Galileo Chini – Lavoro e identità nazionale
Erano da tempo noti i cartoni preparatori, quasi interamente acquistati nel 2007 dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Eseguiti a tempera, assemblati nelle varie parti e quasi integralmente colorati (una rarità per l’artista abituato ad eseguire bozzetti in bianco e nero), rivelano un Chini assorbito in uno spirito di assoluta gravità, perfino severo, ma sempre munito di un profondo estetismo anche nella riproposizione di temi e figure tipici della grande decorazione fascista.
Comunicato stampa
Lavoro e identità nazionale.
Galileo Chini. I cartoni della Casa del Contadino
Palazzo Fava. Palazzo delle Esposizioni
(via Manzoni, 2 – Bologna)
piano terra, cortile liberty
19 maggio – 2 settembre 2012
dal martedì alla domenica,
dalle ore 10 alle 19
Per ulteriori informazioni
telefono 051 19936329
[email protected]
I cartoni di Galileo Chini
È il 1940 quando viene proposto a Galileo Chini di decorare con un monumentale ciclo pittorico dedicato al lavoro dei campi il grande salone delle riunioni della nuova Casa del Contadino di Bologna, voluta dalla Confederazione fascista lavoratori dell’Agricoltura sull’allora via Roma (oggi via Marconi). La nuova sede fu inaugurata l’8 novembre 1942 come riporta il Resto del Carlino il quale fa esplicito riferimento al “bellissimo salone delle adunanze, decorato di artistici pannelli allegorici dorati dovuti al pittore Galileo Chini di Firenze”.
Il 22 aprile 1945 il palazzo passava nelle mani della CGIL bolognese e nel 1981 veniva sottoposto ad operazioni di bonifica e ampliamento; in particolare la grande sala veniva “dimezzata” per ricavare un piano intermedio, compromettendone così radicalmente lo spazio originario già privato della visibilità dei dipinti, scialbati nel 1955. Fortunatamente il ciclo, dimenticato per tutti questi anni, è stato solo coperto da uno strato superficiale di tinteggiatura sotto cui i primi i saggi stratigrafici, eseguiti nel 2007 a cura dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, hanno dimostrato l’integrità delle decorazioni.
Erano invece da tempo noti i cartoni preparatori, quasi interamente acquistati nel 2007 dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna. Eseguiti a tempera, assemblati nelle varie parti e quasi integralmente colorati (una rarità per l’artista abituato ad eseguire bozzetti in bianco e nero), rivelano un Chini assorbito in uno spirito di assoluta gravità, perfino severo, ma sempre munito di un profondo estetismo anche nella riproposizione di temi e figure tipici della grande decorazione fascista. Non si ravvisano però nella monumentalità di questi componimenti i consueti toni propagandistici, piuttosto un tenore meditativo sulle fatiche dell’uomo e sul suo destino; i contadini, le mondine, le risaiole sono eroi ed eroine di un mondo dove etica e sacralità prendono il sopravvento. Non a caso le fonti figurative sembrano essere da un lato il Fattori delle campagne maremmane e dall’altro i simbolisti del divisionismo. Ne emerge un Chini che nel celebrare un’umanità titanica che trova riscatto nella dignità del lavoro, si dimostra allo stesso modo vicino alla malasorte degli umili e dei diseredati, personaggi cari ad un altro protagonista delle terre della Versilia, quel Lorenzo Viani, pittore delle sconfitte e dell’emarginazione. Il colore di cui sono imbevuti i cartoni sembra avere infatti più un carattere simbolico che naturalistico: “Nelle cromie profonde ma vibranti, possiamo scorgere il definitivo passaggio stilistico di Chini dal novecentismo elegante dei primi anni Trenta, ancora diluito in tinte chiare e sfumate, a una gamma ombrosa e plumbea, anche se rischiarata da tocchi di biacca e di gialli, che prelude al tragico espressionismo del secondo dopoguerra” (F. Benzi).
Galileo Chini
(Firenze 1873-1956)
La corretta valutazione di questo artista dall’espressività singolare e poliedrica è stata messa completamente a fuoco solo negli ultimi anni rivelando una figura di dimensione europea.
