Gaspare Sicula – Luci e colori dei frutti
Mostra personale di Gaspare Sicula intitolata “Luci e colori dei frutti”.
Comunicato stampa
Intendevo affidare tanta parte della potenza del quadro ai drappi involti, i quali non dovevano in alcun modo risultare barocchi nell’articolazione delle luci e ombre ma esistenziali nell’andamento di una morfologia dinamica e corrosiva dello spazio aggrovigliato racchiuso tra le pieghe: a queste affidavo la forza sferzante del ghibli sulle dune di un deserto rovente. Studiavo e manipolavo il panneggio, provavo e riprovavo, a volte anche a lungo, sotto una luce diretta in un ambiente buio, visibilmente posseduto da una notevole mobilità estetica delle mani – come quella dei prestigiatori – che mi portava ad ottenere, con le dita tremanti di euforia creativa, pieghe vibranti come solchi incisi di una mente lungamente vissuta. Non doveva neanche essere un ampliamento caravaggesco dell’organizzazione – in uno spazio appositamente costruito – di svariati elementi naturali e umanizzati dermodrappi corrugati. Niente competizione iperrealistica con la natura, oppure, appunto, terrestri e commestibili pennellate caravaggesche. No, nulla di tutto questo. Solo l’idea viva, subito soppiantata dalla pittura viva, di un frutto vivente. Il quadro doveva essere un insieme che raccontasse, o meglio che racchiudesse, assorbendola, l’illimitata e "naturale" attitudine alla vita persino delle piante dalle quali quei frutti traevano origine. Delle piante di lino e di cotone, che erano state capaci, suggendo il colore della terra su cui affondavano le radici, di tingere in filo i drappi, con clorofilla rosso-sangue, nelle zone del quadro di loro pertinenza. E la luce aveva un compito fondamentale. Luce non uniforme, non coerente, non più "ben definita" nella sorgente, distraendo e fuorviando così le direttive della realtà (questa è una delle tante possibilità di mettere a frutto le proprietà creative dell’arte): aveva il compito di farsi diversa da una zona all’altra del dipinto. Partiva dal basso come lava infuocata dal centro della terra; smuovendo e inarcando il piano d’appoggio, danzava come i Momix attorno a più di un drappo soffocandone alcuni punti, iniettando in altri il siero di un compresso e forzuto respiro. Accarezzava, modellava, schiaffeggiava, imponeva caratteri e diniego a frutti e foglie roteanti su contenitori nascosti (ma ardentemente pensati e voluti) dai tessuti che li toglievano alla vista ma, riconoscendone la portata come punto di energia sottoposto, ne ripetevano la forma. La luce disgregava e scioglieva nella luminescenza del colore i frutti posti a un lato più che a un altro. E si espandeva a dismisura, nell’enorme spazio vuoto-pieno che il tutto sovrastava, friggendo e frantumando l’aria. Questi dipinti nascevano dal rifiuto della morte, dal suolo-natura di cui erano costituiti. Dovevano continuare a vivere sui muri nei quali venivano adagiati. Facendoli parlare i muri, e partecipare al sogno, spettatore attento e necessario alla conoscenza. Dovevano rimanere per l’eternità viventi questi monumenti alla frutta. Rinnovandosi continuamente, sempre coscienti di essere viventi; nell’ordinaria e stupefacente mutevolezza della natura. Viva.
G.S.
LA DENSITA’ POETICA DELL’IMMAGINE
…Guardiamo infatti lo straordinario silenzio che s’aggira per queste tele del giovane artista siciliano. E’ quasi come il lento, placido trascorrere di un largo fiume, terso come uno specchio; quasi come l’algida ma affabile immobilità silente dei pittori olandesi: come l’ombra-luce affilata e priva d’echi d’un Vermeer che avesse veduto l’asprezza del solleone meridionale, che si fosse punto al fico d’India, che avesse carezzato le rugosità d’un limone rasciugato dalla brezza marina… E c’è come, anche, il senso di una desertificazione, di un disseccamento di sapore metafisico, un tempo immoto e congelato da Piazze d’Italia trasferite su qualche spiaggia accecante o geometricamente ripiegate per l’occasione all’interno ombroso dello studio, in una geometria che può magari continuare al di là del quadro trasferendosi nei ritmi e nei colori della cornice…
Giorgio Seveso
Il frutto è stato di volta in volta e più volte protagonista nella pittura di Gaspare Sicula. Lo ritroviamo in punti lucidi ed intensi delle scritture poetiche che talora il pittore ha premesso ai suoi cataloghi: "Ancora arance su cui si riversarono tutti i colori della tavolozza, e che così variopinte si presentarono in tacita compagnia su tavole più lunghe che alte. Tutte, alcune sommesse, altre solenni, ordinate con alle spalle il vuoto o il pieno totale che precludeva qualsiasi intrusione più o meno cosciente". In uno di quegli scritti Sicula aveva già osservato (su se stesso e per se stesso) che il Barocco e l’Astratto sono "come due estremità di un unico filo chiuso ad anello che perciò si toccavano".
