Stefano Ciaponi – Vestire di blu la notte
Per Stefano Ciaponi questa è la terza personale nella galleria mantovana, la prima nel 2007 e la seconda nel 2009, ottenendo sempre grandi consensi di critica e di pubblico.
Comunicato stampa
La Galleria Arianna Sartori - Arte di Mantova in via Cappello 17, ospita la mostra “Stefano Ciaponi. Vestire di blu la notte”.
La personale, curata da Arianna Sartori, verrà inaugurata sabato 9 giugno alle ore 17.30 alla presenza dell’artista.
Per Stefano Ciaponi questa è la terza personale nella galleria mantovana, la prima nel 2007 e la seconda nel 2009, ottenendo sempre grandi consensi di critica e di pubblico.
La mostra resterà aperta al pubblico fino al prossimo 30 giugno 2012.
Stefano Ciaponi, pittore ed incisore, è nato sulle colline livornesi nel 1957. Dalla piccola casa dove trascorse la sua prima infanzia poteva vedere la valle chiamata Monfranca, valle che si affaccia sul mare, dove l'isola di Gorgona è quasi sempre visibile, con quella sua inconfondibile sagoma di vecchia balena addormentata.
«Con un paesaggio di tale bellezza», dice l'artista, «non potevo che diventare pittore». Ed Infatti, le sue doti artistiche si rivelarono molto presto e la sua passione per il disegno e la pittura lo spinsero a studiare prima all'istituto d'arte di Lucca e poi all'accademia di belle arti di Firenze, sotto la guida di Ferdinando Farulli per la pittura e di Domenico Viggiano per l'incisione. Furono anni di grandi entusiasmi, di speranze, di incontri, come quello con il segno agile ed inquieto di Giacometti, con le ombre cupe di Rembrandt e con la pittura monumentale e di forte impegno sociale di Siqueiros. Sono con queste emozioni e questi punti di riferimento che Ciaponi inizia il suo percorso artistico.
Il suo primo dipinto, conservato ancora gelosamente dall'artista, risale al 1975; dipinto di cui s'era interessato con sincera stima anche il maestro Farulli, che per dimostrazione lo appese sulla parete dietro la sua cattedra, lasciando il giovane Ciaponi incredulo e pieno di stupore.
Attualmente Ciaponi insegna tecniche dell'incisione all'accademia di belle arti di Carrara, dopo aver insegnato in altre prestigiose sedi come Bari, Roma, Milano e Sassari. Ciaponi è un uomo schivo e grande sognatore. Continua a fare pittura dipinta, a lottare per difendere le sue idee rifiutando condizionamenti di mercato: è ben lontano dall' arte che nasce esclusivamente per meravigliare, che si veste di parole per nascondere la propria ipocrisia. L'artista livornese realizza con grande padronanza e con una poetica tutta nuova oggi in Italia, una pittura fatta di materia, a volte sabbiosa che viene segnata e graffiata prima di essere dipinta sopra, fino ad assumere l'aspetto dell'intonaco per raffresco, caratteristica che i dipinti mantengono sino alla fine. Le sfanzeche il maestro dipinge diventano luoghi delle annunciazioni e delle apparizioni. I suoi bambini, i suoi animaletti, i suoi oggetti, entrano nello spazio in modo quasi magico: vengono alla luce da profondità molto buie, con guizzi di colore lu-minescenti e manifestano una gracilità tale che sembrano come sul punto di sparire, così come sono apparsi. Questi fanciulli, assieme ad un gran desiderio d'amore, denunciano la loro solitudine, prendono coscienza di un tempo trascorso e mai vissuto, intuiscono che oltre quel varco fatto di luce si nasconde l'ignoto. I dipinti di oggi sono meno angoscianti dei primi, ma nascono come allora da una ricerca ed una esigenza inferiore, come immediata comunicazione. Sono più spirituali, anche se permangono questi interni desolati velati da una certa inquietudine. È un'indagine, quella di Ciaponi, per giungere alla scoperta della fragilità degli uomini e delle cose, è un viaggio pittorico fatto di sogni, con richiami romantici, fiabeschi e surreali, dove squarci di luce solare o luce della memoria si fondono per restituire un tocco di poesia alle cose semplici che il nostro quotidiano, vissuto con troppa superficialità, non riesce più a cogliere.
Stefano Ciaponi e i racconti minimi
Quasi per un vortice gentile di enigmi e sentimenti che lentamente venga ad increspare la superficie del foglio o della tela, le figure di Stefano Ciaponi interrogano con l'intensità misteriosa degli sguardi e la sospensione arcana dei gesti lo spazio che le circonda.
