Francesca Es – On being
I lavori di Francesca Es sono riassunti dell’esperienza esistenziale, della parabola della vita di uomini, animali, piante, oggetti: reliquiae temporis acti.
Comunicato stampa
Si apre al pubblico sabato 14 aprile 2012 , in CASA MASACCIO a San Giovanni Valdarno, la mostra dell'artista francesca es dal titolo on being, curata da Angela Madesani. L'evento inaugurale sarà caratterizzato anche da una sonorizzazione live a cura di Schnitt del video Marie88.
I lavori di Francesca Es sono riassunti dell'esperienza esistenziale, della parabola della vita di uomini, animali, piante, oggetti: reliquiae temporis acti.
L'artista raccoglie e porta nella sua "camera chiara" quanto la colpisce, quel che resta del vissuto. Il passare del tempo l'affascina, è colpita dalle tracce che esso lascia sulle cose, sugli oggetti come la bambola, un oggetto inquietante in cui è l'imitazione dell'afflato vitale, una bambola che ha trovato sulla spiaggia consumata dai lunghi trascorsi acquatici (Venere 2011); ma Francesca Es guarda anche alle tracce lasciate dal tempo sulla natura, sugli individui, così nel lavoro sulle famiglie, intitolato on being my mother.
Il suo è un lavoro esteticamente perfetto, di un'eleganza impeccabile in cui l'apparente imperturbabilità dell'atmosfera, tuttavia, non è tale. Anzi in ogni sua immagine, che si tratti di still life o di ritratto, la perfezione è pura apparenza. L'atmosfera che si viene a creare è innaturale, tutto appare studiato, finto. Da un momento all'altro ci si potrebbe trovare di fronte al vuoto. Quel vuoto che è nel suo studio in cui predomina il bianco, il colore del lutto per gli orientali, dove a ognuno è data la possibilità di perdersi.
In Bonneville del 2011 ha fotografato i fiori che coronano gli altari spontanei che sorgono al ciglio delle strade, nei luoghi dove sono accaduti incidenti mortali. Li ha asportati, portati in studio, fotografati e rimessi dove erano. Le sue sono testimonianze della precarietà dell'esistenza.
Per un altro gruppo di lavori (Disappearence 2011) si è servita dei soffioni, i fiori che crescono selvatici e che svaniscono con un soffio. È una sorta di Vanitas.
In mostra anche dei dittici On being still (2010) in cui ci propone una riflessione su natura morta e still life: parole opposte che assumono lo stesso significato. Nei dittici vita e morte sono speculari, l'immagine di una bambina con l'immagine di un teschio.
A Francesca Es interessa quella linea sottile che separa le cose, quello che sembra ma non è. È importante la relazione che si viene a creare fra i due soggetti. In On being suspended (2010) è la ricerca di un'identità sospesa fra ciò che esiste ma è invisibile e ciò che non esiste ma è visibile, in un tempo che non è oggi e in uno spazio che non è un luogo. Il battito delle ciglia è un momento esistente ma impercettibile, nel quale le persone sono sospese fisicamente fra luce e buio e metaforicamente fra Vita e Morte.
Es vuole, in qualche modo, rompere il circolo vizioso dell'esistenza per mettere fine all' incubo che la vita si ripeta uguale a se stessa più volte.
La sua ricerca che presenta sicuramente delle forti impronte autobiografiche, anche se inconsce, in realtà non offre risvolti di natura intima, non si compiace di quanto è personale, la sua è una riflessione più ampia che comporta un rapporto con l'altro, un'indagine profonda del circostante che viene poi elaborata secondo il suo modo di procedere.
Il suo più recente lavoro, qui in mostra, presenta oggetti raccolti durante un breve quanto intenso viaggio a Buenos Aires e in Patagonia. È un lavoro su quanto rimane. Là ha raccolto ossa e resti di diverso genere. In quel luogo particolare tra Argentina e Cile, esistono poche strade, quasi tutte sterrate. È il luogo del chilometro 0, dove finisce o inizia la Ruta 40, che attraversa tutta l'Argentina e arriva sino alla Terra del Fuoco. Nelle sue immagini piccole cose trovate, resti di esistenza, scheletri di animali, piume, una grande di aquila, ossa di pecora, di guanaco, un animale simile al lama. Ma sono anche piume raccolte al Garage Olimpo, un centro di detenzione nel periodo della dittatura, dove sono stati reclusi parecchi dei cosiddetti desaparecidos. È un luogo dove sono ancora le presenze di quei momenti terribili, ma lei non ha fotografato nulla là. Ha solo preso dei resti e li ha portati nel suo studio, dove, unico caso, ha deciso di fotografarli con uno sfondo nero. Le loro sono storie di terrore, venivano bendati, vivevano al buio in celle anguste, disumane. Storie di morte violenta, obbligata. L'uomo è un crudele aguzzino, che somministra terrore e patimento ai suoi simili.
Un'immagine è dedicata alle bottiglie di plastica trovate nei pressi degli altari offerti alla Defunta Correa, che in Patagonia sono l'unico segno di presenza umana. Si tratta di una donna, vissuta nel XIX secolo, alla quale era scomparso il marito. Lei si era messa alla sua ricerca con il suo bambino neonato in braccio. La donna stremata a un certo punto era morta di fame e di sete. Ma la leggenda racconta che il bambino, abbeverandosi del latte della madre, fosse stato ritrovato ancora in vita. Si tratta di una sorta di miracolo. La gente, ancora adesso, mette sulle strade sterrate delle bottiglie d'acqua, nei pressi degli altarini spontanei dedicati alla sua memoria.
In un lavoro sono poche briciole di pane, i resti di una cena al Cafè Tortoni di Buenos Aires, in un altro i resti di un incidente stradale, che ci riporta ad un altro luogo, ad un'altra dimensione, forse al momento da cui buona parte di questa ricerca è partita.