Graziano Arici – Flussidiversi ad Andrea Zanzotto
La mostra è tra i momenti di maggior interesse della quinta edizione di “Flussidiversi”, il festival dei poeti dell’Alpe Adria che anima campielli e vicoli dell’antico centro di Caorle nelle giornate dall’uno al tre maggio.
Comunicato stampa
L'immagine che forse più colpisce è quella del poeta, in una giornata di avversa primavera, che scopre, sul lungomare di Caorle, la pietra dov'è scolpito il testo di un suo Haiku dedicato a Caorle e al grande incontro di poeti che quell'anno qui aveva il suo battesimo.
Le folate di un freddo vento di ponente che arricciava i cavalloni della Laguna non lo avevano tenuto lontano. Zanzotto era così: la poesia era un impegno sacro e questo tipo di impegno non ammette deroghe.
In mostra questa è l'unica immagine non dovuta a Graziano Arici, intenso autore di tutti gli altri cinquanta ritratti del poeta solighese esposti dal 1° giugno al 1° luglio Centro Civico nel cuore della città della laguna veneziana. La mostra, promossa dalla Regione del Veneto, dal Comune di Caorle in collaborazione con l'Istituto veneto di scienze Lettere e Arti, è tra i momenti di maggior interesse della quinta edizione di "Flussidiversi", il festival dei poeti dell'Alpe Adria che anima campielli e vicoli dell'antico centro di Caorle nelle giornate dall'uno al tre maggio.
Gli scatti di Arici non hanno scopi celebrativi: l'ufficialità non era l'obiettivo di Zanzotto. Sanno invece ridarci l' intimità domestica del poeta ritratto tra gli utensili di una vita, accanto all'amatissimo gatto, tra ricordi, soprammobili e carte e libri, moltissimi, straripanti, tanto da sembrare essere dotati di vita e forza proprie. Poi Zanzotto nelle sue colline solighesi, in quell'ambiente che amava e che sino all'ultimo ha lottato per preservare, luoghi di bellezza infinita, di natura maschia e dolce, di forza serena e mai esibita. Quel paesaggio di apparenza incantata che egli voleva "preservare da un intrinseco sfacelo reso più minaccioso dallo snaturante progresso tecnologico" (Galimberti).
Per questo Zanzotto era più che un poeta. Amato dalla gente, anche da chi non aveva mai letto una poesia, come testimone, meglio alfiere, di una lotta combattuta per garantire a tutti un lembo di Paradiso in terra.
Le immagini di Arici raccontano una lunga parte della vita di Zanzotto, dagli anni Novanta alla scomparsa, un diario di bordo di una esistenza in cui, man mano, il poeta tendeva a preservarsi nel "barbaro" mondo dei suoi colli, senza ripudio, ma anche senza nostalgia per città e altri luoghi che pur lo avevano goduto ospite attivissimo.
Le più datate tra le immagini raccontano un Zanzotto impegnato in momenti di socialità culturale, con suoi amati "colleghi": Comisso, trevigiano come lui, ma di campagna, Pietro Chiara, Luzi e il suo amato "padrino" Ungaretti. Poi la "mezza solitudine", fecondamente creativa, scelta e non subita, tra i suoi Colli . Semi solitudine, mai isolamento, quasi rarefazione per essere ancora più antenna perché "fare poesia è come spingersi in un baratro dove nessuno vuole entrare".
Arici ha avuto la fortuna intellettuale, prima ancora che professionale, di vivere molte giornate con Andrea Zanzotto, polo di una simbiosi di artisti che, quando come in questo è profondamente vera, crea arte.
Sino all'ultimo, quando il volto del poeta assume i tratti di una xilografia dureriana e suoi occhi sembrano traguardare il presente "dare del tu agli Dei".
Cinquanta immagini straordinarie, dense, vere. Come solo un artista sa fare per un altro artista.
Una mostra che riesce,con le immagini, a dar corpo a "versi di carta vetrata nel tempo dell'oblio".
Graziano Arici dopo gli studi in Sociologia, si è orientato verso la fotografia, nell'ambito del teatro, del ritratto e della cultura. Inizia a collaborare dal 1980 con il Teatro La Fenice di Venezia, del quale segue tutta l'attività artistica e ne documenta nella maniera più completa la parte architettonica e decorativa. Documenta tutte le attività artistiche e culturali a Venezia, dalle varie Biennali a spettacoli e concerti, alle esposizioni più importanti. Tra il 1981 e 1982 esegue ampi reportage sul lavoro di Emilio Vedova e nel 1988 su quello di Jim Dine. Nel 1984 è stato fotografo personale di Luigi Nono per la Prima mondiale a Venezia del "Prometeo". Nel 1985 diventa fotografo di Palazzo Grassi e ne segue tutti gli allestimenti. Segue la XVIII Biennale d'Arte e, attraverso 400 fotografie, monta un video che illustra il lavoro degli artisti all'opera di allestimento. Nel 1989 é a Berlino nei giorni della caduta del muro. Nel 1994 documenta la situazione di cambiamento nelle grandi città artistiche dell'ex Germania-Est. Tra il 1995 e il 1996 attraverso numerosi viaggi in Bosnia e Sarajevo, esegue un reportage sulle attività culturali durante la guerra e sulla situazione del cinema bosniaco. Nel gennaio del 1996 documenta per primo lo sviluppo dell'incendio del Teatro La Fenice.
Sue fotografie e reportages sono state pubblicate sulle più importanti riviste internazionali Suoi lavori sono conservati al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell'Università di Parma.