È proprio questa interrogazione, del resto, sottile e insieme robusta, fel¬pata e insieme impellente come la carezza di un vapore umbratile che si stende in ogni momento sui personaggi e sugli ambienti, a costituire uno dei lati fondanti della poetica dell'artista livornese, forse anche l'a-spetto maggiore e più decisivo. Aspetto di fondo, dico, come qualità determinante di tutto il suo lavoro, che si riassume in quel senso di stu¬pore, di con-templazione, direi quasi di riverenza e meraviglia nei confronti del mistero del resistere, di cui testimoniano gli innumerevoli piccoli racconti che si inanellano e si intrecciano alle sue immagini.
Ecco. È proprio il senso di una infinita domanda, di una interrogazione senza soste ad essere al centro del fascino inquieto di questi aforismi di-pinti, di queste allusioni che si condensano e rapprendono in storie minimali come fiabe o tracce d'aneddoti inventate a fiato leggero:
vicende di margine e di lontananza, intuizioni d'affetti e nostalgie, lacerti di racconto, parabole, memorie...
Come l'ombra di proverbi sedimentati nelle memorie infantili, come resti dimenticati di vecchie filastrocche amplificate dal sogno e dalla fantasia, queste storie minime sono appunto l'alimento fulgido e assorto della creazione di Ciaponi, del suo fantasticare attorno a teatrini di semioscurità e di luce, a delicati paesaggi interiori divisi tra stanze oniriche e fughe in una campagna incantata, fervida di presenze sibilline, tra gesti vaghi e dimore fatate, porte e finestre aperte su un mondo altro, specchio dei nostri desideri, delle nostre malinconie, del nostro struggimento.
Per questo, tra i quarantenni di oggi, Ciaponi è artista dal temperamento di quelli maggiormente narranti, "letterario" sì, ma nel senso meno retorico del termine, e dunque fortemente lirico, necessariamente legato, inoltre, all'immagine figurativa e alle sue ragioni, vissute come sottostanti sinopie di racconto poeticamente definito, ineliminabili dall'opera anche nei momenti di più disinvolta dilatazione segnica e fantastica dell'espressione. E artista denso, sempre e comunque, di allusività diffusa, di liricità posta costantemente alle sorgenti dell'invenzione, della figura e del colore, per dettarne le migliori e adeguate condizioni formali.
Con un temperamento sotteso alla soggettività sensibile del sentimento, sottoposto ai fermenti e alle vibrazioni del ricordo, al riverbero della natura e delle cose attraverso il filtro dell'anima.
Il risultato? Tutto ciò che egli ci mostra è trasfigurazione poetica, interpretazione espressiva, esperienza esplicitamente raccontata di un fascino difficile dei procedimenti e delle associazioni mentali, oniriche.
Emozioni autentiche, che si dispiegano sotto le dita con un taglio squisitamente surreale.
È vero infatti - come ha scritto bene per lui Rossana Bossaglia qualche anno fa - che bisogna accennare al surrealismo - per scontornare sul serio - se poi è possibile - il senso intcriore dell'impulso creativo del nostro artista, la profondità degli stimoli e delle sonde emozionali di cui è capace. Un surrealismo, tuttavia, che almeno per me non ha precisi rimandi alla consueta letteratura del genere e alle sue caratteristiche, da Delvaux a Dalì, per intenderci, fino a Duchamp. Che cioè non si muove su un terreno di incongruenze o di meraviglianti imprevedi-bilità, ne si tinge mai di irrisione o di umori contestativi. Si tratta, piuttosto, di una sorta di superamento delle regole narrative, di una con-centrazione quasi naturalmente metafisica dell'immaginazione, che si colora più di melanconia che di sorpresa, più di senso del sacro che di senso dell'imprevedibile.
Molto più Chagall, dunque, che Magritte, o, pensando alla collocazione toscana del nostro autore, molto più Xavier e Antonio Bueno che Max Ernst.
Ciò che rende coerente, continuativa, affascinante la pittura di Ciaponi negli anni è appunto da ricercare in questo suo speciale sguardo incantato e incantante, questa sua particolarissima surrealtà fantasticante, tesa ad architettare con minuzioso affetto il crepitare cromatico e compositivo di personaggi affabulanti, di situazioni incantate o, ancora, il gentile groviglio di una narrazione intensa e minuziosa, che non lascia nulla alla casualità del banale.
I suoi oli e le sue incisioni, dunque, sono lo strumento per fissare brani di grazia e di passione meditativa, ma, anche, per definire interroga¬zioni sulla vita e sui sentimenti aperte ad ogni strato della coscienza: per ragionare sommessamente sull'esistenza e sulle emozioni alla luce di un sobrio raccontare, che ha tutto l'ambiguo mistero e il fascino di un lirismo sicuro, maturo, risolto, tutto interno alla "semplice" misteriosità del mondo.
