Future Landscape in DC. A changing exhibition
Future, landscape in DC, rispetto alle versioni della medesima mostra nel contesto veneziano di Forte Marghera, a Taibon Agordino, in una sede ex-industriale, prova a far emergere per un verso quel che ancora può essere riferito all’organico e al naturale e per altro verso a descrivere quel senso della stratificazione formata dal depositarsi di futuri possibili che hanno esaurito le loro potenzialità. Una esposizione che prova a dialogare con un luogo in attesa di altre destinazioni d’uso.
Comunicato stampa
Declinare il concetto di paesaggio accostandolo a quello di futuro, può essere un azzardo. Con il termine paesaggio si intende, riferendosi alle arti, qualcosa che compete piuttosto al passato: si pensi ad un genere, dalla fortuna plurisecolare, come la ‘pittura di paesaggio’. Paesaggio /paysage, dall’etimologia di paese/ pays, derivazioni neolatine dal latino pagus, con cui si definiva un borgo, un villaggio, un ambito ristretto di territorio. Ma resta ormai poco di queste dimensioni contenute dei luoghi e del vivere se i processi di produzione hanno completamente trasformato il senso stesso del ‘locale’, proiettandolo nello scenario ben più ampio delle produzioni e degli scambi internazionali. Gli orli orografici che definiscono una valle non definiscono più, all’interno di quella medesima valle, le relazioni fra le persone, l’ambiente e il lavoro. Alla concretezza dei tratti caratterizzanti un luogo si sovrappone una non meno concreta geografia produttiva che genera insediamenti industriali, valichi autostradali, e modificazioni di abitudini e costumi. Il futuro, come proiezione di nuovi modelli di sviluppo, si è già da tempo depositato nel tessuto di una quotidianità che sembrava immodificabile, riconfigurandola radicalmente. Per questo l’idea stessa di paesaggio si fa più delle proiezioni possibili di un non ancora, che non di quell’insieme di costruito e contesto che definiva un tempo la riconoscibilità di un borgo. Di cui restano semmai delle immagini sfocate, indefinite, che alludono ad altri modi dell’esistenza, ad un'altra relazione con l’ambiente e la sua storia. Forse ciò che attira delle immagini di un tempo è proprio questa sfocatura. Come se si potesse, acuendo lo sguardo, osservando con più attenzione, mettere meglio a fuoco e comprendere il senso di ciò che caratterizzava un paese e un paesaggio. Ma il processo di messa a fuoco, non rivela una qualche dimensione originale, o intatta; rivela semmai le linee dure di modificazioni urbanistiche e ambientali disincantanti. Dunque rimane poco del passato in un odierno paesaggio; l’equivalente inglese, landscape, non è soltanto una traduzione, quanto semmai l’accettazione che ormai quel termine va declinato nella lingua delle transazioni internazionali, sottolineando così la relativa anonimia che disloca il senso odierno del paesaggio. Parlarne vuol dire parlare delle sedimentazioni che si sono depositate sulle cose ‘di un tempo’, trasformandone l’orografia e la percezione. Parlarne vuol dire parlare delle scorie del futuro, cioè di quando il futuro si rivela essere un insieme di involucri vuoti, di aspettative deluse.
Future, landscape in DC, rispetto alle versioni della medesima mostra nel contesto veneziano di Forte Marghera, a Taibon Agordino, in una sede ex-industriale, prova a far emergere per un verso quel che ancora può essere riferito all’organico e al naturale e per altro verso a descrivere quel senso della stratificazione formata dal depositarsi di futuri possibili che hanno esaurito le loro potenzialità. Una esposizione che prova a dialogare con un luogo in attesa di altre destinazioni d’uso. In un tempo sospeso fra la delusione e la promessa di un futuro ancora si genera un filo visivo, una trama che si dipana fra la regolarità delle pareti bianche di un ex-opificio sorto in una valle alpina.
Future, Landscape. A changing exhibition, è una mostra che muta nel tempo, come è avvenuto nelle due fasi espositive a Forte Marghera, e che muta a seconda del luogo nel quale si sposta di volta in volta. Una mostra/organismo che si rigenera e si adatta, trasformandosi. Il progetto nel suo complesso nasce dalla collaborazione fra due realtà (Forte Marghera-Parco del Contemporaneo e Dolomiti Contemporanee) che lavorano facendo del rapporto fra arte contemporanea e territorio il cuore della loro azione culturale. La realizzazione delle varie fasi del progetto si è resa possibile grazie al supporto e al sostegno della Regione Veneto, e alla collaborazione della Marco Polo System geie, società di diritto comunitario, con sede a Venezia.
Riccardo Caldura
Dolomiti Contemporanee e Forte Marghera-Parco del Contemporaneo: una partnership culturale-artistica sostenuta dalla Regione del Veneto.
Dolomiti Contemporanee per la prima volta è in network con il progetto Parco del Contemporaneo, sviluppato a Forte Marghera su iniziativa del Comune di Venezia e della Marco Polo System. L’ingresso della Regione del Veneto quale partner istituzionale già nel 2011 ha consentito di mettere in rete i due progetti, collegando la terraferma veneziana e la laguna di Venezia con l'area montana dolomitica ed il Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi. L'una per l'incomparabile portato storico, culturale ed artistico, le altre per l'unicità di elementi naturali peculiari quali ambiente naturale e paesaggio alpino costituiscono infatti due cospicue “emergenze” nell'ambito del territorio veneto, riconosciute in tutto il mondo e forti di un'immagine potente.