Metamorphosis
L’opera di undici maestri rappresentativi di una scena fotografica ricca di sollecitazioni, presentata attraverso il caleidoscopio di 120 immagini in bianco e nero.
Comunicato stampa
L’opera di undici maestri rappresentativi di una scena fotografica ricca di sollecitazioni,
presentata attraverso il caleidoscopio di 120 immagini in bianco e nero articolate nelle tre
sezioni: “Le conseguenze della sconfitta”, “Tradizione e modernità”, “Verso un Giappone
nuovo”. Progetto di Marc Feustel, esperto di storia della fotografia in Parigi e Tada
Tsuguo, curatore del volume “Japan: A Self Portrait”, edito da Iwanami Shoten. Gli autori:
Ishimoto Yasuhiro (1921-),Kawada Kikuji (1933-), Kimura Ihei (1901-1974),Tanuma
Takeyoshi (1929-),Tomatsu Shomei (1930-), Domon Ken (1909-1990), Nagano Shigeichi
(1925 -), Narahara Ikko (1931 -), Hamaya Hiroshi (1915 – 1999), Hayashi Tadahiko (1918
– 1990), Hosoe Eiko (1933-). La mostra fa parte del circuito di FOTOGRAFIA Festival
Internazionale di Roma.
Da sinistra a dx:
Ken Domon, Children looking at a picture-card show, Tokyo1953
Takeyoshi Tanuma, Dancers resting on the rooftop of the SKD Theatre. Asakusa, Tokyo 1949
Shigeichi Nagano, Completing management training at a stock brokerage firm. Ikebukuro, Tokyo 1961
Info: Maria Cristina Gasperini/Istituto Giapponese di Cultura 06 3224754 [email protected]
In meno di un ventennio il Giappone passò da una scottante sconfitta militare allo status di superpotenza
economica mondiale. Mentre la storia recente è ben documentata, l’Occidente ha avuto poche opportunità di
conoscere la prospettiva giapponese sugli anni del Dopoguerra. Alcuni fotografi tra i quali Araki, Daido
Moriyama e Hiroshi Sugimoto hanno acquisito fama in ambito internazionale, dove la conoscenza della
scena fotografica giapponese spesso ha inizio con il dirompente fenomeno Provoke, appartenente ai tardi
anni Sessanta. Metamorphosis fa riferimento agli anni turbolenti e peculiarmente trasformativi del
Dopoguerra in Giappone, allo scopo di offrire un’immagine del paese filtrata dallo sguardo dei più acuti e
impegnati fotografi del tempo. Nelle giornate subito successive alla sconfitta, il Giappone era smarrito in un
mondo nuovo e incerto. Il mito della divinità imperiale aveva subito un poderoso scossone e, per la prima
volta nella storia, il paese era occupato da una potenza straniera. Il territorio era devastato da quasi un
decennio di guerra e languiva profondamente ferito dai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki.
Dopo gli anni della propaganda militare e della censura il paese avvertì il bisogno di testimoniare i traumatici
eventi della guerra e le loro conseguenze. La fotografia naturalmente ebbe un ruolo cruciale in tale contesto,
medium ottimale per ottenere una registrazione visuale “obiettiva”. Il bisogno di rispondere all’esigenza di
aderenza ai fatti e verità avrebbe avuto l’impatto maggiore sullo sviluppo della disciplina negli anni
immediatamente dopo la guerra.Grazie al boom dell’editoria dei tardi Quaranta, crebbe la fama dei fotografi
già conosciuti. Ken Domon, Ihei Kimura e Tadahiko Hayashi furono molto attivi in queqli anni, impegnandosi
nella documentazione degli effetti del conflitto. Come diretta conseguenza dunque, il periodo conobbe
l’emergere di un poderoso movimento realista, di cui Ken Domon divenne l’esponente di spicco, fautore del
“legame diretto tra camera e soggetto” e “lo scatto assolutamente puro, affatto costruito”. Domon vedeva il
realismo “come un metodo per rapportarsi direttamente alla società”, e “una condotta di vita completamente
implicata”. Nella prima metà degli anni Cinquanta il movimento per il realismo in fotografia crebbe
sensibilmente in notorietà. Sebbene il fenomeno abbia dominato i tardi anni Quaranta e i primi Cinquanta,
alcuni fotografi non aderirono mai completamente all’approccio realistico. All’epoca l’identità nazionale
giapponese era stata posta in dubbio dalla sconfitta e dall’occupazione americana. Come reazione, alcuni
fotografi rivolsero gli obiettivi ad aree del paese che ancora conservavano la vera “essenza” giapponese.
