Oppy De Bernardo – Scacciapensieri
Intitolata Scacciapensieri, l’installazione ambientale realizzata per l’Ala Est del Museo Cantonale d’Arte da Oppy De Bernardo ci rimanda fin dal titolo all’ambiguità di questo termine che si riferisce sia a quello che è forse uno dei più antichi strumenti musicali al mondo, sia a qualche cosa che diverte e svaga, scacciando le preoccupazioni.
Comunicato stampa
Intitolata Scacciapensieri, l’installazione ambientale realizzata per l’Ala Est del Museo Cantonale d’Arte da Oppy De Bernardo ci rimanda fin dal titolo all’ambiguità di questo termine che si riferisce sia a quello che è forse uno dei più antichi strumenti musicali al mondo, sia a qualche cosa che diverte e svaga, scacciando le preoccupazioni. La scelta di questo termine manifesta tutto il suo potenziale metaforico quando ci troviamo a percorrere gli spazi dell’Ala Est completamente rimodellati dall’artista. Analogamente a uno scacciapensieri, il cui vibrare monotono e ronzante amplificato dalla cavità orale finisce per far svaporare ogni altro pensiero nella totale identificazione della nostra coscienza con la percezione di questo suono ipnotico, l’opera di Oppy De Bernardo, invitandoci a percorrerla, ci immerge infatti in un’esperienza sensoriale avvolgente che assorbe completamente la nostra attenzione, proiettandoci in quella che a prima vista potrebbe essere la ricostruzione nella realtà di una situazione onirica. Anche in questo caso, come accade in molti suoi lavori, quella che lo spettatore si trova di fronte non è una semplice e spettacolare messinscena scenografica o una costruzione architettonica da guardare dall’esterno, come un osservatore neutrale, ma una situazione da esperire direttamente, un’installazione in cui muoversi e con cui interagire. Attraverso la radicale trasformazione dello spazio espositivo egli mette infatti in atto un dispositivo relazionale, all’interno del quale è il pubblico, con la sua presenza, a dare corpo all’opera. Come in altre opere dell’artista, anche in Scacciapensieri lo spettatore deve compiere un tragitto, un tragitto che sembra volerci spingere fino a quella zona liminale che si colloca tra la vita e la morte. Accedendo agli spazi dell’Ala Est lo spettatore si trova infatti catapultato nella dimensione irreale di un’architettura dominata dal candore pervasivo del bianco che modifica completamente la consueta articolazione di questo spazio. In luogo della grande sala principale, di fronte allo spettatore si aprono ora due lunghi e stretti corridoi illuminati da una fila di lampade al neon di cui non è possibile scorgere la fine. Iniziando a percorrerli, seguendo le curve sinuose delle pareti ci troviamo immersi in un’atmosfera straniante che ci priva di ogni riferimento spaziale alimentando in noi la sensazione che ci stiamo staccando dalla realtà terrena per accedere ad una dimensione di pura luce. Quello che ci appare improvvisamente in fondo al corridoio dopo aver compiuto una stretta curva a destra è invece una sorta di cripta ovale immersa in una luminosità lattiginosa, lungo il cui perimetro sono appese centina di forme, anch’esse di forma ovale. Osservandole più attentamente ci accorgiamo che nel bagliore quasi fastidioso di questo candore assoluto si cela un’immagine di morte. Una morte che si presenta tuttavia con il volto della vita: l’uovo. Accanto alla dimensione relazionale troviamo in Oppy De Bernardo anche un lato più propriamente oggettuale come testimonia Relax (2008), l’altro lavoro esposto, che si confronta anch’essa con la morte, o per meglio dire, con il pensiero della morte e con le forme simboliche in cui questo pensiero si traduce. Realizzata per la mostra finale del Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Antonio Ratti di Como, l’opera è costituita da una semplice panchina di legno dipinta di bianco, ricavata dall’artista a partire da una bara usata. Ed è proprio quest’ultima informazione a trasformare improvvisamente questo oggetto di design in un micidiale detonatore che andando a toccare le corde di una sensibilità ancestrale innesca una serie di interrogativi sul nostro rapporto con la morte e sui meccanismi di ritualizzazione con cui cerchiamo di normalizzarne la presenza nelle nostre vite. In occasione della mostra il Museo Cantonale d’Arte e la Fine Arts Unternehmen Books pubblicano un catalogo bilingue italiano inglese con un testo di Elio Schenini.