositamente dedicato al Project Space di piazza dei Martiri, che coniuga la presenza di nuovi elementi formali con i concetti di residualità e analisi interiore che hanno caratterizzato negli anni la sua ricerca.
Lo spettatore si trova immerso in uno spazio suddiviso tra il lavoro intitolato “Miei cari genitori, ancora mi attardo, ragion per cui, divido l’attenzione tra me, tutto il nostro aver fatto e il tempo saturnino del dottor Isak Borg” e una voce che narra /spiega l’opera stessa.
“Tutta la mostra riguarda un lavoro di trasformazione interiore. Il punto di partenza (dal punto di vista formale) è il frammento del film di Bergman e quello di arrivo, ma non necessariamente la chiusura, è costituito dalla recitazione di una lettera indirizzata ai miei genitori, che racconta l’opera, e che diventa residuo del lavoro stesso.
Credo che un’azione prodotta da un pensiero lungo genera un resto/testimone che ha una durata nel tempo misurabile da ogni dove. Credo pure che ci sono dei testimoni forti attraverso i quali si può, fisicamente, risalire all’azione e al pensiero che li ha prodotti.
E i residui sono stati cose, e le cose sono tutti i luoghi, il tempo, le azioni che hanno subito e che hanno prodotto. Tutto questo lo portano impresso con segni più o meno percepibili. Sono interessanti anche tutti quei segni invisibili, micro variazioni di forme e frequenze che rendono le cose tanto diverse da quello che appaiono ad uno sguardo retinico. Il mio tavolo è questo. In maniera più o meno percepibile è un insieme di filamenti di altre cose che possono essere storie poco interessanti singolarmente ma che prese tutte, insieme al tavolo, diventano una configurazione universale.
Parlare di resto, potrebbe in realtà sembrare banale, purché non ci si concentri sul residuo in quanto tale. L’importante è come si produce questo resto e se la sua durata è misurabile.
Il mio osservarmi e il mio agire producono una scoria che è il frutto di un’azione qualificata. Diciamo che il residuo non vale per se stesso quanto per il pensiero che lo ha prodotto. Il mio è un pensiero reale che si estende sulla realtà e rende praticabile l’impraticabile”. (Raffaele Luongo)