Hiroshi Hamaya, Ihei Kimura e Takeyoshi Tanuma contribuirono alla ricerca dell’identità giapponese con
ritratti ottimistici del popolo nipponico, di cui sottolinearono la tradizione nella quotidianità. Tali lavori li resero
distanti dal movimento di realismo sociale in auge all’epoca, evocando piuttosto la fotografia umanista
francese di Robert Doisneau e Henri Cartier- Bresson. A metà degli anni Cinquanta cominciarono a
manifestarsi nuove tendenze nei circoli fotografici giapponesi, guidate dalle giovani generazioni di autori che
avevano intrapreso la carriera di fotografi soltanto dopo la dolorosa esperienza della guerra. Maturatisi in
una temperie tesa e in divenire, questi artisti si fecero testimoni della saturazione e del progressivo
decadimento del movimento realistico dell’immediato Dopoguerra, e intrapresero la ricerca di nuovi approcci
che permettessero un’interpretazione personale dei cambiamenti e un maggiore contributo al dibattito
sull’identità nazionale. Nel 1957 il critico Tatsuo Fukushima curò una dirompente collettiva, Junin no me
(L’occhio dei Dieci), in cui riuniva dieci dei maggiori giovani fotografi del tempo, tra i quali Eiko Hosoe, Ikko
Narahara, Yasuhiro Ishimoto, Kikuji Kawada e Shomei Tomatsu. Fukushima pensò l’esposizione come” una
prosecuzione dei legami con la fotografia classica e la nascita di una nuova”. Anche se di breve durata, il
gruppo rappresentava una vasta gamma di differenti approcci fotografici, tutti impregnati di ammirazione per
la crescente influenza occidentale in Giappone e impegnati nell’asserzione di nuovi approcci alla fotografia
documentaria. La fotografia giapponese ha attraversato dunque una fase di rinascita e rinvigorimento
durante gli anni Cinquanta e i primi Sessanta. Il dinamismo della disciplina nel Giappone postbellico fu parte
di un ancora maggiore fiorire artistico che dilagò in altri campi, come il cinema, la danza, il teatro, la
letteratura e ancora altre forme espressive. Tale vivacità culturale fu strettamente connessa a una rapida e
profonda trasformazione sociale, che può osservarsi nelle opere di Shigeichi Nagano riguardanti la nascita
della Tokyo moderna. Le sue immagini documentano la nascita della figura del salaryman, e sono evocative
del sentimento diffuso circa il deterioramento del tessuto sociale nazionale a causa dell’incessante ritmo
della crescita economica. Le opere esposte in Metamorphosis rappresentano una riflessione sulla
complessità dell’identità del Giappone moderno. Il Dopoguerra fu caratterizzato da stravolgimenti globali e
radicali, trasversali a economia e società. Molti dei cambiamenti furono drastici e diedero adito a incessanti
interrogativi sull’essenza della giapponesità. Nel catalogo della mostra New Japanese Photography, John
Szarkowski notava nel 1974 :”sembra che la fotografia sia idealmente deputata ad avere a che fare con la
definizione di cambiamenti rivoluzionari. “ Durante gli anni del Dopoguerra la fotografia giapponese
attraversò uno dei periodi più effervescenti della sua intera storia. Sebbene gli artisti di Metamorphosis
abbiano approcci fotografici radicalmente diversi e talvolta opposti, sono tutti accomunati dal desiderio di
sciogliere quesiti fondamentali sull’essenza del Giappone.
Spero che il lavoro di questi artisti continui ad essere esposto e fruito, naturalmente in Giappone, ma anche
in Occidente, attraverso immagini che danno vita a uno straordinario periodo di lotta, umana e sociale, sullo
sfondo di un insuperabile impegno artistico e culturale.
Marc Feustel