Dipingere, disegnare e incidere, insomma, sembrano essere per Ciaponi soprattutto gesti di messa a fuoco inferiore, in cui la dimensione psichica e quella della memoria emotiva giungono a prevalere, riabbracciando e ricomponendo in sé la dimensione solo razionale assieme a quella solo e-stetica o contemplativa, fino alla pacificazione della sintesi, fino all'armonia difficile della poesia.
La lenta sostanza dei colori e delle immagini - come diceva Paul Klee - "non ripete le cose visibili, ma rende visibili le cose". E questa visibilità del reale in ciò che prima non era visibile, in ciò che Kartista vede attorno a sé con gli occhi della mente e del cuore, costituisce davvero un punto d'approdo immaginifico ed avvincente per un viaggio straordinario dalle molte suggestioni, una delle quali, e non l'ultima tra esse, è determinata dal fascino d'essere eternamente in progress, d'essere senza sosta ricercante...
Giorgio Seveso
Stefano Ciaponi pittura del silenzio e dell'ascolto
Nella vorticosa bufera massmediale che induce l'uomo contemporaneo al gusto per la monumentai ita macroscopica, essendo diventata la prassi scenografica e barocca ordine costitutivo delle cose, la pittura di Stefano Ciaponi è uno dei rari esempi, se vogliamo anche anacronistico, di apologià del raccoglimento, del silenzio, della laboriosa meditazione, in definitiva di religioso ascolto delle voci misteriose della natura e dell'io. Potremmo anche definirlo un atteggiamento antimodernista il suo, ove si pensi alla sapienza coloristica medievale con cui esegue le stupende tavole che idealmente paiono citazionismi di campi pittorici "altri", ad esempio degli affreschi giotteschi, per indicare uno dei tanti territori ove culturalmente si è maturata l'arte del maestro livornese.
L'operazione decostruttiva di una civiltà fondata sull'apparenza a me sembra assai meritoria in quanto torna prioritario il senso dell'essere, così come avveniva nella grande pittura rie! passato. L'esplorazione di un perimetro quale quello appunto dell'essero dovrà per necessità indirizzarsi sul piano figurale verso il minimalismo, perché l'oggetto quotidiano possa svelarsi nel suo "esserci" che in definitiva altro non è che la propria essenza. Ecco perché tutte le composizioni, le scene, le visioni proposte da Ciaponi mai sono affollate o percorse da molteplici movimenti anarchici, disegni o traiettorie luminose.
Al contrario i pochi elementi iconici risultano spesso gravidi di valenze simboliche, al fine di praticare nel fruitore una sorta di straniamento dagli oggetti stessi, sicché venga lasciata la possibilità di sognare non percependo più la realtà concreta.
Dunque pittura del silenzio e per conseguenza del pauperismo figurale, alla quale si addice pienamente l'attributo da alcuni critici proposto di sanfrancescana (coincidenza felice: il caldo cromatismo evoca i colori austeri del saio dei seguaci del Poverello di Assisi).
Ma vediamo quali sono le immagini più ricorrenti nelle opere del bravo maestro toscano. Anzitutto quelle di fanciulle adolescenti che paiono fio-rire dalle superfici stesse della tela. Non sognano, come qualche critico ha scritto, ma sono esse stesse sogno. Proprio la labilità del sogno fa sì che i volti evochino la lontananza, la sparizione sempre a portata di mano e pertanto il vuoto assoluto di voci.
Altri elementi figurali: i fiori veri o finti, animali come uccelli o piccoli elefanti, mobili lignei, squarci di giardini immaginar!; tutti archetipi di un patrimonio della nostra cultura mediterranea di impatto immediato, restia a labirinti semantici, ma estremamente solare.
Ancora qualche osservazione sulle sue fanciulle in assoluta e connaturata sintonia cromatica con lo spazio che le accoglie. Il colore/calore d'un autunnale meriggio che può essere goduto durante una passeggiata archeologica, allorché natura e mito siano in aperta simbiosi, a me pare analo-gico a quello del nostro autore. Tale colore/calore intride, come detto, in ugual misura ambiente e personaggi, evidenziando così la sua ostilità al modulo tonale chiuso e alla distribuzione timbrica del pigmento.
Il perché di questa tavolozza uniforme? Per meglio evidenziare delle figure femminili l'anima, il sentimento del languore che, disgregando il peri-metro delle forme anatomiche, invade gli orizzonti circostanti a cui viene applicato lo stesso codice pittorico che dia originaria unità al dipinto.
Incancellabile in scene con la presenza di fanciulle il momento ludico esibito talora con significativi artifici come l'agravitazionalità, la col-locazione fantasiosa degli oggetti, il richiamo a forme tradizionali di divertimento quali il nascondino.
