VIR Open Atelier
Aprire lo studio significa cercare di rendere cartograficamente e in maniera temporanea lo stato d’avanzamento del lavoro e della produzione che ha popolato il territorio di VIR nell’arco dei mesi di maggio, giugno e luglio cercando di afferrare la vita del luogo e le corrispondenze emerse tra i diversi progetti che si sono trovati a convivere in uno spazio comune.
Comunicato stampa
VIR Open Atelier
Constructional system
Niccolò Morgan Gandolfi, Vaclav Litvan, Maria Pecchioli
Measuring. Permanent Research Program on Inobjectivity (artisti: Alessandro Di Pietro, Pietro Spoto; curatore: Simone Frangi)
inaugurazione: giovedì 12 luglio, ore 19.00
tavolo di lavoro
Measuring: dalle 16.30 alle 18.30 Calling Upon #4 - "Misurazione, agonismo e resistenza"
Tavolo di lavoro con Simone Frangi (curatore), Giorgia Vian (artista e saltatrice con l'asta), Gianni Moretti (artista), Melissa Comin De Candido e Mirco Pontello (Campioni mondiali di pattinaggio artistico a rotelle, specialità danza).
sede: VIR Viafarini-in-residence, via Carlo Farini 35, Milano
Nel testo Problems and Projects del 1972, Nelson Goodman afferma che la funzione di un sistema costruttivo non è di ricreare l’esperienza, ma di cartografarla.
Un costructional system non è solo un modo di vedere il mondo, ma anche, e soprattutto, di farlo, di costruirlo, mettendo in evidenza le pratiche e le strategie che lo hanno progressivamente composto. Appoggiandosi a questa suggestione, l’apertura delle porte di VIR sfrutta la formula dell’open studio non come l’occasione per formalizzare - una volta per tutte e in maniera definitiva - l’attività dei quattro progetti in residenza, ma come un tentativo di comprendere in che modo essi hanno cercato di “fare sistema”.
Constructional system si mostra come una situazione aperta, ancora opaca, in bilico tra il momento espositivo e il laboratorio, in cui le pratiche presentate sono ancora operative e immerse nella ricerca. Aprire lo studio significa a sua volta cercare di rendere cartograficamente e in maniera temporanea lo stato d’avanzamento del lavoro e della produzione che ha popolato il territorio di VIR nell’arco dei mesi di maggio, giugno e luglio cercando di afferrare la vita del luogo e le corrispondenze emerse tra i diversi progetti che si sono trovati a convivere in uno spazio comune.
Il mapping proposto nella serata del 12 luglio - oltre a essere schematico, selettivo e condensato - cerca di tradurre in una transitoria immagine d’insieme quella postura cartografica che circola in maniera evidente anche nella struttura e nelle posture delle quattro ricerche messe a confronto.
Coerente con l’idea di Goodman che “l’inadeguatezza è intrinseca alla cartografia” - che ne fa il suo punto di forza e la sua qualità maggiore - constructional system nasce volontariamente come un rendering inadeguato di sei sistemi ancora in costruzione.
Ideatori e prime tre “reclute” del progetto a lungo termine Measuring. Permanent Research Program on Inobjectivity, Alessandro Di Pietro e Pietro Spoto (artisti) e Simone Frangi (curatore) hanno dissodato in tre mesi di attività collettiva un terreno di ricerca comune a molte pratiche contemporanee, che ha il suo nucleo teorico nella nozione di misurazione in-oggettiva.
Prendendo avvio da una questione cruciale del suo statement artistico, Alessandro Di Pietro ha intensamente e metodicamente riflettuto sulla possibilità di formalizzare - fino ad arrivare a prototiparla - un’unità di misura inedita, capace di operare per strategie diverse da quelle proprie alle misurazioni oggettive consolidate, ovvero in grado di registrare l’intensità e la ritmicità di spazi fisici e virtuali. I tre mesi di ricerca in VIR hanno ospitato una fase febbrile d’esercizio e di variazione continua, fatta d’errori e aggiustamenti progressivi ma sempre governata da un modo di procedere disciplinato, reiterato e, in seconda istanza, speculativo. Portando contemporaneamente avanti - a mo’ di corollario - due ricerche parallele e complementari (rispettivamente dedicate alla riattivazione di frammenti in conformazioni “d’orizzonte” e all’esplorazione delle superfici attraverso uno scanner mobile), Di Pietro propone un sistema di “esemplari” di una ricerca plastica coerente, meditata e internamente articolata.
