Oliviero Toscani – Razza Umana/Italia
Un viaggio fotografico attraverso i luoghi del nostro Bel Paese per documentare i volti della gente comune, cogliendo differenze e somiglianze. La mostra raccoglierà ben 50 ritratti scattati nelle città, piazze e strade d’Italia che danno vita ad un reportage sui volti, gli sguardi, le espressioni, l’abbigliamento della gente, con lo scopo di catturare caratteristiche morfologiche e sociali di un paese che sta cambiando.
Comunicato stampa
“La fotografia, come l’arte, è movimento da fermo, l'artista è un nomade mentale che si muove e si sposta non con il suo corpo ma con il peso della materia con la quale realizza le sue opere. Nella “razza umana”, una galleria infinita di ritratti di varia ed anonima umanità, la fotografia non è casuale e istantanea, non è il risultato di un raddoppiamento elementare, bensì di una messa in posa che complica e rende ambigua la realtà da cui parte.”
“Oliviero Toscani nella “razza umana” costruisce le sue camere dello sguardo, macchine da fermo, di uno sguardo dall'alto onnipotente ed infantile capace di dominare grandi territori dove la vita pulsa nei suoi particolari e dettagli. Tali caratteri diventano la struttura visiva di un sistema astratto eppure concreto del vedere, analisi descrittiva e sintetica per qualità di uno spazio concentrato dentro i confini di una visione labirintica e nello stesso tempo familiare.”
“In definitiva la “razza umana” è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze. “ (Achille Bonito Oliva)
Chi è l'italiano? Il siciliano o l'altoatesino?
Il 29 settembre 2011 Oliviero Toscani, discusso e creativo fotografo italiano, geniale ed impertinente artista del nostro tempo, sbarca a Roma con la sua mostra RazzaUmana/Italia presso la Galleria L'Archimede, in via del Vantaggio.
Un viaggio fotografico attraverso i luoghi del nostro Bel Paese per documentare i volti della gente comune, cogliendo differenze e somiglianze.
La mostra raccoglierà ben 50 ritratti scattati nelle città, piazze e strade d'Italia che danno vita ad un reportage sui volti, gli sguardi, le espressioni, l'abbigliamento della gente, con lo scopo di catturare caratteristiche morfologiche e sociali di un paese che sta cambiando.
Come lo definisce lo stesso Toscani: "è uno studio socio-politico, culturale e antropologico per capire che faccia abbiamo, le differenze, come siamo fatti! ".
Durante la mostra, sarà allestito un set fotografico in cui Il Maestro Toscani coinvolgerà i presenti in una serie di scatti.
La mostra fortemente voluta nella propria Galleria da Lucio Mucciaccia è anche un contributo alla celebrazione dei 150 anni dell' unità d'Italia.
La Razza Umana
La coesistenza delle differenze
La storia dell'arte ci ha abituato a considerare la sua produzione come una pratica soggettiva dell'occhio che piega a propria immagine e somiglianza il reale mediante gli attrezzi del linguaggio. L'immagine è sempre la conseguenza di una piega, di una torsione dell'occhio intorno al proprio campo visivo, di un movimento irrimediabilmente soggettivo e affettivo.
La fotografia invece ha introdotto un procedimento anaffettivo, una mentalità che sembra meglio fare il calcolo delle cose e strappare alla realtà la pelle. Un luogo comune assegna alla fotografia il luogo di una crudele oggettività, il senso di una pratica chirurgica che seziona, taglia e preleva il dettaglio dalla rete di relazioni con il mondo.
La distribuzione dei ruoli assegna quindi all'artista il posto dello sguardo eccentrico ed al fotografo quello dello sguardo statistico, all'arte il privilegio di assecondare la malattia della soggettività e alla fotografia il compito di sviluppare l'impossibile atteggiamento dell'impassibilità e della neutralità.
Oliviero Toscani pratica da molti anni una tangenza con il mondo dell'arte e degli artisti, capovolge questo luogo comune e introduce nell'ambito dell'immagine la torsione tipica dell’anamorfosi che appartiene alla storia della pittura, adoperando rigorosamente gli strumenti del linguaggio fotografico. Si mette nella posizione del duello, il fotografo di fronte al dato, non lascia scattare il dito sulla macchina precipitosamente, bensì promuove una serie di relazioni e rispecchiamenti, per cui arriva all'immagine mediante un rallentamento mentale e l'assunzione di una posizione di lateralità rispetto al proprio mezzo.
Nella “razza umana”, una galleria infinita di ritratti di varia ed anonima umanità, la fotografia non è casuale e istantanea, non è il risultato di un raddoppiamento elementare, bensì di una messa in posa che complica e rende ambigua la realtà da cui parte.
Una torsione, modifica l'immagine, nel tentativo di introdurre nell'ambito della visione l'eccentrico. Se tutto questo produce il risultato dell'oscuramento, dell'interdizione della visione frontale dell’opera, il processo esecutivo richiede il rigore della costruzione.
