Calzolari | Piacentino | Zorio
L’Arte Povera, dunque. Una delle ultime tendenze della Neoavanguardia riprende la sua spinta espansiva partendo da Bologna, dove nel febbraio del 1968 aveva avuto il suo formale atto di nascita, per irradiarsi in vari centri d’Italia in occasione dei 150 anni compiuti dalla Nazione.
Comunicato stampa
L’Arte Povera, dunque. Una delle ultime tendenze della Neoavanguardia riprende la sua spinta espansiva partendo da Bologna, dove nel febbraio del 1968 aveva avuto il suo formale atto di nascita, per irradiarsi in vari centri d’Italia in occasione dei 150 anni compiuti dalla Nazione. L’idea di Germano Celant, che per primo aveva colto la sostanza di nuova vague della tendenza incubata a Torino, accolta dal MAMbo e da altri lungimiranti luoghi deputati dell’arte contemporanea nel nostro Paese, offre l’opportunità di riflettere, a più di quarant’anni di distanza, su un fenomeno entrato clamorosamente nella Storia dell’arte italiana e non solo italiana.
La Galleria de’Foscherari, dove, grazie all’intuito tempestivo di Franco Bartoli, che ne era il direttore e all’acume critico di Pietro Bonfiglioli, consulente culturale della Galleria stessa, l’Arte Povera ebbe il suo esordio ufficiale, non poteva esimersi dal contribuire all’evento nella forma più idonea e rispondente allo spirito dalla manifestazione nel suo complesso.
Il 24 settembre, giorno successivo della vernice al MAMbo, la Galleria de’Foscherari inaugurerà una mostra con opere, accuratamente scelte, di Pier Paolo Calzolari Gianni Piacentino e Gilberto Zorio. Alla mostra, un non trascurabile arricchimento dell'esposizione offerta dal nostro Museo d’Arte Moderna, la Galleria De’Foscherari aggiungerà due preziosi reperti tratti dai suoi archivi e ristampati in forma anastatica: si tratta dell’ormai introvabile catalogo della mostra Arte Povera a cura di Germano Celant del febbraio 1968 e del Quaderno N.1 della galleria, nel quale Bonfiglioli raccolse, sotto il titolo emblematico La povertà dell’arte, gli interventi che animarono il dibattito, ampio, appassionato e teoricamente puntuale, originato dall’impatto dell’evento sulla cultura figurativa italiana.
Nel 1968, un anno storicamente cruciale, Bologna era all’avanguardia nel campo delle arti visive (nell’ottobre dello stesso anno il primo nucleo della Cineteca darà vita al Cinema Roma d’Essai) e ciò aiuta a comprendere perché l’appello di Bonfiglioli ad intervenire a proposito dell’Arte Povera sia stato accolto dai più prestigiosi critici e storici dell’arte italiani, nonché da artisti quali Renato Guttuso: da Apollonio ad Arcangeli, da Calvesi a Del Guercio, da Barilli a Bonito Oliva, da Boarini a De Martis da Fagiolo a Pignotti. Tutti desiderosi di dare il proprio contributo all’interpretazione di un fenomeno che si intuiva ricco di futuro.
Bonfiglioli, oltre la pregnante presentazione del dibattito, diede al Quaderno un titolo che suggerisce una precisa lettura critica del tutto. Il titolo, infatti, è una parafrasi del famoso testo di Marx La miseria della filosofia, con il quale il filosofo di Treviri rispondeva polemicamente al saggio di Proudhon La filosofia della miseria. L’Arte Povera, insinua Bonfiglioli, allude alla povertà dell’arte e suggerisce di mettere la “critica dell’arte” al posto della critica d’arte: un’esperienza che, sulla scorta del Quaderno nuovamente disponibile, potrebbe essere interessante, soprattutto per le nuove generazioni.