... Ed ecco inverarsi integralmente l’ultima annotazione in questa stagione di frutti illusoriamente tangibili in cui il gesto definitivo, protagonista delle favole greche sulla mimésis, è bloccato, sospeso di fronte a queste teche che proiettano il frutto in uno spazio infinito puramente mentale, non esperibile in una terza dimensione fisica. L’iperrealtà delle molecole cromatiche che intridono le superfici rugose o setose dei frutti rimane, come i frutti stessi, "in sospensione", assorbita in un mondo che è quello platonico iperuranio. Per ulteriore e magica complessità, i fantasmi delle ombre portate sembrano farsi intermediari indipendenti fra il nostro mondo fisico e quello metafisico; e d’altra parte, nella loro "sospensione", i frutti appaiono testimoni e della storia (il Barocco della natura morta) e del simbolo (la bellezza della forma pura naturale e la corrosione del tempo).
Marco Rosci
… Negli interstizi rabeschi, musivi, d’erba e terracotta, tra dritta e manca, in un’ isola di barche tra poppa e prora, col sereno: e poi ci fu la pioggia!, le visioni del pittore che prima aveva così ben dismesso dalla memoria stagionata e della sua vita dipinta coi suoi miagolii e le continue zampate all’usuale sequenza del tempo, gli si fanno attorno, mai sbiadite, pungenti con un sottile retrogusto citrico, saldate alle sue interminabili passeggiate in ore silenziose molti e molti anni dopo.
Lui e il suo corpo dentro la città, le sue dita tra ordito e trama e le sue mani tra la tela e i colori, chiuso e insensibile a qualunque mutamento di tendenza e di stile, un personaggio collocabile in una Sicilia rinascimentale ma anche in un romanzo come il Gattopardo.
In questi ultimi due anni, (1995/96 n.d.p.) Gaspare si è impegnato a realizzare soprattutto opere della serie Nature Vive, forse la sua grande espressione.
Arance che odorano di aspro, che non si rassegnano a dimenticare la terra natia, arance che pensano, così intensamente Vive da sentirsi protagoniste in una prospettiva quasi sempre grigio-azzurra…
Marika Lion
NEI QUADRI DI SICULA SOLO NATURA "VIVA"
Non chiamatele nature morte. La pienezza dei frutti, la rugosità delle pelli, la luce generosa che scivola sulle superfici fanno dei frutti dipinti da Gaspare Sicula un inno alla vitalità. Sarà perché il pittore rappresenta con gioia tutta la sua sicilianità, fatta di forme e di colori, ma che sottintende anche odori e sapori.
…Sicula che dal 1983 vive e lavora a Tortona infonde nelle opere esposte un tratto inconfondibile, raccontando attraverso una galleria di semplici mele, pere, e altri frutti tutta la pienezza della natura e la felicità della vita.
Nato nel 1954 in provincia di Palermo, Sicula si è diplomato al Liceo Artistico seguendo poi i corsi di Architettura…
Monica Bottino, il Giornale
LA REALTA’ DI SICULA
Dove l’iperrealismo "freddo" degli americani aspira alla illusiva coincidenza dell’immagine rappresentata con l’oggetto, Gaspare Sicula percepisce un calore cromaticamente luminoso, del tutto mediterraneo e classico.
Tanto che, se si dovesse indicare, paradossalmente, un’ ascendenza colta o una "maniera psicologica" di accogliere il vero, verrebbe fatto di dire Antonello da Messina, per la luce, o de La Tour. Che poi la sua pittura "lenticolare", estranea alle enunciazioni di molta contemporaneità, sfiori gli effetti del "trompe-l’oeil" potrebbe anche apparire un dato di fatto solo che non si sia pronti a scoprire la vanificazione dell’ipotesi avvertendo lo spirito della plasticità pura che le "nature vive" di Sicula testimoniano evocando, semmai, quello che Bontempelli definì il "realismo magico".
Germano Beringheli, la Repubblica