Oliviero Toscani d'altronde opera attraverso la messa a punto di momenti operativi molteplici, secondo il progetto di una scena che va prima costruita e poi fermata dall'occhio fotografico. Ora l'occhio accetta la malattia, l'introduzione di un immaginario che riesce prima a disporre le cose secondo un rigore spaziale direttamente collegato alla possibilità del risultato fotografico, e poi a catturarle mediante l'impiego di un'ottica specifica.
Finalmente la fotografia assume l'artificio di preordinare la realtà e di cogliere l'evento senza sorpresa e improvvisazione, ma con l'attesa di un'immagine che rispecchia affettivamente una visione soggettiva.
La fotografia è anch’essa l’elaborazione del lutto, della perdita di una totalità che rimanda al distacco della nascita, quel trauma rinviante alla perdita dello stato di comunione con la materia.
Il mondo come perdita della vicinanza, nostalgia di un erotismo che nemmeno l'arte può ricostruire ma soltanto rappresentare mediante l'utilizzazione della distanza: questa sembra essere la filosofia di Oliviero Toscani. Il pathos della distanza ne presiede l’opera.
Nella razza umana la fotografia è conoscenza e nello stesso tempo perdita, condizione ambivalente tra senso delle cose e d'impossibilità di riprodurle linguisticamente. Da qui l’adozione iconica delle cose e della visione dall'alto. La consapevolezza di una necessità che aiuta ad avere uno sguardo ossessivo sul mondo e nello stesso tempo l'impedimento di un attraversamento totale della materia e del suo spessore.
Uno sguardo stoico domina qui la visione che utilizza i modi convenzionali dello sguardo per mettere in scena l’essere tra le cose e con le cose.
Oliviero Toscani nella razza umana costruisce le sue camere dello sguardo, macchine da fermo, di uno sguardo dall'alto onnipotente ed infantile capace di dominare grandi territori dove la vita pulsa nei suoi particolari e dettagli. Tali caratteri diventano la struttura visiva di un sistema astratto eppure concreto del vedere, analisi descrittiva e sintetica per qualità di uno spazio concentrato dentro i confini di una visione labirintica e nello stesso tempo familiare.
Il fotografo adopera la stessa civile ipocrisia, utilizza materiali e convenzioni che rappresentano e nello stesso tempo negano la rappresentazione tra astrazione e figurazione. Oscilla liberamente con piacere e dolore costruendo immagini presenti ed allusive vicine ed anche distanti.
La vicinanza è dettata dalla scelta del materiale e dalla convenzione visiva che afferma e conferma la precisione dello sguardo. La distanza è rappresentata dalla filosofia dello sguardo stesso che conosce la sua possibilità e contiene anche la memoria di un contatto ormai impossibile da realizzare e ricostruire.
Abitare il mondo, ecco il desiderio che occupa la camera dello sguardo attrezzata da Oliviero Toscani che riconverte la sensazione nel controllo iconico, di una visione dall'alto che forse conferma ogni impossibilità, in quanto permette di controllare e preventivare ogni possibilità di movimento.
La fotografia, come l’arte, è movimento da fermo, l'artista è un nomade mentale che si muove e si sposta non con il suo corpo ma con il peso della materia con la quale realizza le sue opere. Ecco il miracolo della riconversione del tempo e dello spazio. La possibilità di tramutare il dinamismo del tempo e l'estraneità dello spazio della vita in una dimensione intrecciata e bloccata in cui convivono le due dimensioni ma viste a distanza.
Il pathos della distanza viene esorcizzato nella razza umana dalla fotografia che adopera le forme per riconoscerle ed adoperarle come strumento di analisi e di sintesi. Vedere dall'alto non significa sguardo superbo significa riconoscere l'artificio dello sguardo figurativo teso sempre verso l'astrazione. Astrarre come approfondimento e sottrazione, discesa e risalita dentro il cuore del ritratto.
Qui la fotografia fa un uso impersonale della struttura visiva. La camera dello sguardo viene adoperata per proteggere l'io dell'artista e dei soggetti fotografati che riesce a parlare garantito dalla convenzione dell'immagine. Un io allarmato e nello stesso tempo astuto, che conosce le capacità del linguaggio di manifestarsi senza tradire il suo autore.
Il linguaggio di Oliviero Toscani parla la terza persona della forma che crea una condizione di resistenza, di solidarietà ma anche di impenetrabilità anche di fronte alla nostra attenzione ammirata dello spettatore. L'artista, per narcisismo ama la contemplazione del pubblico ma non desidera essere penetrato nella intimità biografica.
In definitiva la “razza umana” è frutto di un soggetto collettivo, lo studio di Oliviero Toscani inviato speciale nella realtà della omologazione e della globalizzazione. Con la sua ottica frontale ci consegna una infinita galleria di ritratti che confermano il ruolo dell’arte e della fotografia: rappresentare un valore che è quello della coesistenza delle differenze.
Achille Bonito Oliva