Nato a Firenze nel 1873, formatosi alla Scuola Libera del Nudo presso l’Accademia di Belle Arti della città, iniziò a lavorare come decoratore e restauratore. Nel 1896 fondò la manifattura L’Arte della Ceramica e dieci anni più tardi le Fornaci San Lorenzo, insieme al cugino. È proprio la ceramica a rappresentare uno degli apici della sua attività, spaziando dall’oggetto d’arredamento al rivestimento parietale con evidenti riferimenti alla Secessione viennese e più in generale a tutti i movimenti modernisti europei. Sul fronte pittorico aderì al divisionismo in chiave simbolista guardando agli italiani – Segantini, Previati, Nomellini – e al fronte nordeuropeo più espressionista dei tedeschi e dei francesi, maturando una visione sempre più inquieta ed emotiva. Dopo la partecipazione trionfale alla Biennale di Venezia del 1909 con la decorazione della cupola del vestibolo d’ingresso, venne chiamato dal re Rama V a dipingere il Palazzo del Trono di Bangkok; il soggiorno orientale avrebbe condizionato tutta la pittura seguente sviluppando “in Chini la vena meditativa e di trasfigurazione della realtà in ritmi cromatici sottilmente virati, in immagini permeate da un trasporto interiore” (F. Benzi).
Queste grandi imprese decorative ad affresco lo confermano come uno dei più alti interpreti del Liberty e del Decò in Italia.
Nel 1911, in occasione dell’Esposizione Internazionale di Roma, eseguì il fregio per il padiglione delle feste nel quale erano illustrati i costumi delle regioni italiane; nel 1914 partecipò di nuovo alla Biennale veneziana con i quattordici pannelli decorativi per la sala Mestrovic’, omaggio a Hoffman e a Klimt; seguirono gli affreschi per il Palazzo dell’Economia di Firenze nel ’13, quelli per il Palazzo Comunale di Montecatini, i due grandi affreschi rialzati in oro per le Terme Berzieri di Salsomaggiore, il cui fabbricato venne interamente rivestito di ceramiche policrome realizzate dalle Fornaci San Lorenzo, impresa capolavoro dell’esotismo del maestro. Al 1925 risalgono i due pannelli destinati al padiglione italiano dell’Esposizione Internazionale parigina che sancì la fortuna e la diffusione del Decò a livello mondiale. Poi ancora opere per ville e dimore private, alberghi, motonavi, piroscafi, chiese e sepolcri, fino al grande pannello per la Stazione marittima di New York eseguito per la Società Navale Italia nel 1939.
Sul tema del lavoro si ricordano i bozzetti per la decorazione mai realizzata nella Stazione di Firenze e il grande ciclo di affreschi per la Casa del Contadino a Bologna.
L’acquisto dei cartoni
Nel 2007 la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna acquista sul mercato antiquario – da un attento collezionista bolognese che a sua volta li aveva ottenuti dagli eredi dell’artista – sette grandi cartoni preparatori a firma di Galileo Chini, con dimensioni che superano i quattro metri d’altezza. Raffigurano l’Aratura, la Semina, il Dissodamento del terreno, il Piantamento degli alberi, il Lavoro (detto “Il Legionario”), la Raccolta e Mondine, cui occorre aggiungere, per il completamento della serie, i cartoni con la Trebbiatura e con il Vendemmiatore conservati in raccolte private.
Dietro ad alcuni di essi compare un appunto autografo dell’artista: “Casa del Contadino. Bologna – 1940”. Da qui e da una lettera resa nota dagli eredi, contenente l’incarico ufficiale della Confederazione fascista lavoratori dell’Agricoltura per la decorazione del salone delle adunanze della nuova sede bolognese eretta sull’allora via Roma, è partita una prima ricerca sfociata nell’accertamento dell’esistenza delle pitture originali che si potevano supporre perdute: sotto la scialbatura si erano invece conservate. Oggi, elaborato un articolato progetto di risanamento del salone, la CGIL, proprietaria dell’edificio situato in via Marconi, è intenzionata a recuperarle interamente e a restituire alla città un patrimonio tra i più rappresentativi del secolo scorso. La scoperta è davvero eccezionale. Non si tratta di affreschi, ma di tempere ancora in buono stato di conservazione come hanno potuto appurare i primi saggi stratigrafici, eseguiti nel 2007 a cura dell’Accademia di Belle Arti di Bologna.
I cartoni interamente colorati e applicati su tela vengono mostrati per la prima volta alla città grazie all’esposizione realizzata in Palazzo Fava, nel complesso allestimento curato dal prof. Mario Brattella.
Le loro notevoli dimensioni rendono efficacemente l’idea del grandioso progetto decorativo, ora occultato, realizzato dal pittore e scenografo fiorentino, il cui recupero si impone quale doverosa restituzione alla città di un tassello fondamento della sua storia del Novecento.