In una sinergia di modalità espressive, supporti e media diversi Pietro Spoto opera da anni nei binari dell’inoggettività, comprendendola come l’impossibilità di verificare le idee e le intuizioni formali nella loro integrità originaria. Gli oggetti di Spoto, seppur visibili, vivono sempre di un’esitazione o di una reticenza, come se fossero carichi di potenzialità trattenute, sempre imminenti e vicine a una soglia. Essi sono volontariamente dei semplici accenni di formalizzazione segnati da una sottile volontà di non esprimersi: un video a sviluppo progressivo, che diluisce un evento differendo il suo accadere in un gioco di rinvii potenzialmente infiniti; un esperimento di mimetismo animale indotto e ambiguo, che si riversa a conti fatti in un simulacro o una copia infedele di un modello inesistente. Dilatando in maniera quasi onnivora la fase progettuale, Spoto rettifica con l’indecisione il momento sopravvalutato del decision making, dichiarando un posizionamento critico rispetto alla reclusione dell’arte nelle sue occasioni e nei suoi luoghi ordinari.
Uno degli elementi più significativi dell’attività teorica e curatoriale di Simone Frangi è invece l’attenzione riservata ai processi di negoziazione creativa e ai formati di dialogo tra artisti e teorici. Le strategie d’esplorazione di questi elementi relazionali si appoggiano spesso su azioni di torsione o spostamento della ricezione di forme artistiche e teoriche in zone insolite o sulla modificazione parziale di alcuni formati abituali della comunicazione scientifica e accademica. Un programma di tavoli di lavoro attivati per convocazione e autoinvito durante il corso della residenza in VIR ha costituito una rubrica fissa di skill sharing e cross referencing con realtà esterne alla residenza sugli snodi più importanti del progetto Measuring. La struttura di questo dispositivo curatoriale apre alla possibilità di immaginare un nuovo quadro nel quale l’arte si mostra e si dissemina, esplorando un altro modo possibile di rinegoziare lo scarto tra l’esecuzione del lavoro e la sua presentazione. L’attivazione dei calling upon ha prodotto una quantità di materiale documentario sottoforma di tracce, attualmente ricomposte in un “faldone” aperto, non lineare e organizzabile in soluzioni diverse secondo le esigenze della ricerca.
Niccolò Morgan Gandolfi ha riempito il suo studio di “roba”, come suggestioni e incidenti visivi che si sono ricomposti e alla fine sintetizzati. Sono stati in ricerca di un dialogo fino alla definizione delle sue componenti salienti e la conseguente esclusione di ciò che era destinato a compiersi altrove. All’Open Atelier sono state scritturate opere legate a una certa idea di paesaggio: porzioni di natura “inscatolata” attraverso la riproducibilità fotografica; attivatori di dinamiche spontanee in contrapposizione a sistemi di mantenimento selettivo. Trappole, mangiatoie per uccelli, un sistema di disco pacciamatura e lampade vegetative sono elementi che prendono volume o restano confinati alla bidimensionalità della fotografia, a ogni modo sempre e comunque il primo, imprescindibile strumento d’analisi.
Gli elementi nell'installazione di Vaclav Litvan si completano a vicenda. L'artista ha iniziato a esplorare la città di Milano come un turista, successivamente come un cacciatore. Incontri casuali hanno generato sostanziali proposizioni: un pezzo di legno ritrovato nel centro della città così come una pietra tra i binari della stazione Garibaldi sono alcuni degli incidenti visivi usati per rielaborare e riflettere, ancora una volta, sul confronto tra contesto naturale e ambiente urbano. La creta sotto un tappeto accompagna il passaggio, mentre la rappresentazione di un incendio si propaga a centro parete. Un angolo viene sottolineato da una scultura smussata, in qualche modo liquida e un profilo (umano?) violentemente ricavato nel legno adagiato sopra una pira pronta, di nuovo, alla consunzione...
Durante la residenza Maria Pecchioli progetta e realizza Plotting the urban body, rilettura della città di Milano a partire dai princìpi della medicina tradizionale cinese, individuando i canali energetici del corpo urbano e i relativi punti (acupoints) di accesso a tali canali. Il progetto, in progress, si è articolato su più livelli: analisi del territorio, elaborazione grafica, performance e incontri fanno tutti parte della restituzione della ricerca. Ora, in occasione dell’Open Atelier, il progetto si declina in una installazione ambientale che, a distanza di un mese dalla conclusione della residenza, sintetizza la complessità del progetto.