Parlare di gioco significa stipulare un rapporto con la fantasia totalmente rivolto alla sfera dell'imprevedibile e della poesia, le uniche possibilità offerte all'artista di non baloccarsi in un terreno di aridi intellettualismi sordi a qualsivoglia calore dello spirito. Che la realtà ludica si giustapponga ad un onirismo dal vago sapore metafisico è evidente; così come evidente, non dico l'ostilità, ma il disinteresse di Ciaponi per una pittura di impegno o di denuncia sociale. All'artista livornese interessano la poesia, il sogno ad occhi aperti, l'evasione dello spirito dai labirinti della contemporaneità. Con ciò non si vuoi dire che nei quadri di Ciaponi non vi siano forti connotati etici; anzi, penso che nel volto delle sue assorte adolescenti si debba leggere la proiezione del proprio sé, un autoritratto quindi con inscritte le solitudini, le angosce, lo smarrimento, le insicurezze proprie dell'odierna società.
Ma in questo corredo di suggestioni esistenziali non manca un'accen-tuata dimensione sensuale sottilmente azzardata in certe posture (si veda l'opera Raccogliere il fiore dell'inganno) e ancor più nel costante parametro cromatico, le cui radici affondano nel caldo e passionale tonali-smo della Scuola Romana e nell'impasto spesso e granuloso di alcuni autori dell'ArtAutre. La stessa noncuranza nei confronti della precisione
anatomica coopera a fondare un tópos di femminilità decisamente energetico poiché, tolto ogni richiamo veristico, i corpi diventano carichi di felicità umorale.
La carica estetica della pittura di Stefano Ciaponi raggiunge il suo vertice allorquando certi giochi spaziali, suffragati dall'inserimento ricorrente nelle opere di riquadri prospettici, rendono aristocratico il discorso della luce, fondamentale cruccio di ogni artista. Cito alcune opere nelle quali V inserimento ditali riquadri supporta grandemente il suo sforzo a rendere dialettico il ruolo della luce nei confronti clell'ombra o della penembra: // Volo, Attesa di una primavera, II Volo dell'eletantino, Nella casa degli immaginari voli, Le Finestre della memoria. A parte la volontà dichiarata di inserire piani prospettici, questi riquadri realizzano anche una lontananza temporale giustapposta a quella spaziale leggibile di primo acchito.
Quanto questa lettura sia plausibile lo dimostra il titolo dato dall'autore a una serie di opere eseguite tra il 2001 e il 2002: Fuga nei giardini del-l'immaginario, dando così un'interpretazione fantastica più che surreale della sua pittura. Fantasia che sottintende anche il concetto di gioco: sicché ben si prestano allo scopo le sue figuro di adolescenti che certo si affacciano già alle problematiche della vitii, come ben viene evidenziato da quell'indistinta atmosfera di inquietudine, ma che in definitiva amano ancora rimanere ancorate a un mondo infantile con la gioiosa spensieratezza aurorale.
Fantasia che indica altresì una sorta di sguardo incantato in grado di astrarre l'attenzione del lettore dalla frontalità appiattita del presente o, fuor di metafora, dalla contingenza esistenziale, sostituita da uno spazio assolutamente trascendente e metafisico che, pur nella sua dimensione utopica, sia in grado di fornire un magistrale respiro alla mente. Di fronte a una ricerca pittorica come quella di Stefano Ciaponi sorge spontaneo il desiderio di prendere le distanze da tanta produzione di artisti cosiddetti neoavanguardistici, concettuali e fanatici di installazioni realizzate per la sola durata di una mostra, nonché della videoarte che, dietro l'etichetta di una modernità fittizia, nascondono il vuoto linguistico ed etico. Questi idoli di tutti coloro che hanno gioito e gioiscono dinanzi alla tesi della morte dell'arte farebbero bene a seguire la lezione di artisti come Ciaponi, che del campo pittorico ha fatto un luogo dello spirito e quindi dell'assoluto.
Non più quindi la tesi della provvisorietà dell'opera e della sua naturale caducità, ma quella più umanistica di richiamo pressante al perimetro luminoso, che coincide con il regno della luce e dello spirito. In questa prospettiva certe opere (cito per tutte // Risveglio) vanno inserite nel tentativo riuscito di recupero di una iconografia sacra: nell'opera citata non sono poche le allusioni alle classiche Annunciazioni, allorché la Vergine Maria è in assorto ascolto delle parole dell'AngeIo. La spiritualità è una vera e propria idea guida dell'artista che, servendosi di stilemi decisamente minimali e pauperistici, riesce a esprimersi anche attraverso il silenzio e il raccoglimento a cui si faceva cenno all'inizio di questa testimonianza critica.