Jan Durina – Twenty three years in that house
Twenty three years in that house, but the boy might still be alive. Le sue creazioni fotografiche dell’artista slovacco trasportano lo spettatore in una dimensione che non esiste nel qui e ora. In mostra anche disegni, scritti e pitture.
Comunicato stampa
SourMilk Artgallery continua il suo viaggio alla scoperta dell’arte dis- sacrante dell’Europa. Dopo Karolina Drypps, irriverente artista polacca, le villa in stile floreale più ambiziosa del Nord Italia accoglie la rosa nera dell’arte slovacca: Jan Durina. “Twenty three years in that house, but the boy might still be alive” è il titolo dell’esposizione che avrà luogo tra le mura di Sour- Milk dal 7 Ottobre al 6 Novembre 2011. Nato in Slovacchia nel 1988, Jan Durina ama e rispetta il suo paese. Jan però è un fiore nato in un paese freddo, in cui non crede di poter fiorire in tutta libertà. Disorientato al sol pensiero di trascorrere la sua intera esistenza nel paese delle tre cime, sembra alla disperata ricerca del suo posto sulla Terra, un luogo dove potrà crescere come artista e come uomo.
Le montagne, i laghi e le foreste che facevano da quinta scenografica alla sua vita di bambino sono scolpiti nella sua mente. Jan è una rosa nera e della Natura non può che esserne parte. Attratto dall’ambiente che lo circonda, sviluppa fin dalla più tenera età un forte panismo. Jan è Natura. Le sue creazioni, perlopiù fotografiche, trasportano lo spettatore in una dimensione che non esiste nel qui e ora. Notre vie n’est pas derrière nous, ni avant, ni maintenant. Elle est dedans, scrisse Jacquès Prevèrt. Jan ama la visione del mondo di quel poeta francese a cui ha dedicato Sudden Cry, serie fotografica inserita nel percorso espositivo. Dall’età di quattro anni il giovane artista vive una doppia vita. Alla vita maintenant (di ora, adesso) si unisce quella di dedans (di dentro, inte- riore). Creature immaginarie popolano la sua immaginazione, person- aggi che prendono il giovane per mano in un viaggio all’interno, nel profondo. Proprio come scritto da Jacquès Prevèrt, Jan non vive la sua vita. Vive dentro la sua vita.
Gli scritti, i disegni e le pitture dell’infanzia lasciano presto spazio ad un nuovo metodo espressivo: la fotografia. Jan non si considera un fotografo. Definirsi tale infatti significherebbe mostrare interesse verso una tecnica, un insieme di regole, un banale procedimento meccanico. Un’amica a lui vicina lo descrive come un pittore, capace di dipingere con le lenti della sua macchina. Ed è così. I suoi scatti sembrano congelati dal freddo invernale della Slovacchia più che dall’otturatore. La macchina fotografica non è che un mezzo che gli permette di fermare in un’immagine, un qualcosa che da tempo sembra ossessionare la sua mente. I personaggi immortalati per sempre dal sensore manifestano il suo stretto legame con il mondo femminile, a cui dice di sentirsi affine. Le donne hanno condizionato in positivo la sua vita: la madre, aperta all’arte e pronta a spronare un bambino di quattro anni alla pratica della stessa; Anna Tretter, artista tedesca che fece di quel artista bambino, un uomo.
Educato a non temere la potenza della sua mente ed il surrealismo dei suoi sogni, Jan è in grado di trasmettere l’intero suo mondo in una fotografia. Il freddo, le donne e la Natura sono gli elementi che si incon- trano e si scontrano nelle sue immagini, simili a delle danze congelate da uno scatto. La musica, uno dei suoi grandi amori, sembra animare le sue opere. E’una musica silenziosa, un rumore impercettibile. La musica dell’universo, quella di cui parlano gli astrofisici, esiste da 380 mila anni. E Jan riesce a fermarla nelle sue immagini. L’arte di Jan è primordiale come quel rumore che accompagna l’Universo. Le tematiche che egli affronta sono le stesse che hanno dato inizio al Tutto: vita e morte, buio e luce, bellezza e bruttezza. L’apparente aspetto di ragazzo timido e pauroso, fasciato da aderenti pantaloni neri, nasconde un indagatore dei primordi, affascinato dalla dualità delle cose e dalla bestialità dell’essere umano.
“Una rosa nera avvolta nel cellophane dorato rimane scoperta. E secca”. E’ questa la paura di Jan. “Twentythree years in that house but the boy might still be alive” è il messaggio che il giovane vuole comunicare al mondo tra le pareti di SourMilk. E’ lui quel ragazzo ancora vivo, sopravvissuto a ventitrè lunghi anni in quella Casa. E’ un mondo dorato quello di Jan, penserebbero alcuni. Ma una coper- tura, anche se dorata, consuma ossigeno. E la rosa rischia di soffocare. Impaurito dalla morte ma al tempo stesso pronto ad indagarla, Jan sembra riconoscersi nella canzone di Monika Naceva, The Sick rose. In- daga le sue paure e le sue ansie che sono però quelle di tutti noi. Ecco perché non possiamo che rimanere turbati di fronte ai suoi lavori. Di fronte a noi, appese ad una parete, ci sono le nostre paure. Quelle immagini per lui sono una catarsi, una liberazione. Per noi sono uno specchio, una condanna. La villa floreale di SourMilk è pronta ad ospitare il fiore più bello di tutto il suo giardino. Per amore della rosa si sopportano le spine.
Irene Perino