Politikaction – L’arte del sistema
L’arte del sistema. Per una critica politica. Partecipano: Marco Baravalle, curatore e attivista, cofondatore del S.A.L.E. Venezia Emiliano Brancaccio, economista, Università del Sannio Maddalena Fragnito, artista visiva, cofondatrice del collettivo “I lavoratori dell’arte” Salvatore Manzi, artista visivo Maurizio Zanardi, filosofo,cofondatore delle edizioni Cronopio coordina: Stefano Taccone, curatore di Politikaction nel 2012
Comunicato stampa
Nel corso degli ultimi decenni gli investimenti privati, così come quelli pubblici, nell’arte contemporanea – e nell’arte e nella cultura in genere – sono costantemente aumentati, fino a raggiungere cifre enormi ed impensabili fino a qualche tempo prima. Se tale fenomeno si è andato sviluppando di pari passo con la crescita della popolarità dell’arte contemporanea stessa – ma ciò è avvenuto in virtù di tali investimenti oppure essi sono piuttosto dettati dall’intuizione del potenziale di popolarità insito in quest’ultima? -, l’ha anche resa sempre più strettamente asservita a fini di “lubrificazione sociale” -parafrasando il titolo di un’opera di Hans Haacke che registra con grande precocità tale tendenza (1975) – che muovono innanzi tutto tanto le élite economico-finanziarie quanto le burocrazie statali, minandone così gravemente la sua autonomia. In tutte le società fondate sulla gerarchia delle classi l’arte è stata fortemente condizionata dagli interessi di quelle dominanti e da quando vige un capitalismo appena maturo l’arte è sempre stata tutt’altro che esente dai suoi condizionamenti, eppure – oltre alla pura e semplice considerazione per cui ciò che è oggi potrebbe anche non essere domani – non si possono tralasciare gli elementi assolutamente inediti che caratterizzano questa fase: tra tutti quello meno dubbio è probabilmente costituito dalla comparsa di un vertiginoso “mercato speculativo dell’arte”, rilevato nella sua fase incipiente da Joseph Kosuth (1982), il quale, avendo osservato come un artista sconosciuto fino a pochi anni prima sia ora in grado di lambire ben presto «un prezzo che in altri tempi si raggiungeva dopo un’intera carriera», si chiede retoricamente «quanti di noi riescono a non essere influenzati nella valutazione di un’opera che è stata tanto su di giri e poi è improvvisamente caduta?»
Negli ultimi anni la recessione globale ha però inferto a tutto ciò, così come a l’intero sistema economico della globalizzazione neoliberista, una pesante battuta d’arresto, determinando una inedita condizione di stasi ed incertezza, che in area napoletana e campana si cumula con l’ingente contrazione dell’intervento pubblico, fino a qualche anno fa talmente pervasivo da far entrare l’allora Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino, unico tra i politici di professione, nella classifica delle personalità più potenti dell’arte contemporanea in Italia promossa da “Flash Art”, benché -sia chiaro - anche tale situazione fosse tutt’altro che esente da zone d’ombra – dalle enormi, ingiustificate cifre di gestione alla rinuncia ad aprirsi realmente alla diversità dei linguaggi e delle soggettività che fermentano sul territorio. Da dove partire, dunque, e con quali strumenti per far fronte a tale stato di cose glocale? Come rivendicare all’arte contemporanea spazi di autonomia? Come fondare i suoi modelli di gestione su logiche partecipate al di là delle esigenze di propaganda politica e della valorizzazione capitalista? Come conciliare, d’altra parte, qualità e rigore della ricerca e democrazia dal basso? Come valutare - per ora - il percorso dei vari collettivi che, nascendo nell’alveo del clima generato dai nuovi movimenti di contestazione globale, si fanno portatori di tali istanze?