Tre atti unici: performances
L’appuntamento conclusivo della mostra “effetto-marey” si articolerà attraverso tre diversi atti unici che si approprieranno di tre diversi spazi di Villa Romana. Eventi che, ancora una volta attraverso e nonostante il crivello mareyano, si prefiggono proprio d’incunearsi nel terrain vague di un atto che altro non è che quell’ostacolo che fa inciampare l’azione.
Comunicato stampa
Finissage "effetto-marey"
Tre atti unici: performances
Emanuele Becheri, Daniela De Lorenzo e Ramona Caia, Davide Rivalta
a cura di Alessandro Sarri
Martedì, 20 dicembre, ore 18.30
Ingresso libero
L’appuntamento conclusivo della mostra "effetto-marey" si articolerà attraverso tre diversi atti unici che si approprieranno di tre diversi spazi di Villa Romana. Eventi che, ancora una volta attraverso e nonostante il crivello mareyano, si prefiggono proprio d’incunearsi nel terrain vague di un atto che altro non è che quell’ostacolo che fa inciampare l’azione. Un accadimento iperbolico che si subordina alla propria finalità in un modo così radicale da portarlo a scompa-rire in essa: un’affezione che continua ad accadere anche dopo che quel che produce l’affe-zione è scomparso, qualcosa che non fa che rimanere malgrado il resto che potrebbe lasciare di sé, esattamente come scrive Michel Serres a proposito della morte che "non suona la fine, ma troneggia il cominciamento".
Davide Rivalta disegna in tempo reale il tempo di qualcosa che non fa che rubare il tempo al suo tempo rimanendo al suo posto, irrimpiazzabilmente esposto nella propria finitezza. Il tentativo di riportare alla luce - l’atto, l’effetto-marey appunto – ciò che nonostante tutto non è mai stato nascosto, sommerso, sepolto e dissimulato. Il tempo di un atto che non avrà mai avuto tempo colto nell’inespugnabilità inattaccabile della propria coincidenza: l’attimo, scrive Jean-Paul Sartre, come "contatto paradossale del tempo con l’eterno". Il ricalco effettuato attraverso saccadi segniche su di un’immagine preesistente di un Orso, diviene il calco di una tautologia eteronima che cerca così di comporre, articolare e corrispondere un margine di de-finito entro il quale far rimpozzare una temporalità irreversibilmente tesa al proprio esauri-mento che è radice – e non confutazione – di un atto immortale: un c’è (stato) inalienabile che disappare nel suo sorgere come sintesi di un eterogeneo come tale che si situa al di qua
di ogni attributo.
Eb, 2011 di Emanuele Becheri rintraccia quella sorta di aseità audiovisiva di un atto posto come fondamento di cui non si potrà più cercare il fondamento. Se il tempo (dell’atto) è già finito l’obbiettivo non ha senso: la forza dell’atto di non passare passa in-attualmente nella singolarità anonima di qualcosa che non interpreta e non s’interpreta, non impersonando
altro che se stesso ritagliandosi spazi abusivi nella compattezza diegetica e diacronica del girato. Verbigerazioni visive e diplopie sonore cercano così d’intercettare e di suturare il tempo che si precede nella propria auto-nomia di forza senza impiego. Il tempo ritratto in sé, al di qua di sé, nell’ab-soluzione della sua esistenza finita senza fine. Esistenza, non l’essere: prova del suo stesso limite, sperimentazione della sua materia, allocuzione di un’ingiunzione categorica che prescrive non tanto l’evento ma l’avvento di ciò che non cessa di venire, l’avvento dell’evento del tempo-punto in cui la temporalità del tempo si rivela niente affatto temporale o che si rivela temporale solo donando il tempo del (suo) tempo.
Daniela De Lorenzo e Ramona Caia innescano, sempre e solo per l’istante in cui l’atto sfila nella propria inestinguibilità, ciò che appunto inizia ambiguamente a passare in se stesso. Infatti Voyance rende conto di un qualcosa che ha un’ alterità intesa qui non come determin-azione provvisoria ma come pura ipseità sradicata da ogni cornice agonale, L’atto si mantiene così all’altezza di un evento in cui l’impossibile della sua presenza è, deve essere, restando tuttavia nella sua realizzazione indicibile, impensabile. Il corpo si fa portatore sano di una liturgia eminentemente e anacronisticamente mareyana (la cronofotografia) in cui si verifica il presentificarsi dell’atto proprio nell’assenza della sua infinita distanza semiotica. L’atto ora s’intenebra nell’interruzione indicibile che ribatte senza posa il tempo esautorato della propria medesimezza, nel fondamento snudato del proprio sfondamento transitivo che non cessa mai di (non) essere passato senza passare mai, nell’ec-stasi originaria dell’immediato estinto in presenza che e-viene alla sua peculiare determinazione senza causa e senza ragione.
Nell’occasione sarà disponibile il catalogo della mostra con testi di Rinaldo Censi e Alessandro Sarri.